Antologica di Camille Pissarro al Palazzo dei Diamanti, a Ferrara, polo artistico ormai da molti anni, dopo l’incipit del maestro Franco Farina, che ha saputo con acume organizzare mostre di carattere nazionale, dando l’avvio ad una feconda "campagna" di scambi e collaborazioni con comuni, enti, biblioteche anche straniere, dando nel contempo la possibilità ad artisti emergenti senza lasciarsi influenzare da influssi esterni o da tendenze asfittiche, dando un margine di espressione a una panoramica artistica che ci ha fatto ammirare artisti di varia estrazione ed età. E’ grazie a lui che che si è assistito anche ad una feconda collaborazione tra Comune Provincia e banche, per sponsorizzare iniziative congiunte mentre altrove si infognano in sterili e controproducenti polemiche a compartimenti stagni.
Andrea Buzzoni, pur rientrando nell’alveo del predecessore Farina, punta per lo più sul sicuro, affidando la sua politica culturale a nomi di artisti di sicuro prestigio e notorietà. Purtroppo non c’è lo spazio per artisti validi sì, ma meno noti che non trovano approdo.
Camille Pissarro, nato nel 1830 a Saint Thomas nelle Piccole Antille, da Rachel di Santo Domingo e Frederic, francese ma d’orogine portoghese, approdato a Bordeau. Dal ’44 al ’47 Pissarro studia a Passy, all’istituto Savary, dove vengono notate le sue capacità di disegnatore. Tornato a Saint Thomas, il giovane Camille lavora nel magazzino paterno, nel porto, vero crocevia, di cui egli disegna le navi in transito. Poichè l’isola è possedimento della corona danese, Pissarro ne manterrà la nazionalità, accostando artisti conterranei, come Fritz Melbye, che lo incoraggia a seguire la vocazione pittorica, decidendo di imbarcarsi con lui segretamente per il venezuela per l’ostilità della famiglia, restandovi fino al 1854. Il tutto per sfuggire ad un destino borghese. Una ‘pazzia’ simile l’aveva compiuta il poeta Dino Campana, che rievoca la sua ‘avventura’ nei ‘Canti Orfici’, ma s’era imbarcato a Genova, come clandestino, e si era dovuto pagare il biglietto… spalando carbone. Del resto il fascino del viaggio, dell’esotico, aveva colpito anche Rimbaud: il Grand Tour nel Bel Paese non bastava più, per evadere dai loro angusti orizzonti. Del resto Gauguin avrebbe lasciato la professione di solido ‘operatore di borsa’ per stabilirsi nelle isole Marchesi, di cui abbiamo puntuale resoconto nelle "lettere al fratello Teo".
Pissarro condivide l’ateliere a Caracas con Melbye, eseguendo lavori su commissione; di questo difficile periodo, in cui si affranca da legami asfittici, sopravvivono ben 200 disegni, ben più vigorosi e sintetici, rispetto a quelli dell’amico che opera riproduzioni più vere del verosimile. Graficamente, la tecnica incisoria elimina i contorni dei soggetti, in cui la densità delle ombre, i tratteggi obliqui, che s’intersecano in griglia, presagiscono le vedute dei porti e le scene rurali. Ma lo attende un anno sabbatico, per avere approvazione e mezzi per vivere a Parigi, dove approda nel ’55 assistendo così allo scontro tra Ingres e Delacroix, essendo il primo classicista alla David e il secondo esponente di un’abbreviazione espressionistica del dato sensibile, che indaga con analisi minuziosa e con approccio filosofico, come si desume dai "Diari", rivelando notevole talento nell’estetica d’arte, come Charles Baudelaire, nelle recensioni del SALONS. L’Expo del 1855 è specchio delle disperate tendenze del tempo e rivela anche Courbet, in una variegata gamma di paesaggisti, da Corot alla scuola di Berbizon, il cui unico trait d’union è l’amore per la natura, come del resto avrebbero fatto in casa nostra i Macchiaioli, sotto l’egida di Diego Martelli.
Pissarro riesce a "épater les bourgeois", convivendo con la domestica cattolica Julie Vellay, in netta antitesi alla famiglia ebraica, sposandola poi dopo la morte del padre, nel 1871 a Londra e mettendo al mondo quattro figli.
Per molti anni vive nei dintorni di Parigi: Montmorency, la Roche-Gouyon, Varenne Saint-Mur, Champigny sur Marche. frequenta l’Academie Suisse, dove conosce Monet, Cezanne e Guillemin. Nel 1856, il grande Corot, di cui ricordiamo le memorabili "vedute della laguna veneziana", lo accoglie generosamente, consigliando di dipingere un "motivo".
I primi disegni di Parigi riproducono soggetti esotici di Saint-Thomas, probabilmente eseguiti dal vero. Partecipa al Salon des Reimses del 1863 del ’64 e del ’65; la divisione classica tra schizzo e dipinto sarà abolita dall’impressionismo, in cui il dipinto assume la spontaneità dell’abbozzo, come il suo "Rive della Marna", ispirato alle vedute fluviali di Chitreuil e Daubigny, in cui si calibra un diverso registro nella resa sintetica delle forme plastiche.
Al Salon del ’66 il suo "Paesaggio Invernale" attrae l’attenzione di Zola che segue i dettami artistici dell’amico Cezanne, che ne parla favorevolmente ne ‘L’Evenement’. Nello stesso anno si stabilisce a Parigi, frequentandovi il Café Guerbois a Batignolles, in cui gravitano Monet e gli Impressionisti. Risiede nel quartiere Hermitage, in una collina alberata, che l’artista riproduce in una serie di dipinti dal vero, in una gamma sapida di verdi, bruni e bianchi, in originali innovazioni di struttura, in una "texture" imperniata su solida trama geometrica, con interventi di pastosità di tacche a spatola, in filamenti guizzanti, in cui s’assiste all’andamento sinuoso della pennellata, con spazi "a risparmio" che lasciano respirare la composizione, valorizzando effetti luministici e d’atmosfera: una tecnica che incontra il favore di Cezanne. I dipinti di questa serie entrano al Salon del ’66 e saranno apprezzati da Redon e Zola, che li recensisce in termini lusinghieri su ‘Fevenement’ del 19 maggio.
Di questo periodo è la Banchina di Polthuis; nel ’69 si stabilisce vicino a Parigi a Louveciennes; con Monet e Renoir la balera e il lido della Grenouilliere, presso Argentuil, mettendo in pratica i principi ottici dell’impressionismo, nel rifrangersi della luce attraverso il fogliame, sulla superficie acquorea, frammentando le pennellate in colori chiari; del resto ormai era noto l’approccio scientifico della fotografia nella resa di corpi in movimento, oltre agli studi sulle alterazioni cromatiche di strutture cinetiche di Chevreul. Di questi studi risente l’Impressionismo nonchè il successivo Divisionismo di Seurat e Sisley.
Pissarro esegue varie versioni della strada di Versailles, orientando vari angoli visuali e prospettivi, in cui la resa paesistica sfocia in un arretramento dello sfondo, un espediente mediato dalla pittura olandese, ripreso dai pittori di Barbizon e da Corot, adottando la strada tortuosa, che focalizza l’attenzione verso il secondo piano, curvando lo spazio, inserendo un movimento trasversale di ombre e luci, in una trasposizione frammentata, a virgole in una gamma cromatica sommessa, ma punteggiata di luci.
Nel 1870, Pissarro sfugge all’invasione tedesca e si rifugia dall’amico Piette a Montoucault, risiedendo poi a Londra, per sette mesi, ritrova Monet e conosce il mercante Paul Durand Ruel, generoso sostenitore degli impressionisti in una lettera del 1902 a Dewhurst, afferma il valore di Turner e Constable per la resa di valori d’atmosfera e luce, ma attribuendo un debito alle radici della pittura francese, di Clout, Lorrain, Chardin e poi Corot, come base della ricerca pittorica, non avendo capito gli artisti inglesi "l’analisi delle ombre", limitandosi a spettacolari effetti esteriori. L’alternarsi della luce e dell’ombra è alla base dell’impressionismo, essendo le ombre, spesso gli oggetti invisibili, a scandire la superficie pittorica; la struttura è la trama solida e permanente, l’ombra il flusso immateriale e mutevole. Mentre lo studio dei riflessi sull’acqua ha comportato la divisione di toni, lo studio dei riflessi sulla neve ha fatto scoprire le ombre colorate, come dimostra la serie di quindici opere dipinte a Londra. La solidità, altrimenti a tutta prova, dell’impianto formale, è intaccata dalla luce evanescente, che svapora nello sfumato, nel velo di foschia, in sbuffi di fumo che s’insinuano nei nembi, che circonfondono i monumenti, come Dulwich College e Chrystal Palace e i reperti della rivoluzione industriale ai cui effetti sull’architettura e sull’arte il Klingender ha dedicato una magistrale ricerca. La prima locomotiva in pittura si deve a Turner (1843) e allo stesso soggetto Pissarro dedica il tema impressionistico della ferrovia, ripreso da tutto il gruppo e da Monet. La locomotiva di Turner, travolta da un vortice visionario di vapore, fumo, velocità che l’artista spericolatamente aveva ripreso calandosi all’esterno di un finestrino di un convoglio in movimento; invece, quella di Pissarro sfiora il fianco di una collina, senza intaccarne la struttura formale.
Nel 1871 l’attende la sgradita sorpresa di trovare la casa di Louveciennes saccheggiata dai prussiani; si dedica febbrilmente al lavoro, adottando una sospensione di valori e colori, tra il filtro paesistico di Corot, che disgrega la compagine nel dato sensibile in valori essenziali, e il tripudio della luce. Nel Port Marly, il lavatoio, dominato dalla curva della strada sullo sfondo. Dal ’72 trascorre un soggiorno decennale a Pontoise, mentre Monet si stabilisce ad Argentuil, attratto dal miraggio dell’acqua, come Renoir, Caillebote, Sisley e Manet; la plasticità del paesaggio attrae Pissarro, Cezanne e Guillamin.
Pissarro è l’unico a partecipare a rassegne impressioniste, apprezzando in pittura Degas, Gauguin, Van Gogh; in scultura, Rodin e Medardo Rosso che applicava il verbo impressionista, intaccando la solidità dell’anatomia, attraversata dalla trasfigurazione luministica, adottando la cera, come medium estremamente plasmabile. Comunque è sempre in contatto e fecondo scambio con Cezanne, che nel 1872 si stabilisce ad Auvers, dove risiedono anche Daubigny e il dottor Gachet; a questo periodo, cui sono attribuibili ben 300 lavori, risale anche il "Ritratto di Cezanne", col colbacco, come un mugik russo, in buona compagnia delle sue opere, riprodotte sul fondo. L’usuale saldezza dell’impaginazione formale, il senso della costruzione, si affiancano a paesaggi fluviali marcatamente impressionisti, per la chiarezza dei colori e la parallelizzazione della pennellata e altri, dichiaratamente industriali, a Saint-Quen L’Aumone: una resa paesistica, costellata di ciminiere fumanti.
Ancora ben definiti nei contorni sono il delizioso "guardiano d’oche", ma il colore sfuma nella pittura tonale, appena scalfita dal tetto rosso della casetta; la banchina a Pontoise assume valore di un quadro di costume, con una coppia anziana che sembra quella dei "bevitori di assenzio" di Manet. Ridente è il paesaggio, sormontato da cirri di paesaggio collinare con contadini; senza condividere il misticismo di Millet. Aderisce infatti al movimento anarchico; pur senza condividere episodi di violenza, sara costretto a trarre scampo nella fuga e nell’esilio, come dimostra il periodo di soggiorno londinese. Il paesaggio a Pontoise ci mostra contadini al lavoro e una capretta, mentre sullo sfondo sono accatastati gli strumenti e i materiali delle attività rurali.
Uno dei più avvincenti tra questi paesaggi è Dort Marly, il lavatoio, in cui ci si immerge in una struggente atmosfera intimista, nello sciabordio d’acque, mosse dalle chiatte sul fiume.
Il paesaggio "Fabbrica vicino a Pontoise" è già sfumato, in un galleggiare alla deriva di un arcipelago di nubi, rischiarate da sprazzi di luce, che si specchiano nel velo acquoreo, increspato dalla brezza; una gamma variegata verde intesse la texture di un paesaggio simbolista, immerso nel silenzio; il verde è appena ‘scaldato’ da strisce di terreno chiaro, in cui giocano chiazze di luce; l’aria immota e il silenzio sono appena intaccati da due contadine e da un seminatore, coadiuvato da un cavallo da tiro.
Variegato il paesaggio della "raccolta delle patate", in una gamma affocata di tocchi rossastri, su cui si individuano figure di contadine; sullo sfondo, che risente delle calde sfumature autunnali, un paio di casette e colline digradanti s’individuano in prospettiva; la ‘Fattoria Monfoucault’, in cui l’artista si era rifugiato, trovando un’oasi di pace e serenità è un gioco appena percettibile di sfumature tenui, in una luce invernale, che appena sfiora le case in sasso vivo dai tetti spioventi, tra colline dolcemente incurvate, solcate da alberi ed appezzamenti smaltati di campi.
Delicato, il guazzo "L’inverno, ritorno dalla fiera", risolto in una lunetta, su cui si dispone una varia umanità: borghesi in cilindro, carri con bestiame, contadini e bambini, accanto a covoni di fieno.
Teneri, i gruppi di bimbi di "Angolo di giardino all’Hermitage", tra aiuole policrome, che giocano su una panchina.
Molto belle certe figure di contadine, come "Studio per una sarchiatrice" e la pensierosa ragazza di "Contadina in un interno", in uno spaccato domestico, di cui s’intravede l’interno di una stanza, dominata da un letto massiccio, mentre le tendine fiorite sembrano quelle di Bonnard e Vuillard o in certe estenuazioni, forse vi sarebbe ispirato Matisse.
Sono già di sapore impressionista, tradotte come sono in chiazze e virgole di luce colorata, le paradossalmente allegre "Esequie del cardinale Bonnechose" eseguite a Parigi nel 1883.
E’ tutto uno sfarfallìo, un cromatismo corpuscolare, già risentendo del Divisionismo di Seurat e Sisley, "Campi al sole" del 1880, un acquerello delicatissimo, cui forse avrebbe guardato De Pisis, per la sua pennellata sinuosa e danzante.
Con "Contadina che volta il fieno", si pensa in parallelo, ai macchiaioli, al Lega, mentre "Donna che stende il bucato" è tutto un graduare del corpuscolarismo, a un disgregarsi della compagine, essendo i contorni delle figure e delle case appena accennati; sembra invece più saldo il disegno dell’acquerello "La raccolta dei piselli" sulla base di un disegno a matita nera; evanescente invece il gioco della trasparenza, in cui effetti luministici si soffondono, fino a lambire il paesaggio, che sembra risentire di Lorrain, scivolando sulle figure delle contadine.
Delizioso, l’acquerello "Terreno coltivato a Fragry", in un accostamento di chiazze policrome che intaccano il dolce profilarsi delle colline, sfiorate da velli di nubi; "Pastore e pecore", un pastello radioso avvolto in una calda atmosfera autunnale; avvincente il microcosmo policromo di "Guardiana di oche", iscritto in una lunetta, l’acquerello racchiude un’entità verdeggiante che sfuma in toni cangianti, in un cielo brumoso; in primo piano la guardiana, seguita da una processione di ochine, intesse un dialogo con un contadino.
Il ponte di Boleldieu a Rouen "tempo brumoso" ci mostra gruppi di animali e sulla superficie fluviale, alcune chiatte emanano densi fumi che si confondono nella foschia; la variante dello stesso soggetto, irto di ciminiere sbuffanti, è giocato su una gamma di grigi, appena scaldati da ocra pallido e da tetti di un languido rosa.
E’ tutto un brulicare di vetture, con una folla sciamante, una serie di vedute parigine che son fin troppo pullulanti di elementi, esprimono gaiezza e il movimento, ben diversamente dalle piatte cartoline di Utrillo, con buona pace di sua mamma, la grande Suzanne Veladon!
Pissarro
Giuliana Galli