Intervista a Gianfranco Franchi – Edizioni Del Catalogo
Gianfranco Franchi, scrittore, poeta, critico letterario. Parlaci un po’ di te, della tua formazione.
Ho sangue mitteleuropeo e slavo. Soltanto un quarto di romanità. Sono un giovane letterato di estrazione borghese e granitica vocazione letteraria, come Guido Morselli e diversi altri prima di me. Mi sono laureato in Lettere Moderne con una tesi sperimentale sulle epifanie della menzogna nella letteratura del Novecento. Dal 1997, ho coordinato diversi progetti: riviste letterarie underground, portali di comunicazione e critica letteraria e dello spettacolo, ideazione di format per programmi radiofonici e via dicendo. Vivo per la letteratura. Tutto qui.
Quando hai deciso di dedicarti alla scrittura?
Ho cominciato a scrivere versi da bambino. Attorno al 1997 ho acquisito coscienza di cosa significasse scrivere. Ho bruciato quasi tutto quel che avevo scritto fino ad allora (e buona parte di quel che ho scritto in seguito). Il resto è stato scarnificato e disossato a dovere. Quando ho compreso che non aveva senso parlare di “verità”, di “senso” o di “realtà”, mi sono trovato – come quelli che hanno deciso d’avanzare nella ricerca – di fronte a un bivio esistenziale: l’espressionismo o l’autismo. Ho preferito la prima strada. La letteratura mi libera dalla coscienza dell’impotenza del linguaggio, e della precarietà d’ogni significato. Mi libera dai limiti, e dall’illusione delle categorie e delle verità.
Diciamo che la scrittura ha le sue radici nella lettura. Che tipo di lettore sei? Quali autori sono stati importanti nel tuo percorso letterario?
Sono stato e rimango un lettore eccezionalmente disordinato, curioso ed eclettico. Ho una discreta intolleranza per la ripetizione di strutture, schemi, stilemi e via dicendo; tendenzialmente, quindi, rifiuto quelle letterature che vivono di “imitatio cum variatione” – senza nemmeno sublimare la miseria strutturale con la ricerca d’una diversa lingua. Le ripetizioni – in qualsiasi ambito dell’esistenza – mi soffocano e mi rubano energia. Tutto quel che è ripetizione è nemico dell’intelligenza, e dell’evoluzione.
Il libro che mi ha cambiato la vita è “Dissipatio Humani Generis” di Guido Morselli. Per un’infinità di ragioni. Guido Morselli, Dino Campana, Knut Hamsun, Stig Dagerman e Tiziano Sclavi sono i miei dèi. Ho amato molto il primo Nick Hornby – ma per differenti motivazioni.
Cos’è per te la letteratura?
È l’ultima frontiera della ricerca. Nel linguaggio è la chiave per l’evoluzione della coscienza e dell’intelligenza. La letteratura è il segno dell’esistenza d’un linguaggio originario e perfetto, da restituire agli esseri umani. La letteratura è ribellione ai dogmi, alle ideologie, ai limiti, alle regole, alle leggi. Tutte. La letteratura serve a sprigionare l’essenza.
Scrivere, specialmente negli ultimi anni, sembra essere esigenza di molti, non solo una modalità espressiva, ma un modo di esistere. Perché si scrive? Cosa significa per te scrivere?
Scrivere è un’esigenza di tanti: sì, oggi sembra essere così; oggi, in questo tempo e in questa società, che intorpidisce o impedisce o almeno attutisce dialettica o altra comunicazione non sia, tendenzialmente, funzionale. Una legione di anime si batte per incidere il proprio nome sulla sabbia, sognando che sia letto una volta almeno. Basta loro essere nominati: molto poco, davvero.
Quella non è arte, e non è ricerca; non è letteratura. È comunicazione.
Scrivere è altro. È espressione, esorcismo, sperimentazione: alterazione, trasfigurazione, innovazione; rappresentazione e rigenerazione. In altre parole: la scrittura intelligente è madre dell’evoluzione. Le scritture di massa sono palude per la palude. Merda industriale o catodica.
Si può imparare a scrivere? Cosa pensi dei corsi di scrittura?
Tutto il male possibile. L’editoria forse non sempre è povera: i letterati, gli artisti sono poveri (quindi: moltissimi fanno altri lavori). C’è allora chi, tra loro, gioca a speculare sui sogni e sull’innocenza del prossimo, o approfitta della fame di contatti che regolarmente manifestano gli esordienti. Si impara a scrivere negli anni della scuola dell’obbligo. Il resto è figlio delle letture, del talento, della dedizione all’arte. Nessuno può insegnare niente di diverso dalla grammatica o dall’ortografia: la punteggiatura è il respiro dell’anima. Se poi qualche signore si diletta a insegnare tecniche di “scritture codificate”, o strutture e topoi “di genere”, addestrando menti giovani a ripetere modelli o a emulare canoni e convenzioni, allora quel signore è un assassino della fantasia e dell’intelligenza.
In fin dei conti, l’orrenda moda dei corsi di scrittura è figlia degli Stati Uniti. Era giusto restasse loro patrimonio, come buona parte della loro letteratura.
Che – invece – c’investe, come una tempesta di polvere. Tossica.
Hai partecipato a concorsi letterari prima di pubblicare le tue poesie?
Può essere un modo valido per farsi conoscere?
Ho partecipato a concorsi letterari di poesia fino a quando non ho avuto prove del marcio e delle irregolarità che flagellavano larga parte (le eccezioni non fanno testo, no) delle commissioni composte dai c.d. “grandi nomi”. Dal
Ha ragione Sebastiano Vassalli, quando racconta quel che è l’ambiente letterario italiano. Ho solo un dubbio: perché allora rimane con Einaudi, da una ventina d’anni? Venisse da noi – piccoli, onesti e destinati a crepare sotto le bordate del fisco e a batterci contro i meccanismi della distribuzione.
La battaglia non si combatte distesi sui lettini dei padroni. Altrimenti le proteste sembrano ciarle, nonostante siano giuste.
Fondatore del portale di letteratura e spettacolo, Lankelot. Come nasce Lankelot?
Lankelot è il mio vecchio nome d’arte, adottato sin dagli anni delle riviste letterarie. In principio, www.lankelot.com era il mio sito personale. Nel tempo, si sono uniti alla causa i vecchi amici letterati delle riviste e delle Università, un nutrito gruppo di webwriters, intellettuali indipendenti e scrittori in via di affermazione, o già consacrati. Hanno capito il senso del progetto: restituire luce, spazio e dignità a chi non ne aveva, non ne ha ingiustamente mai avuta, non ne aveva ancora. Rivendicare la libertà d’espressione e restituire la critica alla sua fonte (etimologica): la libertà di giudizio, purché fondata su studio, analisi, interiorizzazione, comparazione. Quando s’applicherà questo metro non solo all’interazione con le opere d’arte, ma alla ricezione delle informazioni dei media “ufficiali e popolari” – allora avremo di che divertirci.
Dopo intensa attività letteraria e numerose pubblicazioni, sei approdato all’editoria. Fondare una nuova casa editrice, oggi in Italia (dove l’editoria è dominata dal monopolio di grandi realtà sia per la pubblicazione sia per la distribuzione e dove scarso è l’interesse per la lettura), è una avventura che testimonia grande passione e grande coraggio. Come si colloca la tua casa editrice nel panorama editoriale attuale?
Si colloca, con suicida Weltanschauung, nel mare magnum degli editori minori: privi di adeguate strutture e di opportuno sostegno economico. Abbiamo coscienza: abbiamo idee: abbiamo un progetto. Utopia.
Paradossalmente, potrebbe non bastare: il libro è un’industria, noi non siamo uomini d’industria; siamo uomini di Lettere. Vogliamo cambiare questa situazione e distruggere queste logiche. Siamo giovani, abbiamo appena cominciato. Se cadremo, come potrà accadere, altri avanzeranno con minor fatica – questa è la mia convinzione e la mia speranza.
Io credo nella distinzione figlia della coscienza della tradizione, e del desiderio d’evoluzione. In Italia esiste un solo, grande modello d’editoria intelligente. Adelphi. Adelphi è una speranza grande. Noi crediamo in un modello come questo. Calasso e compagnia sono stati illuminanti.
Tu hai pubblicato raccolte di poesie. Di solito il percorso dell’esordiente è lungo e difficile. Qual è la tua esperienza?
Ad oggi, ho avuto prova che sia fondamentalmente inutile spedire manoscritti alle case editrici medio-grandi. Dubito vengano sfogliati, se manca una presentazione; d’amico, di nipote, di padrino, di agenzia letteraria (mah…) e via dicendo. Nel mio caso, ho pubblicato previa cooptazione: sono stato contattato dall’editore, o da chi stava organizzando la pubblicazione. Triste pensare alla barca di soldini che da ragazzo spendevo, invece, per mandare manoscritti rilegati all’editoria che contava. Fotocopie, rilegatura, busta, francobolli: per me sangue e sogno, per loro carta da macero.
Italia, 2005. Non esiste altro che non sia l’amico o il nipote o il segnalato, in certi ambienti. A me questa realtà non piace. Allora combatto.
Chi nega sia così già serve quella gente – o ambisce a farlo.
Quali sono i mali dell’editoria italiana contemporanea e quali i possibili rimedi, le possibili soluzioni per dare vita a un’editoria rinnovata?
Il primo male è l’egida delle logiche del profitto economico. Il secondo è il clientelismo, il nepotismo e l’autoreferenzialità. Il terzo è la scrittura figlia dell’ideologia – ancora qualche conato in Stile Libero, ad esempio, da certi vecchi marxistelli. Stesso discorso vale per diversi editori “di destra” – nominarli non serve, non li conosce nessuno a parte qualche addetto ai lavori e i “compagni” di partito o di setta. Io sto esaminando cataloghi e via dicendo e mi sembra siano semplicemente il rovescio della medaglia delle “logiche di Brera”.
Il cancro è la distribuzione. La grande distribuzione è in mano a tre gruppi editoriali. Piccoli e medi editori sono regolarmente taglieggiati – si perde, tra libreria, promozione e distribuzione, circa il 70 per cento del prezzo di copertina. Con quali soldi l’editore pagherà la tipografia, allora, o il grafico, o il revisore di bozze, o l’ufficio stampa?
I grandi, avidi come i borghesi di Grosz o come quel grassone orrendo nella scena del ristorante dei Monty Python, s’allargano e aspettano la mentina. Gliela stiamo preparando. Con amore.
Puoi citare un editore “serio”, che stimi, che potrebbe essere per te un modello?
Adelphi di Calasso. Iperborea, in seconda battuta. Mi stanno nutrendo da anni. Ora sto cercando altri piccoli editori intelligenti, coraggiosi, onesti ed estranei al “banditismo para-tipografico”. Male che vada alla mia azienda, la mia piccola esperienza sarà spendibile dietro le quinte, molto presto.
L’editore Gianfranco Franchi potenzierà o metterà in ombra l’autore Gianfranco Franchi? Continuerai a scrivere poesia e narrativa col fine di pubblicare o rimarrai in futuro promotore “nascosto” di cultura, scopritore di talenti?
Non lo so più. Ero convinto di dimenticarmi d’essere autore, sta avvenendo il contrario. Sto scrivendo racconti e poesie come non capitava da anni. Sto abbandonando la critica, dopo tre anni di dedizione pressoché totale.
È una fase nuova. Senza dubbio rimarrò promotore “nascosto” di cultura, e scopritore di talenti. Questo sia quando morirà Lankelot, sia quando morirà il Catalogo. Ho un modello, come lettore: Bobi Bazlen. E un modello, come mecenate: Tony Wilson. Lui aveva capito parecchie cose notevoli. Il problema è che ho fame d’ombra – Wilson invece non ne aveva affatto.
Lui guadagnava denaro lavorando per i media tristi – quelli del tubo catodico; poi, investiva sui giovani talenti, per creare una scena nuova. Rinascimentale. A Manchester. C’è riuscito. E ha trovato Ian Curtis.
Torniamo a concentrarci sulla nuova casa editrice. I nomi sono importanti. Come nasce il nome Le Edizioni del Catalogo?
In senso misticheggiante: come il Catalogo divino, pre-esistente, che andiamo a restituire alla luce. Scorticando la “corteccia della fonte”. L’origine del nome ha una storia piuttosto complessa. Dovevamo chiamarci diversamente. Un giorno – quando si chiude – ti racconto.
Il Catalogo ha un logo molto particolare, complesso, colto. Qual è il suo significato?
Un giorno, Marsia sfidò Apollo nella sua arte, e lo sconfisse. Il Dio, umiliato, lo scuoiò vivo per sublimare l’invidia. L’illustrazione viene da altra fonte, ma il senso – a un primo livello di lettura – è questo. Puoi leggerci molto altro, immagino. Vedi tu…
Qual è la tipologia, la struttura della casa editrice?
Molto semplice. Due soci: entrambi editor. Uno coordina la comunicazione, in ogni aspetto, l’altro cura estetica, impaginazione ed editing del libro. Gli autori, molti amici e qualche fratello ci sostengono, volta per volta. Ad oggi, questo è quanto.
Quali sono gli elementi che contraddistinguono Il Catalogo? Qual è la politica editoriale?
Avremo – agli dei piacendo – tre collane principali. Poesia, Narrativa e Saggistica. Difenderemo e promuoveremo esordienti, emergenti, dimenticati, ostracizzati o ghettizzati. In cerca d’una letteratura essenziale e necessaria. Oltre a loro, andremo incontro a quanti, già “consacrati”, sentiranno voglia di vivere un’avventura diversa e pulita e nuova. Fino alla fine. Per combattere assieme contro l’industria del libro, contro i gangli malati della distribuzione e della stampa “di servizio”. O noi, o loro. Magari il risultato è già prevedibile.
Ma a me non interessa il risultato. Mi basta avere espresso idee e sogni e averli difesi. Quanto ai miei compagni, non so – credo abbiano voglia di vivere, e ovviamente li capisco.
I libri del Catalogo sono “oggetti” belli, raffinati, curati nella veste editoriale. Impegno estetico, impegno etico. A quali lettori si rivolge Il Catalogo?
A chi ama l’arte letteraria, e conosce la storia della letteratura e dell’editoria. A chi ha voglia di ricominciare a sognare, e di tornare a credere nell’arte.
A chi proprio non ne può più di chi tratta libri come fossero tute o telefonini, e produce e pubblicizza le sue miserie ben finanziate dall’autore, o dalla cricca, di turno.
In Italia si legge poco. Come attirare i lettori in libreria? Cosa si aspetta secondo te il lettore da un editore?
In Italia servono centinaia di nuove, piccole librerie. Bisogna disgregare la mega-libreria, disumana e figlia delle aberrazioni dell’industria del libro. Bisogna restituire il libraio al suo ruolo di guida e consigliere.
Dobbiamo tornare nella nostra dimensione. Siamo mediterranei, non americani. Siamo estranei alla frenesia, ci stucca la pubblicità televisiva, ci stucca l’iper-produzione senza colore e senza riconoscibilità. Vogliamo parlare, vogliamo guardare negli occhi un vecchio amico che ci dice: “Questo libro mi ha cambiato la vita”. Un libro non è un aspirapolvere, cristo santo. Questo, la cricca del palazzinaro di Arcore, i neo-omini rossi di Brera e parecchi altri non l’hanno ancora capito, grazie al cielo.
Le librerie nuove devono essere piccole e specializzate, e prevedere un salottino interno per presentazioni e incontri. E devono poter scegliere da tutti i cataloghi: non solo da quelli di, e degli amici e dei clienti di.
A quali autori si rivolge Il Catalogo? L’identikit del vostro autore-tipo.
Giovane, determinato, espressionista. Intelligente, e combattivo. Innovatore e letterato, per sangue e per scelta. Personalmente, voglio un altro Guido Morselli o un altro Ian Curtis. Ma non decido da solo…
Un giovane autore (più o meno di successo) che ti sarebbe piaciuto scoprire e pubblicare.
Paolo Mascheri, l’artista di “Poliuretano”. Claudio Morici, per il suo esordio, “Matti slegati”. Enrico Pellegrini, sparito dopo aver scritto “La negligenza”. Parlo di artisti nati negli anni Settanta. Ne affosserei parecchi, in compenso, tra i cannibali e i figliastri della letteratura coprolalica o post-femminista, e dunque tutta ridicolmente uterina: restituendoli a più opportune mansioni e a più adeguate e dignitose professioni.
Dalla gestione di un sito amatoriale on-line alla direzione di una casa editrice cartacea le cose cambiano, soprattutto a livello di costi. Quali compromessi (termine detestabile) sei disposto ad accettare per fare decollare i tuoi autori?
Rinunciare a me, in ogni senso – prendendomi direttamente certe responsabilità. Sto già facendo altri lavoretti per pagare tasse, altre copie del libro e via dicendo. Me la sto giocando all’ultimo sangue. Basterà?
Il Catalogo richiede un contributo agli autori? Cosa pensi dell’editoria a pagamento?
Tutto il male possibile. È anche colpa loro se gli italiani non leggono più poesia: hanno spacciato migliaia di volumi di merda in versi finanziata dall’autore per “libri”, e per “poesia”. Ecco i risultati. Per non tacere di quei quotidiani che accettano di sponsorizzare, in prima pagina, certi editori. Che cazzo: ma come si può? Peggio per loro.
Se un autore vorrà comprare – per dire – cento copie del suo libro, non glielo potrò impedire. Ma piuttosto che fargli pagare l’intera tiratura, chiudo. Magari mi indebito e finisco male, ma non voglio dare cattivi esempi. Basta con i tipografi-editori, sono una piaga. Spero che un governo nuovo sappia bandirli per sempre, con una legge adeguata. E inviti quella gente a restituire il maltolto. Investendo, finalmente. Sugli artisti, e non sugli scriventi.
Come pensi di muoverti per promuovere e distribuire i tuoi autori? Qual è secondo te il modo migliore per dare visibilità a un esordiente?
Come un rabdomante. Altro non posso fare. Ovviamente mi riferirò in primis alle testate indipendenti e libere – in rete e non – che già conosco e apprezzo. Quindi, organizzerò qualche presentazione. Infine, conquisterò qualche libreria. Tempo per vivere ne rimane poco, così facendo – ma la letteratura è tutto, e non rimane scelta. Questo è quanto. Quanto alle medie e grandi testate: ci proviamo. Così come proveremo a consegnare copie ad artisti e intellettuali che rispettiamo. Noi lanciamo il sasso e non tiriamo indietro la mano.
Io la distendo, e saluto.
Non m’aspetto più niente da nessuno che sia già parte integrante del sistema della “medio-grande editoria”. Spero soltanto che qualcuno abbia il coraggio di venirci incontro, e di scegliere da che parte stare. Senza paura e senza denari: per l’arte, per il sogno, per seminare per il tempo nuovo.
Il primo libro è fondamentale per fare conoscere una casa editrice che muove i primi passi nel mercato editoriale. Il primo libro del Catalogo è un libro (aggiungerei un gran bel libro) di poesie. Perché partire da un genere letterario considerato di nicchia? Una sfida? Una scelta programmatica?
È un suicidio programmato con intelligenza. Siamo costretti, dalle logiche figlie dell’industria del libro e della distribuzione-taglieggiatrice, a scegliere tra una stupida e artificiosa emulazione di modelli invincibili, e una adeguata e opportuna scelta estremistica. Io sono un estremista e dico che non dobbiamo rinnegarci: ci emarginerebbero in ogni caso. Allora – ripeto – esaltiamo l’emarginazione: viva la differenza. Che bello, quel mulino a vento. Adesso lo carico. Sei con me?
Come hai scelto il tuo primo autore? Sei in contatto con agenzie letterarie, agenti letterari?
Patrick Karlsen è una delle anime storiche delle nostre riviste, dalla fine degli anni Novanta, ed è redattore di Lankelot. Conoscevo bene i suoi talenti di poeta e ho splendide sensazioni a proposito del suo futuro di intellettuale e di artista. Investire su Karlsen, o su Diliberto, è facile: sono dei giovani di genio.
Il dramma sarà quando dovrò investire su giovani di buon livello. Sai che faccio? Chiudo prima, e non ci penso più. Ah, ah.
Come avviene la selezione e la valutazione dei manoscritti?
C’è qualche artista che trova il coraggio di farsi conoscere senza “abbordarci” con letterine da primo impatto, più adatte ad altra gente che a noi. E spedisce il manoscritto. Leggiamo in cinque o sei. Ci confrontiamo. Immaginiamo strategie. Quindi, richiamiamo l’autore.
Sei pazzo a cominciare con le Edizioni del Catalogo. Sì? Bene: sei convinto? Avrai quel che nessun’altro potrà garantirti, in termini di cura editoriale e di dialogo autore-editore; ma ti leggeranno – se va bene – mille persone. Non andrai in televisione. Spero non ti dispiaccia. Non sarai famoso. Guadagnerai una miseria. Sei d’accordo? Bene. Con noi: a noi.
Cosa ti colpisce in un manoscritto? Quali sono gli “ingredienti” essenziali che suscitano il tuo interesse, la tua curiosità?
La lingua letteraria, le reminiscenze, la sperimentazione e le provocazioni.
Amo le ibridazioni, e la renitenza ai generi.
Voglio leggere solo libri necessari. Il superfluo o il già scritto mi stucca a morte. Lo lasciamo volentieri agli altri editori italiani – per gli scaffali delle grandi librerie.
Comunicate l’esito della valutazione dei testi (se negativa)?
Non sempre – non riesco, personalmente. Devo coordinare 140 persone su Lankelot, revisionare i loro scritti e via dicendo; se rispondessi a tutti quelli che mi inviano curricula o romanzi, impazzirei. Se un giorno potremo strutturare la casa editrice come una famiglia vera di cinque, sei letterati, stipendiati e via dicendo…allora sì, sarà un dovere morale rispondere a tutti – sempre.
Fino a quel momento, non posso promettere risposte a nessuno.
Fate l’editing dei testi?
Come nessuno tra i piccoli e medi editori italiani. La battuta ti sembrerà arrogante: niente affatto, ti assicuro. Sono un uomo pieno di difetti e vizi, ma non sono presuntuoso. È proprio perché non sono io a curarmene, e ho visto come lavora chi se ne cura, e ho letto seicento libri negli ultimi tre anni, studiando l’intero sistema editoriale nazionale, è proprio per questo che posso sbilanciarmi.
Io ho un approccio diverso rispetto a Marco – intervengo molto meno sui testi.
Lui è un filologo classico, vive col testo un rapporto carnale. Vede sangue dove io vedo uno scheletro.
Potremmo dire (con riferimento al titolo del primo libro edito dalle Edizioni del Catalogo) che il Catalogo è una delle prime case editrici italiane “postnovecento”.
A questa impresa si addice la citazione utilizzata in apertura dell’opera
“Ma misi me per l’alto mare aperto / sol con un legno e con quella compagna / picciola dalla qual non fui diserto.”
Quali le maggiori difficoltà incontrate finora?
Oltre a quelle già nominate – distribuzione in primis, da inventare “creativamente”, il nemico ha nome e cognome: INPS, e fisco – in generale.
Nessuna agevolazione per le imprese come la nostra. E dire che siamo del 1978, e che non volevamo aprire una fabbrica di mollette, rubinetti o interruttori – con tutto il rispetto.
Tasse mostruose, orrenda quota minima per l’INPS, sia che si vada in rosso, sia che si guadagnino 16999 euro. Ci distruggerà lo Stato, come Snc, prima ancora che la concorrenza. Succede…agli onesti. Già.
Sed: malo mori quam foedari (a certa gente).
Almeno: questo vale per me, come editore.
Qualche anticipazione sulle prossime uscite e sulle iniziative del Catalogo.
Vi aspettiamo su www.delcatalogo.com e su www.lankelot.com – scandagliateci e saprete tutto.
Stiamo lavorando sull’esordio di Paolo Diliberto. Poeta contemporaneo, zanzottiano. Notevolissimo. Poi si vedrà. Io vorrei chiudere con un terzo libro, e poi non pubblicare più poesia per un decennio. Pensavo fosse ingiusto pubblicarmi, e fosse irrispettoso nei confronti di chi mi ha preceduto. Conosco il loro valore, conosco il mio. Pensavo fosse – oltretutto – eticamente inopportuno. Il guaio è che se continueremo ad avere difficoltà economiche questo sarà l’unico modo per proporre un libro senza chiedere contributo all’autore: perché l’autore coinciderà con l’editore. Mi auguro di poter evitare questa scelta – se succede, significa che stiamo già a un passo dal primo kaputt – almeno, come Snc. Quindi…se t’è piaciuto questo primo libro, spera che il terzo non sia uno dei miei. Significherebbe “allarme rosso” per le casse dell’azienda. Perché lo dico? Perché, appunto, non sono un uomo del marketing: trasparenza è la parola d’ordine, nella cultura. In questo tempo nuovo, che vogliamo contribuire a scolpire, giorno dopo giorno, dovrà essere così.
Grazie per il tempo che hai dedicato ai lettori di KVP e in bocca al lupo per la tua attività.
Grazie a te, grazie a voi. La tua recensione mi ha entusiasmato. Hai una scrittura trascinante – stile incisivo e grande profondità d’analisi. Complimenti.
Spero che la collaborazione tra Lankelot e KVP possa svilupparsi e perfezionarsi, nel tempo. E che, assieme, si possa contribuire alla nascita di qualcosa di nuovo.
Stefania Gentile