O le frontiere le varcano le merci
oppure le varcano i soldati
Claude Frédéric Bastiat
Quando un gruppo di Paesi si accorda per applicare gli stessi “dazi di importazione” sulle merci provenienti dal resto del mondo e che entrano da una qualsiasi delle sue dogane, crea una “unione doganale”[1].
Il dazio in economia è una “barriera artificiale” applicata agli scambi di beni tra due o più Paesi, mentre dal punto di vista politico, il dazio costituisce uno strumento di protezione di alcuni settori economici nazionali, quando questi non riescono a competere con imprese concorrenti estere. L’uso sistematico di questo strumento si configura come “protezionismo”. Nella maggior parte dei casi il dazio viene riscosso attraverso una “dichiarazione doganale”, pagata dall’importatore.
L’unione doganale dell’Unione Europea rappresenta un esempio unico. Dopo i due conflitti mondiali nacque l’idea di un “grande mercato europeo” dove una delle principali innovazioni fosse appunto l’abolizione dei dazi per le merci scambiate all’interno degli Stati che ne facevano parte (area di libero scambio); da questa idea nasce nel 1951 la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), primo esempio di materiali in libera circolazione tra i sei Stati fondatori (Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo), senza alcuna imposizione di tasse, se non l’IVA nazionale.
Naturalmente fu questo l’esperimento che anticipò la nascita, pochi anni dopo, della Comunità Economica Europea (1957): in questo ambito non ci si limitò all’aspetto “interno”, relativo all’abolizione dei dazi doganali e degli altri ostacoli non tariffari alla libera circolazione delle merci tra gli Stati membri della Comunità (divenuta più tardi Unione Europea), ma si previde anche l’attuazione dell’aspetto “esterno”, cioè la fissazione di una “tariffa doganale comune” nei confronti degli Stati terzi, avendo come obiettivo finale la fusione dei mercati nazionali in un più ampio “mercato unificato”.
Posta a fondamento del processo di costruzione europea, l’unione doganale dell’UE oggi è disciplinata nella parte terza, titolo II, capo I del TFUE (artt. 28-31), costituisce il nocciolo del mercato interno e, per l’ampiezza e la profondità dell’integrazione realizzata, rappresenta l’esempio più avanzato di regionalismo economico nell’ambito del commercio mondiale[2].
Per attuare l’Unione Doganale fu necessario non solo eliminare i dazi doganali e le altre regolamentazioni commerciali restrittive negli scambi mercantili tra gli Stati membri, ma anche instaurare una Tariffa Doganale Comune (TDC) applicata e interpretata in modo uniforme da ciascuno degli Sati membri.
Spesso da parte di noi semplici consumatori viene stigmatizzata la “eccessiva” regolamentazione europea relativa alle caratteristiche di prodotti industriali, agricoli etc. oggetto di scambi commerciali intracomunitari o provenienti da Paesi extra-comunitari: tali dettagliate normative europee mirano a superare le eventuali regolamentazioni nazionali che impediscono l’ingresso di determinati prodotti in quel mercato; in altri termini se una norma comunitaria (sovraordinata) non stabilisse la lunghezza massima e/o minima di una zucchina, o di altro prodotto similare, la regola nazionale difforme costituirebbe un fattore restrittivo degli scambi tra Stati membri e con Paesi extracomunitari. Anche le regolamentazioni UE “dettagliate” sono necessarie al Mercato Unico al fine di consentire la libera circolazione del prodotto “zucchina”, riconosciuto come tale da Stoccolma a Palermo.
L’unione doganale «estesa al complesso degli scambi di merci», oltre a essersi ampliata nel territorio e nel numero degli Stati membri, da 6 a 27, si è evoluta diventando il nocciolo di un mercato unico senza frontiere interne (art. 26 TFUE), e, per effetto della realizzazione dell’unione monetaria, è ulteriormente progredita verso lo stadio della “unione doganale perfetta”, nella quale, salvo eccezioni, la libera circolazione delle merci concerne anche «i prodotti non originari» immessi in “libera pratica” (art. 28 TFUE), una volta che questi siano importati nell’area dell’Unione in osservanza della TDC, dopo cioè che sono state espletate le formalità d’importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili. L’Unione D. fu attiva a partire dal 1968, attraverso un processo di realizzazione graduale, secondo le modalità dettagliatamente disciplinate dal Trattato di Roma. I proventi della tariffa doganale comune, detratto il 25% a favore degli Stati membri per i costi di gestione amministrativa, sono destinati come “risorse proprie” al bilancio dell’UE, di cui costituiscono il 15% delle entrate totali. L’unione doganale dispone inoltre di una legislazione doganale generale applicabile nell’intero territorio dell’Unione, la cui interpretazione uniforme è garantita dal meccanismo del “rinvio pregiudiziale” alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE.
L’instaurazione del “mercato interno”, nel 1993, non ha sminuito l’importanza dell’Unione Doganale che resta la prima delle politiche demandate alla competenza esclusiva dell’Unione (art. 3, lett. a), TFUE). Spetta al Consiglio, su proposta della Commissione, stabilire i dazi della TDC (art. 31 TFUE) con determinazione autonoma, mentre agli Stati membri compete la gestione materiale dell’apparato doganale sotto la direzione e il controllo della Commissione.
Lo smantellamento delle barriere doganali alle frontiere interne ha comportato un mutamento del ruolo delle autorità doganali nazionali che, da semplici percettori di dazi, sono diventate i principali garanti delle frontiere esterne con riferimento alla circolazione delle merci e titolari di nuovi compiti e responsabilità, quali l’agevolazione del commercio, la garanzia della sicurezza attraverso il monitoraggio e la gestione del traffico commerciale internazionale, la protezione dei cittadini e degli operatori economici dall’ingresso e dalla circolazione nel mercato interno di merci illecite, contraffatte o pericolose, nonché la tutela degli interessi finanziari dell’Unione.
Le norme, i regimi e le procedure applicabili agli scambi commerciali dell’UE sono riunite in un unico testo, il Codice Doganale dell’Unione istituito per la prima volta con un Regolamento nel 1992. Più volte modificato negli anni il CDU ha subito una rifusione operata con il Regolamento (UE) n. 952/2013, al momento in vigore.
Negli anni ’50 al momento della firma dei Trattati istitutivi delle varie Comunità Europee, il protezionismo, attraverso il quale gli Stati miravano a tutelare l’industria nazionale, era un aspetto rilevante dell’economia europea[3]. La filosofia comunitaria dello sviluppo economico affermò il principio della “cooperazione economica interstatuale”. Gli autori dei Trattati si preoccuparono di predisporre tutti gli strumenti giuridici per creare un’area economica in cui i beni prodotti potessero essere commercializzati liberamente. In tale contesto, il sistema dell’unione doganale presupponeva l’adozione di varie misure atte a favorire la crescita interna delle economie nazionali e la competitività dell’industria europea sui mercati internazionali (Politica industriale dell’Unione Europea).
L’unione doganale dell’Unione europea svolge un ruolo determinante per il corretto funzionamento del mercato unico. Di fatto, le autorità doganali nazionali in tutti i 27 Stati membri lavorano insieme come un’unica entità per la gestione delle operazioni quotidiane dell’unione doganale: la Commissione Europea propone il costante aggiornamento della normativa doganale e ne monitora l’attuazione.
Come noto fin dalle sue origini e nel corso delle sue evoluzioni l’Unione Europea si inquadra in una filosofia liberistica, secondo la quale le possibilità di progresso economico di ciascuno Stato sono legate all’apertura dei rispettivi mercati ed al coordinamento delle rispettive economie nazionali, potendo la semplificazione delle procedure doganali favorire la crescita economica, così come l’unione doganale può contribuire a rendere più competitive le imprese dei paesi membri sui mercati internazionali.
D’altra parte esiste un consenso quasi unanime tra gli economisti sul fatto che i dazi siano controproducenti e abbiano un effetto negativo sulla crescita economica e sul benessere, mentre il libero scambio e la riduzione delle barriere commerciali hanno un effetto positivo sulla crescita economica. Sebbene la liberalizzazione del commercio possa a volte causare perdite e guadagni distribuiti in modo diseguale e, nel breve periodo, provocare una forte perturbazione economica per i lavoratori nei settori in concorrenza con le importazioni, il libero scambio presenta vantaggi in quanto riduce i costi dei beni e dei servizi sia per i produttori che per i consumatori. Il peso economico dei dazi ricade sull’importatore, sull’esportatore e sul consumatore. Spesso pensati per proteggere settori specifici, i dazi possono avere l’effetto opposto e danneggiare proprio le industrie che intendono proteggere, a causa dell’aumento dei costi degli input e delle tariffe di “ritorsione”.
I dazi all’importazione possono anche danneggiare gli esportatori nazionali, interrompendo le loro catene di approvvigionamento e aumentando i costi di produzione.
“Confine diceva il cartello
cercai la dogana, non c’era
non vidi dietro il cancello
ombra di terra straniera.”
Giorgio Caproni
(“Confine”)
- Queste nozioni sono state attualizzate partendo da “Elementi di diritto comunitario” a cura di Ugo Draetta, Parte speciale, Giuffrè editore, Milano 1995. ↑
- Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, PARTE TERZA POLITICHE E AZIONI INTERNE DELL’UNIONE, TITOLO II-LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI, Artt. 28-32.Art.28, I comma: 1. L’Unione comprende un’unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l’adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi. ↑
- Cfr. voce “Unione doganale” Diritto online di Isabella Castangia in www.treccani.it ↑