…una costituzione che miri alla maggiore libertà umana
secondo leggi che facciano che la libertà di ciascuno
possa coesistere con quella degli altri.
Immanuel Kant
I diritti dell’uomo, del cittadino, le libertà civili degli individui sono quotidianamente protagonisti delle vicende umane, proprio perché scontano il paradosso, disarmante, per cui più il progresso delle organizzazioni sociali moderne avanza, con la richiesta di ulteriore espansione di tutele a situazioni e categorie di soggetti fino ad ora esclusi, tanto più di frequente assistiamo a fenomeni, ricorrenti nella storia umana (es. i rilevanti flussi migratori dal continente africano verso l’Europa), nei quali, l’attuazione dei più elementari diritti della persona, sembra ben lontana dall’essere un dato acquisito della civiltà contemporanea.
La storia del riconoscimento formale (e sostanziale) di questo patrimonio di conquiste del genere umano ebbe inizio in Europa, nell’Inghilterra del giugno di esattamente ottocento anni fa, quando venne prodotto il documento normativo che, una certa tradizione, ritiene fondativo dello stesso “stato di diritto”, il prototipo di epoca pre-moderna a garanzia di alcune libertà individuali, la
Magna Charta Libertatum[2].
I presupposti dell’evento risalgono alla situazione storica del Regno d’Inghilterra alla fine del XII secolo, quando alla morte di Re Riccardo I, avvenuta il 6 aprile 1199
[3], gli succedette il fratello minore
Giovanni “Senzaterra” (John Lackland), chiamato così probabilmente perché, come vedremo, aveva perso i suoi possedimenti in Francia, o forse perché essendo il quintogenito maschio, il padre Enrico II non gli lasciò in eredità alcun dominio territoriale
[4].
Infatti, nelle isole britanniche la monarchia si era saldamente affermata prima con Guglielmo I “il Conquistatore” (1066-87), in seguito con i regni di Enrico I (1100-35) ed Enrico II (1154-89)
[5]. Alla concentrazione di tutte le controversie giudiziarie, già di competenza delle singole corti baronali locali, alla Corte Regia (il
King’s Council o
Curia Regis)
[6], quale principale mezzo di rafforzamento del principio monarchico, si era aggiunto, sotto
Enrico II, l’intimo legame con la Chiesa. Questa apparente sicurezza di cui godeva il Sovrano, conseguente al grande potere che veniva dall’accordo con le più alte classi sociali, fece assumere ai suoi successori, specialmente Riccardo Cuor di leone e
Giovanni Senzaterra, un atteggiamento tirannico che, manifestandosi in veri e propri continui abusi di potere, tanto contro i feudatarî, quanto contro gli ecclesiastici, contribuì alla coalizione di queste due forze contro il trono.
Proprio durante il regno di Giovanni Plantageneto scoppiò la rivolta dei baroni. Le sconfitte militari sul continente, con la conseguente perdita della Normandia (1199-1206), spinsero il Monarca, al fine di difendere e riconquistare i possedimenti in Francia, a ingaggiare una guerra, finanziata con un forte incremento della tassazione a carico dei suoi vassalli, i quali ne denunciarono pubblicamente l’arbitrarietà, stigmatizzando in particolare i gravi abusi nell’applicazione dello
scutagium[7]. Sfortunatamente la spedizione francese ebbe esito negativo
[8], causando nel corso del 1215 il rifiuto della fedeltà al Re e l’insurrezione da parte dei baroni, che accettarono, ben disposti, l’invito del Sovrano a trattare durante un incontro da tenersi il
15 giugno di quell’anno, nella località di Runnymedes, tra Staines e Windsor. I negoziati, prolungatisi per alcuni giorni, si chiusero con l’accoglimento da parte di Re Giovanni delle richieste scritte dei baroni, cioè degli
Articoli già da essi presentati il 27 aprile precedente. Questi servirono poi a compilare, il giorno 19, il testo definitivo della
Magna Carta(che porta la data del 15) e trasforma, il
manifesto dei baroni in qualcosa che si avvicina di più a una
dichiarazione dei diritti per alcune classi di cittadini
[9].
La
Magna Charta Libertatum fu redatta a mano, con penna d’oca, in una sola pergamena di grande formato
[10], in lingua latina, e riportava il sigillo reale, a certificazione della sua validità. Sull’originale del 1215 non c’erano firme e nemmeno i sigilli dei singoli baroni che avevano ottenuto le concessioni da Re Giovanni. Inoltre, i vari articoli non erano numerati, ma semplicemente elencati: solo nella seconda metà del 1700 fu introdotta una numerazione per rendere più pratici i riferimenti al documento (furono così enucleati 63 “articoli”)
[11].
Essa inizia con alcune disposizioni di carattere “costituzionale” concernenti la libertà e la inviolabilità della Chiesa (
art.1)
[12] e dei cittadini, nonché le libertà e le consuetudini delle città, dei borghi e dei porti (la Carta faceva salve le
antiquas libertates -libertà originarie- della città di Londra e degli altri centri abitati del Regno-
art.13). Seguivano norme regolatrici dei conflitti feudali e altre che conferivano particolari prerogative al ceto baronale: si stabiliva il
divieto per il Sovrano di
imporre nuove tasse ai suoi vassalli diretti senza il previo consenso del
commune consilium regni, il Consiglio Comune del Regno, formato da arcivescovi, abati, conti e i maggiori tra i baroni, da convocarsi con un preavviso di almeno quaranta giorni e deliberante a maggioranza dei presenti (
articoli 12 e 14). Assai innovativo appare l’
art.20 della Carta che impone la proporzionalità della pena rispetto al reato, anche se il principio era riservato ai soli “uomini liberi”, al pari della la garanzia di non poter essere imprigionati senza prima aver sostenuto un regolare processo, da parte di una corte di pari, o secondo la “legge del regno” (
art. 39, in cui si ribadisce il principio dell’
habeas corpus integrum)
[13]. Il principio, peraltro privo di sanzione, rimase di fatto inapplicato fino all’approvazione del
Petition of Right, dichiarazione del Parlamento inglese relativa ai diritti e alle libertà fondamentali dei cittadini, approvata da Re Carlo I nel 1628.
In materia economica al fine di agevolare il commercio, l’articolo 35 imponeva che in tutto il regno fossero adottate identiche misure per vino, birra e grano e che le stoffe fossero confezionate in misure standardizzate, oltre al diritto gratuito di ingresso e di uscita dal paese per tutti i mercanti, esclusi quelli provenienti da paesi in guerra con il Re (art. 41). La Magna Carta regolamentava, inoltre, l’importante legge consuetudinaria detta “della foresta”, abolendo i demani regi (in latino foreste, terreni di proprietà esclusiva del Re), creati sotto il regno di Giovanni e le relative multe comminate a coloro che invadevano o sfruttavano questi terreni (articoli 47 e 48).
Infine, tra le ultime disposizioni, fortemente limitativa del potere regio, la Carta prevedeva l’istituzione di una commissione di venticinque baroni, che, nel caso in cui il Sovrano avesse infranto i suoi solenni impegni omettendo di riparare al torto dopo solenne denuncia, “…potranno fare sequestri ai nostri danni ed attaccarci in qualsiasi altro modo e secondo il loro arbitrio, insieme alla popolazione del regno, impadronendosi dei nostri castelli, delle nostre terre, dei nostri beni o di qualsiasi altra cosa, eccettuate la nostra persona, quella della regina e dei nostri figli; e quando avranno ottenuto la riparazione, ci obbediranno come prima…” (art.61).
Dopo la sua emanazione la Carta ebbe una storia particolarmente tribolata, essendo stata più volte annullata, ristabilita, dimenticata e poi riscoperta. Poche settimane dopo l’approvazione della Magna Carta, Re Giovanni si rivolse al Papa implorandolo di annullare il documento, asserendo che gli era stato estorto con minaccia. Il Pontefice intervenne con una propria Bolla e accontentò il Monarca anglosassone, provocando l’insurrezione armata dei baroni. Giovanni morì nel 1216, e il Consiglio Comune del Regno, che assunse il governo del Paese in nome del giovane successore Enrico III, ancora minorenne, ridiede vigore alla Magna Carta.
Nei 10 anni che seguirono la Charta Libertatum fu notevolmente ridimensionata attraverso la limitazione dell’eccesivo potere acquisito dai feudatari e l’introduzione di disposizioni più favorevoli alla corona. Nel 1225, dopo altre modifiche, assunse l’aspetto definitivo con adeguamenti di ordine tecnico che la resero un documento pratico e di facile comprensione.
La
Magna Charta Libertatum è stata interpretata a posteriori come il primo documento fondamentale per il riconoscimento universale dei diritti dei cittadini, sebbene essa vada inscritta nel quadro di una giurisprudenza feudale, nel quale cioè, durante il XII e XIII secolo, la concessione di privilegi (
libertates) da parte di sovrani a comunità o sudditi, offre altri esempi analoghi
[14]. L’importanza della
Magna Carta è stata probabilmente esagerata: quasi tutti ricordano le norme che tutelavano i baroni dallo strapotere del re, ma in pochi ricordano che gran parte del documento era dedicato a più complesse questioni di diritti feudali e a numerosi e spesso bizzarri dettagli di legislazione medievale
[15]. Durante il XVII secolo, con i sovrani della dinastia Stewart, la Magna Carta passò in secondo piano rispetto alle prerogative di sovrani che sostenevano di regnare direttamente per volere di Dio. La rivoluzione inglese di metà Seicento, che, come la più famosa rivoluzione francese di un secolo dopo, terminò con la decapitazione di un Re, riportò la
Magna Carta in primo piano. Quando, cento anni dopo, i coloni americani decisero di ribellarsi alla monarchia inglese fecero anche loro appello all’antico documento, consacrandone definitivamente il mito anche negli Stati Uniti. Oggi, estensivamente, una “magna carta” è una qualunque dichiarazione, anche non scritta, che definisce libertà e prerogative individuali.
A ben vedere il Sovrano dell’epoca della Magna Carta, pur definito Re «per grazia divina», era un signore feudale, e quindi il suo potere era di natura “contrattuale”, basato sul vincolo personale tra signore e vassalli; egli, perciò, era tenuto a rispettare gli obblighi che aveva contratto con i nobili proprietari e, al contrario, ad esempio, degli Imperatori romani, era vincolato anche al rispetto delle leggi (cioè il suo potere non era al di sopra delle leggi)
[16]. Dunque la Carta è da considerare come un’evoluzione del “contratto feudale” finalizzato a consacrare i principi base dello Stato feudale e riportare il Re nella legalità
[17]. I rapporti feudali, che fino ad allora avevano avuto carattere personale e privato, furono codificati per la prima volta in diritto pubblico. Questo diritto, che fu detto
comune (
common law, perché comune al re e ai baroni), costituiva il terzo sistema giuridico dell’Europa medievale, accanto al diritto romano e al diritto canonico. L’importanza storica della
Magna Charta consiste nel fatto che essa ha riconosciuto, per la prima volta, l’inviolabilità dei diritti individuali rispetto a ogni arbitrio del potere; tuttavia essa, in origine, difendeva soltanto i diritti e i privilegi di nobiltà e alto clero, ignorando contadini, artigiani e tutti gli appartenenti ai ceti inferiori. Nei secoli successivi questo atto divenne la base per l’affermazione di diritti e istituzioni proprie del
costituzionalismo moderno (la teoria che difende le libertà individuali nello Stato moderno). Così, per esempio, dal
Consiglio Comune del Regno derivò il
Parlamento inglese, che nel milletrecento si divise in due Camere, la Camera Alta o
Camera dei lord (in cui sedevano i nobili e il clero) e la Camera Bassa o
Camera dei Comuni (dove si radunavano i rappresentanti degli ordini sociali meno potenti). Benché la Magna Carta nel corso dei secoli sia stata ripetutamente modificata da leggi ordinarie emanate dal Parlamento inglese, conserva tuttora lo status di Carta fondamentale della monarchia britannica, posta all’inizio delle collezioni di leggi vigenti nel Regno Unito.
Una costituzione è un pezzo di carta.
Se la getto per terra non si muove.
Per farla muovere occorre un sentimento collettivo.
P. Calamandrei