NIMH & ONASANDER
(Giuseppe Verticchio & Maurizio Landini)
Unveiled lights
Unveiled Lights è un viaggio elettronico introspettivo di classe, di qualità e stile, che si evolve occasionalmente attraverso regni oscuri. Suoni curativi, texture sinuose, movimenti di accordi elettro e temi melodici in lenta evoluzione conferiscono a questo album momenti di struggente vivacità emotiva. La sensazione isolazionista di perdersi nell’ampiezza terrestre/cosmica è costantemente percepibile, conducendo l’ascoltatore in uno stato di profonda riflessione spirituale e sinestesia con elementi primordiali tratti dalla natura sovrana. Grazie a una serie sonora di texture elettroniche e a una dimensione sensibile, questo album è piuttosto trasportante, profondamente risonante e squisitamente atmosferico.
(Philippe Blache – Igloo Magazine)
LHAM
(Giuseppe Verticchio & Bruno De Angelis)
Tertium Quid
Edizione limitata 200 copie. A un anno di distanza dal precedente “They Cast No Shadows”, il nuovo “Tertium Quid”, terzo CD del progetto LHAM diretto da Bruno De Angelis (Mana ERG) e Giuseppe Verticchio (Nimh, Hall of Mirrors, Twist of Fate, Maribor…) conduce ancora una volta l’ascoltatore attraverso complesse e trascinanti trame sonore strumentali fatte di suoni elettronici, chitarre elettriche, bassi, sintetizzatori, parti ritmiche, inserti vocali, elementi di strumenti etnici, fiati, archi e tracce di field recording, alternando stasi ambientali, crescendo quasi orchestrali, frammenti di oscurità e inquietudine e aperture più serene e luminose, in un lungo viaggio che, quasi come in un racconto, svela attimo dopo attimo nuovi scenari, nuovi orizzonti, nuove atmosfere, abilmente descritte attraverso quelle costruzioni sonore dal forte sapore cinematografico che contraddistinguono questo originale progetto fin dal suo esordio nel 2021 con “Leaving Hardly a Mark”.
http://13.silentes.it/private_sounds/sps2592.htm
https://nimh-music.bandcamp.com/
Alcune interviste precedenti:
http://www.kultunderground.org/art/18417
https://kultunderground.org/art/18661/
https://kultunderground.org/art/39026/
https://kultunderground.org/art/40284/
https://kultunderground.org/art/42219/
https://kultunderground.org/art/41310/
https://kultunderground.org/art/41645/
Intervista
Davide
Ciao Giuseppe e ben tornato su queste pagine per parlare delle tue due ultime uscite, una come Nimh insieme a Onasander, cioè Maurizio Landini, “Unveiled lights” (Fluttering Dragon Records), l’altra come Lham insieme a Bruno De Angelis (Silentes). Iniziamo da “Unveiled lights”. Come vi hai lavorato con Maurizio Landini, che tipo di esperienza è stata, intorno a quali idee, percorsi e condivisioni?
Giuseppe
Prima di tutto… grazie mille per lo spazio che hai nuovamente deciso di dedicarmi.
L’idea di una collaborazione è stata di Maurizio, che mi contattò tempo fa proponendomi di fare qualcosa insieme. In quel periodo avevo diversi progetti già avviati, e quindi ho dovuto attendere un po’, ma poi al momento “giusto” gli ho dato la mia disponibilità, e dopo aver definito e concordato il “modus operandi” (reduce di una passata pessima esperienza con un ben noto ex collaboratore straniero che mi ha fatto perdere quasi un anno di tempo di lavoro ora preferisco definire bene ogni dettaglio prima di avviare qualsiasi collaborazione…) siamo “partiti” con questo progetto. Tutto è andato al meglio, il processo compositivo è stato estremamente naturale e privo di qualsiasi ostacolo, e anche la pubblicazione è stata quasi immediata, e perfettamente messa a punto, grazie all’estrema disponibilità e professionalità di Przemysław Sowiński della label polacca “Fluttering Dragon”. Dal punto di vista concreto Maurizio ha dato la prima “impronta” al lavoro, inviandomi suoni e parti più o meno strutturate, che io ho organizzato, arricchito, ampliato con i suoni dei miei strumenti, finalizzando poi i brani e occupandomi successivamente anche del mastering. Ovviamente con l’approvazione ad ogni “step” da parte di Maurizio.
Davide
Le foto della copertina di “Unveiled lights” sembrano indicare scenari aridi e selvaggi con forse in una qualche traccia remota di esistenza umana… Orazio Flacco (per altro presente anche in un titolo dell’altro cd di Lham nel titolo “Pyrrha Sub Antro”) celebrava la potenza dell’arte capace di rendere l’uomo immortale e le arti da sempre si pongono il problema dell’eterno e dell’immortalità attraverso la memoria dei posteri. Qual è il tuo rapporto con le tracce di un futuro passato, rifacendomi così anche ai titoli degli ultimi due brani “Primordial futures” e “Blurred horizons/The last human traces”?
Giuseppe
In particolare riferimento alle immagini usate per le grafiche, mi fa piacere precisare che sono foto da me scattate in Abruzzo, esattamente nei dintorni di Casaline, un piccolo paese vicino L’Aquila dove passo molto tempo l’estate. C’era stato un grosso incendio nei paraggi, e tutto il verde intorno, parliamo di una superficie molto ampia, appariva spettrale, arido, incenerito, carbonizzato… Con l’aggiunta di qualche filtro ho reso quelle foto ancora più suggestive, ed è stata una grande soddisfazione usarle per le grafiche, grazie ovviamente all’approvazione sia di Maurizio che di Przemysław.
Mi fa piacere che tu abbia colto i riferimenti al “passato” nei titoli dei brani citati. Nella mia musica, pur facendo ampio utilizzo di strumenti e tecnologie elettroniche “moderne”, ho spesso inserito “tracce” di un passato più o meno “arcaico”, in forma di suggestioni sonore, in particolare attraverso l’uso di suoni di strumenti etnici spesso di fattura molto artigianale e quasi “primitiva”. In questo CD l’uso di strumenti etnici è praticamente “subliminale”, ma mi è piaciuto lo stesso, anche attraverso l’uso di altri suoni e di campionamenti di voci, evocare in qualche modo sia “scenari” quasi-primitivi, sia ipotetici scenari distopici nei quali “scorgere” ancora “tracce” di antiche e ormai quasi perdute “presenze umane”.
Davide
Qualcosa di apocalittico sembra attraversare tutte le tracce di “Unveiled lights”. In sanscrito “suono” si diceva svara e “luce” svar e tale affinità fonetica essenziale li univa sostanzialmente. Cos’è l’assenza di luce (“In absence of light”) e cosa sono questi giorni cupi (“These bleak days”) e, quindi, le luci svelate del titolo?
Giuseppe
Credo che i titoli si prestino a numerose possibili interpretazioni e “parallelismi”. E infatti non li abbiamo pensati con un significato assolutamente “univoco”. Nella “assenza di luce”, nei “giorni cupi”, nelle “luci svelate” si possono scorgere sia semplici suggestioni “paesaggistiche” d’atmosfera, sia riferimenti ai contraddittori accadimenti storici, politici, sociali e culturali più attuali e, per estensione, degli ultimi due/tre decenni, sia più introspettivi e personalissimi stati emotivi, senso di incertezza, solitudine, rassegnazione, impotenza, talvolta “violati” da istanti di maggiore ottimismo, lumi di speranza, motivazione, intraprendenza.
Davide
La musica etnica e spirituale, generalmente statica o estremamente lenta, ha da sempre fatto uso dei bordoni, note o accordi suonati in modo continuo, sostenuti o ripetuti. Cos’è per te la drone-based music, drone ambient o dronescape che dir si voglia? Che significato conferisci a questa particolare staticità armonica o monofonica di origine remota su cui stratificare l’emergere di un graduale e più complesso tappeto sonoro?
Giuseppe
Sicuramente l’impiego di bordoni, droni, tappeti, fondi “continui”, magari con andamento “ad onda” e con l’impiego di filtri per “movimentarne” sviluppo e andamento, sono alla base di ampia parte della musica ambient, in particolare quella di matrice più “scura”, ma anche di quella, all’opposto, di matrice più mistico/spirituale. In molti casi, e questo è un uso che non mi entusiasma almeno ai tempi odierni (venti/trenta anni fa la situazione era ovviamente un po’ diversa), questi elementi costituiscono la “quasi totalità” del contenuto e del “messaggio musicale”, avvalendosi solo in modo molto marginale di elementi di contorno e di “varianti sul tema”, se così vogliamo definirle. L’uso che invece apprezzo di più, e che ovviamente cerco di farne, è quello di una “linea guida” sonora ed emotiva, sottilmente “ipnotica”, che però sia solo uno “spunto”, un’idea, una suggestione iniziale, su cui poi costruire, con ampia gamma di altri suoni e strumenti, macro strutture molto più complesse e articolate, per restituire un risultato finale più vario, emotivamente coinvolgente, toccante, ricco di dinamiche (anche se spesso si sviluppano in modo molto graduale) e, sostanzialmente, non “noioso” e non troppo “ridondante” all’ascolto.
Davide
Molto diverso è invece “Tertium Quid” del progetto Lham che condividi con Bruno De Angelis. Intanto perché “Terza cosa”, un titolo che rievoca il terzo elemento alchemico non identificato che è in combinazione con due noti?
Giuseppe
Posso candidamente confessarti che ho piacevolmente condiviso e “approvato” l’idea di questo titolo un po’ “enigmatico” suggerito da Bruno (tra noi due è lui il “perno” e il “genio” di questo progetto) senza chiedergli dettagli sulla “genesi” o motivazione specifica di questa idea… Posso aggiungere che “Tertium Quid” è di fatto il terzo CD pubblicato del nostro progetto LHAM, ma questo da solo non è sufficiente a spiegare il “senso esatto” di questo titolo adottato per la musica contenuta in questo album.
Credo comunque (ma glielo chiederò!) che anche in questo caso il titolo non volesse essere più di una semplice “suggestione”, ad interpretazione abbastanza “libera”.
Davide
Colpiscono la ricchezza degli arrangiamenti di “Tertium Quid” e la ricercatezza delle sue armonie. Come procede il progetto Lham con Bruno De Angelis rispetto ai due precedenti lavori, attraverso quale peculiare narrazione musicale? Cosa evolve e sviluppa “Tertium Quid”?
Giuseppe
Con piccole variazioni e “aggiustamenti” il nostro modo di lavorare insieme è sempre lo stesso, fin dal nostro primo CD di esordio. Andando avanti, con l’esperienza, abbiamo sicuramente migliorato il “focus”, ma i presupposti e gli “obiettivi” rimangono sostanzialmente gli stessi. Bruno in questo ultimo album mi ha fornito delle “macro strutture” di brani ad uno stato di lavorazione e arrangiamento già molto avanzato, e i miei interventi, a livello di arricchimento di suoni e arrangiamento, sono stati forse meno “incisivi” rispetto all’album precedente. Però nel caso specifico ho dovuto fare un lavoro tecnico un po’ più “intenso” del solito, per rendere le parti originali di Bruno, e quanto poi ho aggiunto io, anche tecnicamente più omogenee, pulite, dettagliate, ricercando (come sempre, e come per me fondamentale) una buona qualità sonora alla fine del processo di mix e mastering. Ho avuto qualche difficoltà in più in questo caso, e ho dovuto accettare qualche “compromesso”, ma ci tengo a precisare che per quanto io abbia molto a cuore una buona qualità del suono, ciò che poi conta più di tutto è l’impatto emotivo. E se qualcosa, dal punto di vista tecnico, non è proprio “perfetta”… in fin dei conti la cosa non mi preoccupa più di tanto. Peraltro ascoltando ogni giorno ogni genere di musica mi rendo conto che sotto questo aspetto ci sono CD in circolazione, anche di gruppi “mainstream”, che nonostante abbiano potenzialmente molti più mezzi (tecnici, economici, manageriali) di quanti ne abbiamo io e Bruno, “suonano” molto peggio del peggior lavoro di mix e mastering che io abbia fatto negli ultimi dieci anni (qualche nome? Editors, Killers, Psychedelic Furs, Iliketrains…). Quindi, pur non volendo con questo “giustificare” un suono non “perfetto”, voglio dire che talvolta, in virtù della “bellezza” di un certo “messaggio sonoro”, l’aspetto più puramente tecnico può comunque, in una certa misura, essere ragionevolmente “sacrificato”.
Davide
Anche la copertina di “Tertium Quid” riproduce immagini di una natura aspra e rocciosa, in questo caso fatta di vette montane. La donna della front cover mi ha ricordato un soggetto caro al pittore Ettore Leonardi, una “piccola Eva” in abitino rosso – nel suo caso – che partecipa, in qualità di sigla umana, all’avventuroso viaggio nell’altro mondo, una trasposizione moderna degli scenari miltoniani. Ad ogni modo, che rapporto c’è tra la natura a cui spesso ti richiami nelle tue copertine e la tecnologia dell’elettronica, che potremmo invece classificare all’opposto un artefatto del tutto innaturale?
Giuseppe
Chiarisco subito che il (fantastico secondo me!) lavoro relativo alle grafiche e alle foto utilizzate è stato di Stefano Gentile di 13/Silentes/St.An.Da., quindi ogni “merito” sotto questo aspetto va a lui.
È altresì vero che in diversi cd realizzati in tanti anni (ho ormai superato i 35 cd pubblicati, escludendo peraltro diversi cd-r), per i quali ho quasi sempre scelto in prima persona le immagini da usare, sono ricorso ad immagini di paesaggi o comunque “scorci” naturali.
Il mio legame con la natura è sempre stato molto forte, e per quanto questo possa apparire in antitesi sia con il lavoro di programmatore informatico che ho fatto per lunghi anni, sia in senso generale con il mio costante uso di strumenti e apparecchiature elettroniche, in realtà questi due aspetti “convivono” nella mia vita quotidiana in perfetta armonia.
Considera che io come scuola superiore ho fatto agraria, sono diplomato agrotecnico, presi qualifica di floricoltore vivaista, e il mio primo corso di formazione professionale post-diploma fu per operatore specializzato nella gestione degli allevamenti zootecnici con l’ausilio dell’informatica. Parliamo ovviamente di “una vita” fa, più o meno il 1988 se ricordo bene… e fu proprio da lì che partì il mio interesse per l’informatica, che in pochi anni mi fece “cambiare rotta” proiettandomi, professionalmente ma non solo, verso orizzonti e prospettive di vita molto diverse da quelle inizialmente immaginate. Nonostante tutto la mia indole, il mio attaccamento alla natura, complice anche il fatto che fin da bambino passavo lunghi mesi nel paesino in Abruzzo cui ho fatto cenno prima, un paese a mille metri di altitudine letteralmente avvolto nel verde, hanno fatto sì che non perdessi mai del tutto il mio forte legame per la terra, per le scienze naturali, e per tutto ciò che appare così distante dalla “modernità” e dalle tecnologie elettroniche di cui faccio comunque abbondante uso ogni giorno.
Davide
Hauntology, un portmanteau di “haunting” e “ontology” introdotto da Jacques Derrida che è stato invocato in campi come arti visive, filosofia, musica elettronica, antropologia, sociologia, politica, narrativa e critica letteraria in riferimento ai paradossi riscontrati nella postmodernità, in particolare il persistente riciclaggio dell’estetica retrò nella cultura contemporanea e l’incapacità di sfuggire alle vecchie forme artistiche e socio-culturali. Il termine è usato per descrivere anche un’estetica musicale preoccupata da questa disgiunzione temporale e dalla nostalgia per i “futuri perduti”. I cosiddetti musicisti “hauntologici” sono descritti come esploratori di idee relative alla disgiunzione temporale, al retrofuturismo, alla memoria culturale e alla persistenza dei fantasmi del passato. Qual è la tua misura tra passato, presente e futuro della musica?
Giuseppe
In tutta onestà per indole “rifuggo” istintivamente da tutto ciò che mi appare troppo concettuale, forzoso, “cervellotico”, prettamente teorico, financo “fumoso”, di fatto poco “concreto”, inconsistente; rifiuto il pensare e l’analizzare autocompiacente e fine a sé stesso…
Non mi piace speculare, teorizzare, filosofeggiare, né ancor meno “abbracciare” teorie, filosofie, schemi, forme ideologiche, o tutto quanto in senso generale mi pare troppo “astratto” e distante dalla vita concreta, “fisica” di ogni giorno.
Sono una persona molto pragmatica. Sono stato fortunato nella mia vita, per molti aspetti, ma al tempo stesso sono sempre stato “costretto” ad agire, a pensare a cose molto “concrete” e a vivere prevalentemente di esse. Non ho mai avuto tempo (né voglia onestamente) di pensare e dedicarmi a cose che sono molto “lontane” da ciò che ogni giorno mi trovo a dovere affrontare e vivere.
Questo “preambolo” per dirti che il più delle volte faccio tutte le mie cose in modo molto istintivo e “di getto”, non ricerco motivazioni, schemi, connessioni, artifici concettuali, né sto lì ad analizzare ogni cosa e a cercare, anche a posteriori, di trarne conclusioni, teoremi, “lezioni di vita” o quant’altro… Vedo tutto in modo molto “lineare” e semplice, e in quest’ottica posso risponderti in modo fin troppo banale, dicendoti che passato, presente e (immaginario) futuro (perché di questo non possiamo avere contezza) sono semplicemente dei meri riferimenti temporali che, nella mia musica (e nella mia vita quotidiana in senso più esteso), “apportano” quanto di (per me) significativo riescono a determinare istante dopo istante nella loro concreta ed effettiva influenza.
Davide
Qual è stato l’ultimo disco da te ascoltato che ti ha colpito come a ritrovarvi le emozioni dei primi più importanti dischi della tua vita?
Giuseppe
Acquisto dell’ultimo mese. The Killers, il loro ultimo album in studio (del 2021) “Pressure Machine”. Questo peraltro registrato piuttosto bene, a differenza dei loro primi album, per riallacciarmi al discorso (e alla menzione) sulla qualità del suono affrontato poco sopra.
Strutture musicali, sound, arrangiamenti, melodie, idee fantastiche, voce superba; album estremamente maturo… Siamo piuttosto lontani, stilisticamente parlando, dai Killers di “Mr. Brightside”, che pure amo infinitamente, ma questo album mi ha tenuto incollato all’ascolto sul divano (pur costringendomi qua e là a qualche ritmico movimento del piede) più di qualunque altro album abbia ascoltato in tempi più o meno recenti. Si parla peraltro di un album comunque abbastanza “Pop”, e questo mi ricollega ancora di più al tuo discorso sulle emozioni dei primi dischi più importanti della mia vita, tra i quali voglio doverosamente citare in ordine sparso almeno “Avalon” e “Flesh+Blood” dei Roxy Music, “Throw the Warped Wheel Out” dei Fiction Factory, “New Gold Dream” dei Simple Minds, “Mainstream” di Lloyd Cole and the Commotions, “Lament” e “Quartet” degli Ultravox, “Theodore and Friends” degli Adventures.
Davide
Cosa seguirà?
Giuseppe
Per la prima volta debbo rispondere a questa domanda con un po’ di amarezza. Al momento non ho nulla in lavorazione né di programmato. E non per “crisi d’ispirazione”, o per difficoltà nel collocare i miei lavori, quanto purtroppo per ragioni familiari (problemi con mio padre anziano) e di salute personali (non “gravi” in senso stretto ma piuttosto “invalidanti”, e parlo di dolori che mi impediscono di fatto di stare seduto al PC o agli strumenti, se non per pochi minuti, e allo stesso modo mi impediscono di stare e lavorare a lungo in piedi).
Anche soltanto rispondere a questa intervista mi è “costato” un bel po’ di “fatica”… ma sono felicissimo che tu me l’abbia proposta, e ho risposto ad ogni domanda con grandissimo piacere.
Grazie mille, piuttosto, per il tuo consueto interesse e per la tua incessante disponibilità.
Davide
Grazie e à suivre…