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Dieta mediterranea come Patrimonio dell’umanità

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«Le patrimoine immatériel ne peut être sauvegardé efficacement que si ceux qui sont en rapport avec lui assument la responsabilité d’en assurer eux-mêmes la sauvegarde en tant que partie intégrante de leur vie»
(Musa bin Jaafar bin Hassan, Conferenza generale dell’UNESCO, Tokyo – 3 settembre 2007)
 
Può parere strano, ma il diritto internazionale si pone a tutelare pure l’amata dieta mediterranea: sì proprio quella ereditata dalla storia millenaria di tutti i popoli del Mar Nostrum, composta da pane, pasta, patate, cereali e legumi, olio di oliva, verdura e frutta di stagione, formaggi, pesce, carni bianche e rosse, vino.
Ma andiamo con ordine.
In occasione di Alimentaria 2008[1], la fiera internazionale del food & beverages tenutasi dal 10 al 14 marzo scorso a Barcellona, i competenti ministri delle politiche agricole di Spagna, Italia, Grecia e Marocco hanno avviato le procedure per ottenere da parte dell’Unesco[2], l’agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, il riconoscimento della “dieta mediterranea” quale “patrimonio culturale immateriale” dell’umanità e, come tale, oggetto di salvaguardia specifica.
Difatti, proprio in seno a questa organizzazione internazionale, il 17 ottobre 2003 è stata adottata la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale[3], di cui sono parti ben 93 Stati[4].
Per capire di cosa si tratta e quale sarà la tutela riconosciuta alla dieta mediterranea, prendiamo in esame il disposto dell’art.2 della stessa Convenzione. In questo, sotto la rubrica “Definizioni“, si offrono le chiavi di lettura della questione e, dunque al n.1, si stabilisce che «per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale».
Risulta immediatamente chiaro quale ampiezza si voglia dare a tale patrimonio e, a maggior ragione, si precisa che esso, «trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana».
Nel quadro della coerenza giuridica della comunità internazione, risulta poi ovvio che «si terrà conto di tale patrimonio culturale immateriale unicamente nella misura in cui è compatibile con gli strumenti esistenti in materia di diritti umani e con le esigenze di rispetto reciproco fra comunità, gruppi e individui nonché di sviluppo sostenibile».
Al n.2 dello stesso articolo, la Convenzione precisa che manifestazioni del patrimonio culturale immateriale possono aversi con tradizioni ed espressioni orali (comprese le lingue), arti dello spettacolo, consuetudini sociali, eventi rituali e festivi, cognizioni e prassi relative alla natura e all’universo, artigianato tradizionale.
Per quanto riguarda, invece, le azioni concrete di tutela da porre in essere, si chiarisce che “salvaguardie” sono tutte «le misure volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, ivi compresa l’identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione, in particolare attraverso un’educazione formale e informale, come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale».
Con la ratifica della Convenzione del 2003, tutti gli Stati parte si sono impegnati, a livello nazionale e sovranazionale, per elaborare uno o più inventari[5] del patrimonio culturale immateriale presente sui propri territori e per tenerli regolarmente aggiornati. Inoltre, si è esplicitata la volontà di collaborare per la realizzazione di interventi organici dotati di maggior efficacia.
A titolo di esempio, all’Italia sono stati riconosciuti come beni meritevoli di particolare tutela l’Opera dei Pupi siciliani e il canto a tenore tipico della cultura pastorale sarda.
Da parte sua, l’Unesco provvede periodicamente alla stesura di un elenco[6] di beni rappresentativi dell’intera comunità umana e, così facendo, introduce l’interessante concetto di “rappresentatività” del patrimonio culturale immateriale per il quale un bene può al contempo risultare “rappresentativo” della creatività dell’uomo, del patrimonio culturale di singoli Stati, ma anche del patrimonio culturale delle comunità locali che sono le vere detentrici delle tradizioni in questione.
Caratteri essenziali del patrimonio risultano, in definitiva:
          la trasmissibilità di generazione in generazione;
          la possibilità di essere ricreato in maniera permanente dalle comunità e dai gruppi umani, in funzione della loro interazione con la natura e la storia;
          la capacità di procurare alle comunità umane di riferimento una sensazione di identità e continuità;
          la partecipazione alla promozione del rispetto delle diversità culturali e della creatività;
          la coerenza con gli atri strumenti internazionali relativi ai diritti umani;
          la conformità alle esigenze di rispetto reciproco tra le comunità e di sviluppo sostenibile e duraturo.
Tutto questo porta a sostenere che il patrimonio immateriale dell’umanità è e deve rimanere legato alla tradizione ed è fondamentalmente “vivo e vivente”.
Il vero depositario di questo patrimonio risulta essere lo spirito umano, e il corpo umano sostanzia il principale strumento della sua rappresentazione o – letteralmente – della sua incarnazione.
Molti beni del patrimonio culturale immateriale sono oggi messi in pericolo dalla globalizzazione omologante ed è per questo motivo che l’impegno dell’Unesco e di tutti gli Stati chiede rinnovate energie per proteggerli e trasmetterli alle generazioni future in maniera integra.
Per quanto riguarda la procedura che seguirà la domanda relativa alla dieta mediterranea, i Paesi proponenti, Spagna, Italia, Grecia e Marocco, costituiranno dei gruppi di lavoro congiunti per l’approfondimento delle motivazioni (culturali, storiche, economiche, alimentari, sociali, sanitarie) a sostegno della candidatura; di seguito il Comitato[7] prenderà in esame il dossier e, entro l’inverno del 2009, renderà note le proprie decisioni.
Certo è che “dieta mediterranea” è sinonimo di vita e benessere, storia e cultura, tradizione e innovazione, e, già solo per questo, merita di essere apprezzata e tutelata, nelle assise internazionali e nelle tavole di ogni giorno.
Buona fortuna, allora, e buon appetito!


[1] Cfr. http://www.alimentaria-bcn.com.
[2] Cfr. http://portal.unesco.org.
[3] Per il testo in italiano, si veda http://www.unesco.org/culture/ich/doc/src/00009-IT-PDF.pdf.
[4] Alla data del 19.03.2008, fonte ufficiale Unesco.
[5] Per la lista di beni patrimonio culturale immateriale dell’umanità presentata dal Governo italiano sino al marzo 2008, si veda il sito  http://www.unesco.org/culture/ich/index.php?select_country02=&select_country06=&select_country04=&select_country03=&select_country05=IT.
[6] Per l’inventario steso dall’Unesco, si veda il sito http://www.unesco.org/culture/ich/index.php?lg=FR&pg=00173.
[7] Cfr. http://www.unesco.org/culture/ich/index.php?pg=00173#TOC1.

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