"Giullari, menestrelli, poeti di corte, all’alba del Giubileo
è giunto il momento di fare posto a
Kult Underground".
Nessuna ostentazione, nessuna parola ridondante per riempire alcun silenzio. Nessun urlo che facesse a gara con i decibel della musica. Perché c’era anche la musica ma non era lei l’interprete indiscussa. Come spesso succede che si alza il volume per mascherare mancanze.
C’erano protagonisti, non c’era un protagonista. Eravamo interpreti tutti quanti e soprattutto tutti quanti d’accordo nell’attribuire il premio a honoris alla comunicazione.
Ma neppure lei era protagonista, era semplicemente un ospite d’onore umile, in quanto consapevole di essere specchio delle persone che si trovavano lì per celebrarla. Manifestazione del loro linguaggio.
Le parole erano ovunque, alle pareti, ai muri, partecipi anche loro. Su cubi espressionisti improvvisati cantastorie, persino ai terminali. Perché i terminali, le poesie esposte, i dipinti, svolgevano la loro funzione, immortalandosi portavoce del pensiero di tutti coloro che in Kult hanno trovato labbra che si muovono al suono della propria mente, interpretandola.
Troppe volte la sensazione che mi ha accompagnato alla fine di una festa è stata quella di aver perso tempo, di aver arrancato a stento nella palude del sentimento del suo scorrere percepito troppo fortemente. Troppe volte mi accompagnava silenziosamente il suono sommesso di una clessidra che lasciava percepire il suono tenace della sabbia scivolata in basso, prima del nuovo giro, inesorabile annunciatrice dell’istante perduto. Ma io sono innamorata della melodia cantata dalle parole e quella sera ho sentito unicamente il suono di quelle.
KULT Underground Party
Giorgia Mantovani