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Poveri a noi – Elvio Carrieri

5 min read

Venanas Edizioni, 2024

pag. 211

euro 16.00

Quanto ci piacciono gli esordienti di talento! Lo ricordo ancora bene, molto bene, l’esordio letterario d’Antonella Lattanzi; come benissimo ricordo quello di Claudia Durastanti, per dire. Questo insomma per porre al centro del tema due piccoli quanto esemplari vicende: ché la bravura la si percepisce immediatamente.

Su consiglio del mio caro amico Francesco Forlani, sono andato innanzitutto a ri-leggere le poesie d’Elvio Carrieri: che per la verità troppo velocemente, m’accorgo adesso, avevo scorso su nazione indiana. In quanto Francesco m’ha consigliato di leggere il romanzo d’esordio del giovanissimo autore barese, “Poveri a noi” (già dal titolo m’ha preso bene, ammetto: dove si sente il rimando al gergo, più che al dialetto: all’italianizzazione d’un modo d’un’esternazione tutta meridionale / pugliese / di Bari).

“Alcuni, quando ne parlo, mi dicono che il carcere è un luogo di vuoti e di pieni. E io non sono mai d’accordo. Mai del tutto, almeno. Di certo, nella mia breve esperienza, ho potuto constatare che l’insegnamento nella dimensione carceraria è sempre escluso da questo dualismo; che al massimo ci sguazza in mezzo. Sempre se ‘sto dualismo esiste. Credo che il ruolo del docente in un istituto carcerario sia in realtà quello di colmare la distanza apparente fra il vuoto e il pieno, che sia per l’appunto un ruolo di tramite, di mediatore”. Questa costatazione, diciamo arriva al capitolo secondo di questa prova d’esordio. Un po’ oltre, appunto, l’epigrafe che non poteva essere se non una citazione di De Angelis, poeta che da decenni insegna in carcere. Più la casualità temporale: questa situazione contenutistica offerta da carrieri arriva dall’interno d’un periodo di riscoperta di Goliarda Sapienza; ma, ancora, dopo che il giovane autore pugliese ha finalmente spiegato ai più l’origine etimologico, forse, del vocativo soprattutto barese: trimone (‘trmon’): usando – fra l’altro – una scorrevolezza e pulizia di scrittura che evitano d’incappare nel macchiettismo.

Un altro passaggio scritto, come si suol dire, in stato di grazia, è quello dentro il quale Carrieri descrive il post-moderno centro di Bari. “Il tragitto che percorrevamo per tornare dal centro di Bari fino a casa di Plinio era il più solitario e drammatico che gli occhi di un sedicenne potessero attraversare. Viale Unita d’Italia, di notte, assumeva le sembianze di una strada perennemente sull’orlo della catastrofe nucleare”. Ed ecco che siamo lì. “Un paesaggio postatomico, ridotto all’inerzia di ‘cosa’, invaso dalle abominevoli architetture anni Settanta che in effetti facevano invocare un paio di chilogrammi di plutonio che dal cielo cadessero liturgicamente sulla testa. Una pioggia di benedizione. Saranno le luci arancioni e la pressocché totale assenza di illuminazione dei negozi che pur abitavano la strada, la presenza di un’inquietante chiesa russa preannunciata da un parchetto arido e frequentato solo da vecchi spettrali, coabitazione quai comica di kebabbari e negozi per appassionati motociclisti: questa strada così centrale, così divisiva e così giustiziera della notte ci permetteva un languore che chiamavamo postmoderno e ci serviva a idealizzare romanticamente la semplice monnezza”. Perfetto. Lì mi sento nuovamente. Ben dentro la “stonatura grottesca dell’impianto urbanistico” del capoluogo della Puglia.

“Nel cortile di una scuola media della periferia barese – è spiegato dall’editore – uno studente viene massacrato di botte da un compagno e ricoverato in prognosi riservata. A distanza di pochi metri, inerme, un altro ragazzo osserva la scena. Il senso di colpa per non essere intervenuto lo tormenterà per sempre. Passano quasi vent’anni. Nel frattempo, dimenticato quel momento tragico, Plinio (la vittima) e Libero (il testimone defilato del pestaggio) sono diventati amici. Un’amicizia basata sulla protezione reciproca. Ma quando Libero, professore in un carcere, incontra Letizia, una psicologa originaria della Valle d’Itria, il rapporto con Plinio si trasforma”. Più il rapporto di Libero col padre, e con se stesso.

Di seguito, invece, rilancio una poesia inedita d’Elvio Carrieri, già presentata all’interno della rubrica poetiappartati di Ni.

Quasi un Lied

Certo mi guardi

Come farebbe un’avèrla

Sul palo che è il ramo

Dove poi finirei scorticato
Credo fra poco

Dovrei darmela a gambe senza ritegno

A che pro finire poi

Con un rametto in mezzo allo sterno

A mo’ di antica preda

Tu avèrla che mi sanguini

Inumata a sacrificio metropolitano

Certo l’istante

Di me col collo aperto in due

Sopra un’antica quercia

Le mani soppresse

Braccato come un selvatico

Odore di muschio felci sorprese

Sotto di me che muoio

Sopra di me che sanguino

Tu avèrla che mi guardi

Di me non puoi farne che questo.

Biografia: Elvio Carrieri (Bari, 2004) è un poeta e un musicista. I suoi testi poetici sono pubblicati per la prima volta sulle pagine baresi di “La Repubblica” quando ha quindici anni. Dal 2022 appaiono su siti letterari e giornali, tra cui “Nazione Indiana”, “Menabó”, “Limina Mundi”, “SUD”. Nel marzo 2023 è finalista al Premio Poeti Oggi e un suo testo è selezionato come poesia del mese sul sito-laboratorio “Poesia del nostro tempo”. Nel settembre 2023 vince il Concorso Amici di Nicco, intitolato alla memoria del giovanissimo poeta Niccolò Bizzarri.

 

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