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Expo 2015 e la Carta di Milano

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una occasione mancata?

 
«Non ereditiamo il mondo dai nostri padri, ma lo prendiamo in prestito dai nostri figli»
(Proverbio Navajo)
 
Il 1° maggio si è ufficialmente inaugurata l’edizione 2015 dell’esposizione universale di Milano[1], per tutti semplicemente Expo, dal suggestivo titolo “Nutrire il pianeta, energia per la vita” che per sei mesi, sino al 31 ottobre, vedrà passare attraverso un’area espositiva di oltre un milione di metri quadrati i 20 milioni di visitatori attesi alla ricerca di qualcosa di magico, accattivante o semplicemente curioso nei variopinti padiglioni futuristi della cittadella espositiva.
Nel 1889, dall’edizione parigina, il mondo ricevette la Torre Eiffel; da Expo 2015, visto il ritardo nel completamento delle infrastrutture, si è pensato di porre una base culturale all’impegno di tutta la comunità internazionale per far sì che cibo, pianeta, energia e vita non restino solo parole ma si trasformino in atti e si predisposta la “Carta di Milano[2], aperta alla sottoscrizione di tutti.
Un nuovo accordo internazionale per la lotta alla fame del mondo? Un manifesto utopico che influenzerà i prossimi secoli? Una dichiarazione di intenti pulita e politicamente corretta? Purtroppo, niente di tutto questo, ma molto di meno!
 
Nutrire il pianeta, energia per la vita”, la sfida del tema
Dal 1° di maggio al 31 ottobre, Milano sarà la capitale mondiale dei temi legati alla nutrizione e all’utilizzo ecocompatibile delle risorse del pianeta in concomitanza con Expo 2015, l’esposizione universale che la città si è aggiudicata magistralmente nel 2008 con un eccezionale gioco di squadra dei distinti livelli di governo (Letizia Moratti, Sindaco della Città; Roberto Formigoni, Governatore della Regione; Romano Prodi, Presidente del Consiglio), e con un titolo che non poteva lasciare indifferenti i membri del BIE[3] di Parigi: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
Oggi, secondo i dati più aggiornati[4], più di 800 milioni di persone soffrono la vera fame, vale a dire assumono meno di 1.800 chilocalorie al giorno, la quantità minima per condurre una vita sana e produttiva, due miliardi di persone sono colpite da fame nascosta, quella forma di sottonutrizione che si verifica quando l’assunzione e l’assorbimento di vitamine e minerali (come zinco, iodio e ferro) sono troppo bassi per garantire buone condizioni di salute e di sviluppo e altre due miliardi, invece, combattono contro il sovrappeso e l’obesità.
In questo contesto, comunque, le produzioni alimentari mondiali consentirebbero di sfamare l’intera popolazione del pianeta con i suoi attuali 7 miliardi di abitanti e, secondo i più ottimisti, avviando sistemi di distribuzione e stoccaggio razionale e diminuendo gli sprechi che ogni anno ammontano a oltre 1,3 miliardi di tonnellate, si potrebbero soddisfare le esigenze di altri 2 miliardi di persone.
In tutto ciò, l’importante manifestazione di Milano si propone di riunire in una unica “piazza” reale tutte le culture gastronomiche del mondo e, grazie alla risonanza mediatica, stimolare la riflessione e l’azione di tutte le componenti della società civile (cittadini, aziende private, poteri pubblici) per un impegno concreto a debellare la fame.
Per far questo, è stata approntato un ampio processo di consultazione, elaborazione e redazione di quella che dovrebbe essere l’eredità di Expo 2015, la Carta di Milano, magna charta per il diritto al cibo per tutti, almeno nell’intenzione dei suoi ideatori. Un documento di natura privata, elaborata da centinaia di persone di buona volontà e di estrazione differente, pulito e ricco, ed assemblato poi da “tecnici” del social style.
Ma esaminiamone i contenuti.
 
La Carta di Milano, contenuti  
Da subito si dichiara che il diritto al cibo «debba essere considerato un diritto umano fondamentale», per poi correggere il tiro e dire che «il mancato accesso a cibo sano, sufficiente e nutriente, acqua pulita ed energia» costituisce una violazione della dignità umana: diritto umano fondamentale, e dunque in qualche modo tutelato, o semplice componente della dignità umana, sicuramente importante ma priva di una sua specifica veste giuridica?
Proseguendo, ci si imbatte nel termine iperinflazionato di “grandi sfide” connesse al cibo, «combattere la denutrizione, la malnutrizione e lo spreco, promuovere un equo accesso alle risorse naturali, garantire una gestione sostenibile dei processi produttivi» e ci si impegna «a sollecitare decisioni politiche che consentano il raggiungimento dell’obiettivo fondamentale di garantire un equo accesso al cibo per tutti». Ma è sufficiente impegnarsi a sollecitare decisioni politiche o serve forse un’azione più incisiva e diretta di tutti e di ciascuno? E poi, decisioni in che direzione?
Si declinano quindi decaloghi di generici e abbastanza stantii spot sotto rubriche altrettanto superate quali “crediamo”, “riteniamo inaccettabile”, “siamo consapevoli”, “sappiamo di essere responsabili”, “ci impegniamo” come membri della società civile e come aziende, e ancora “chiediamo con forza a governi, istituzioni e organizzazioni internazionali di impegnarsi”: serie di belle parole politicamente corrette ma prive della minima effettività!
Per non parlare del pleonastico impegno delle imprese a rispettare le leggi («applicare le normative e le convenzioni internazionali in materia ambientale e sociale e favorire forme di occupazione che contribuiscano alla realizzazione personale delle lavoratrici e dei lavoratori»): dobbiamo aspettare Expo per questo?
Cosa dire poi del richiamo alla Strategia delle Nazioni Unite per sradicare la povertà, i famigerati Millennium Development Goals[5]? Il loro raggiungimento è stato posticipato dal 2015 al 2030, senza peraltro ammettere il fallimento delle azioni condotte negli ultimi anni.
La chiusura è tanto solenne quanto laconica: «Un futuro sostenibile e giusto è anche una nostra responsabilità»; certo, ma di proposte concrete nemmeno l’ombra!
 
La Carta di Milano, dimenticanze 
A proposito degli aspetti dimenticati ed omessi dagli estensori della Carta possiamo, senza pretendere di essere esaustivi, almeno proporne alcuni, sapendo che ognuno di essi meriterebbe almeno una riflessione:
– lo strapotere delle multinazionali agroalimentari (alcune delle quali sponsor di Expo!);
– le misure di sostegno alla agricoltura in Unione Europea e Stati Uniti;
– gli accordi commerciali con l’Africa che distruggono l’agricoltura locale;
– i fenomeni criminali del water e land grabbing;
– la biopirateria;
– la privatizzazione e monetizzazione dell’acqua potabile;
– i biocombustibili.
Purtroppo, come riconosciuto da molti, «La “Carta di Milano”, presentata come l’eredità che Expo lascia al mondo, è una grande operazione mediatica, che si limita a dichiarazioni generiche senza andare alle cause e alle responsabilità della situazione attuale»[6] e di questo dobbiamo prendere atto. Di segno opposto, le parole del Premio Nobel per l’Economia Amartya Sen che, entusiasta nel firmare il documento, ha ribadito che le emergenze alimentari «non derivano solo dalla mancanza di cibo, ma sono soprattutto un problema economico, politico, culturale e sanitario. Occorre avere una visione più ampia del problema del diritto al cibo»[7].
E allora, rimbocchiamoci le maniche e andiamo a lavorare la terra! Basta documenti vacui e proclami pubblicitari. La fame si può sconfiggere ed Expo potrebbe rappresentare veramente un primo passo per una nuova alleanza strategica a livello globale, al di là delle carte e delle parole.
 

[1] Cfr. http://www.expo2015.org.
[2] Cfr. http://carta.milano.it.
[3] Cfr. http://www.bie-paris.org.
[4] Cfr. International Food Policy Research Institute, Indice Globale della Fame 2014, Milano, 2014.
[5] Cfr. http://www.un.org/millenniumgoals.
[6] Cfr. http://www.peacelink.it/pace/a/41706.html.
[7] Cfr. http://www.ilgiorno.it/milano/expo-2015/carta-milano-amartya-sen-1.954428.

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