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Il primato del Diritto dell’Unione Europea: un principio “italiano”…

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Il diritto è la più efficace scuola della fantasia.
Mai poeta ha interpretato la natura così liberamente
come un giurista la realtà.
Jean Giraudoux

Il Diritto dell’Unione Europea, tradizionalmente definito anche “diritto comunitario[1]” in quanto emanazione delle originarie “comunità europee”, è destinato in massima parte a dispiegare i suoi effetti all’interno degli Stati membri, affiancando i diritti interni di questi ultimi e, dunque, suscettibili di entrare in conflitto con gli stessi[2].

Per superare questi potenziali conflitti, fin dagli albori dell’esperienza dell’unione fra le Nazioni europee, si è affermato il “primato del diritto comunitario” sul diritto interno, sia anteriore (cioè in vigore prima dell’adesione dello Stato all’Unione), sia posteriore (cioè emanato successivamente). Per essere precisi il principio non è mai stato contemplato espressamente dai Trattati ma è stato introdotto dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee (oggi dell’Unione Europea – CGUE)[3], con una storica pronuncia del luglio 1964.

La vicenda che portò alla Sentenza “Costa contro ENEL” (15/07/1964, n. 6/64) merita di essere brevemente ricostruita: un cittadino italiano, l’avvocato Flaminio Costa, ritenendo che la legge italiana (l. 6/12/1962, n.1643) con cui veniva nazionalizzata l’energia elettrica, e creato l’ENEL, fosse contraria ad alcune regole contenute nel Trattato di Roma del 1957 istitutivo della Comunità Economica Europea[4], si rifiutò di pagare una fattura ENEL, relativa ad un suo consumo privato, di 1925 lire (circa 20,76 euro attuali secondo la conversione storica lira-euro), facendosi così convenire davanti al Giudice Conciliatore di Milano[5]. In quella sede Costa eccepì la nullità della legge istitutiva dell’ENEL in quanto in contrasto con il Trattato CEE.

In realtà, più prosaicamente e al di là delle questioni “di principio”, l’avv. Costa era proprietario di quote azionarie nella società elettrica Edisonvolta, una delle tante società private che, allora, producevano e distribuivano l’elettricità in Italia, società fortemente danneggiata dalla “nazionalizzazione” del settore elettrico italiano[6].

Il Giudice Conciliatore si rivolse, sollevando questione di legittimità costituzionale, prima alla Corte Costituzionale italiana, poi alla Corte di Giustizia dell’allora Comunità Europea per risolvere la questione pregiudiziale[7]. La Consulta emanò la sua sentenza nel marzo del 1964 (Sent. 7/03/1964, n.14), dicendo che sebbene la Costituzione Italiana permettesse una limitazione della sovranità in favore di istituzioni internazionali come la CEE (art.11 Cost.)[8], questo non impediva di applicare il principio lex posterior abrogat priori: il Trattato di Roma essendo stato sottoscritto nel 1957, e recepito nell’ordinamento italiano, con legge ordinaria, nel 1958, non poteva prevalere sulla legge di nazionalizzazione del settore elettrico del 1962. Dunque una interpretazione che metteva sullo stesso piano giuridico i Trattati comunitari e la legge (ordinaria) di nazionalizzazione della produzione dell’energia elettrica, decidendo a favore del Governo italiano, e dando torto all’avv. Costa, in merito alla validità della legge stessa.

Tuttavia la Corte di Giustizia CE, alla quale fu sottoposta questione “pregiudiziale” come detto sopra, pochi mesi dopo non giunse alla stessa conclusione: fondandosi anch’essa sull’art.11 della Costituzione italiana, affermò che, nelle materie oggetto dei Trattati, gli Stati membri “hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi[9]; di conseguenza, essi non potrebbero emanare un provvedimento, unilaterale e successivo, con l’intenzione di farlo prevalere sull’ordinamento giuridico comunitario, accettato dagli Stati stessi su base di reciprocità: un tale provvedimento sarebbe incompatibile con i Trattati e privo di efficacia, oltre che a scuotere pericolosamente lo stesso fondamento giuridico della Comunità di Stati europei. Da questo, il rango superiore del diritto comunitario nei confronti del diritto interno e la sue “prevalenza” su quest’ultimo, a prescindere da ogni considerazione sulla successione temporale delle leggi[10].

In numerose sentenze successive, la Corte di Giustizia non solo ha confermato, e messo a punto ancora più precisamente questo orientamento “vitale” per lo stesso funzionamento del sistema comunitario, ma è anche giunta ad affermare il primato del diritto comunitario sulle stesse norme costituzionali degli Stati membri, partendo dalla premessa che l’ordinamento comunitario è esso stesso di “essenza costituzionale”, a differenza dei “comuni” trattati internazionali[11].

Da una questione “bagatellare” di diritto dibattuta innanzi ad un Giudice Onorario di Milano nacque, dunque, un principio di enorme portata, poi ampliato nel tempo dalla giurisprudenza domestica di tutti i Paesi membri dell’allora Comunità Economica Europea[12].

Ad ogni buon conto, questa giurisprudenza (con origine in casi molto “italiani”), consolidatasi per anni, ci ispira un interrogativo ricorrente: viene prima la sovranità nazionale o quella europea? Soprattutto alla luce del sempre più accesso “braccio di ferro”, politico e legale, tra Polonia e Commissione Europea, la questione risorge nuovamente a tanti anni di distanza dal caso “Costa/ENEL”.

Infatti, la recente sentenza della Corte suprema di Varsavia, secondo cui il diritto polacco, almeno quando si parla di giustizia (materia non direttamente di competenza comunitaria, ma la cui amministrazione nei singoli Stati membri è sottoposta al rispetto di principi fondamentali previsti dal Trattato UE), prevarrebbe su quello comunitario, apre una questione che va al di là del pur importante rischio di una eventuale uscita volontaria della Polonia dall’Unione Europea (giornalisticamente “Polexit”). Tutto nasce da due sentenze della Corte Ue che hanno di fatto dichiarato illegittima la riforma della giustizia varata dal governo del Primo Ministro Mateusz Morawiecki[13]. A originare il conflitto “insanabile” non sarebbe l’intero impianto normativo europeo, ma semmai quello specifico in materia di giustizia. Varsavia, cioè, non rifiuta del tutto la supremazia del diritto comunitario in alcuni campi (per esempio le norme ambientali), ma solo il primato europeo sulla giustizia nazionale. E neppure su tutta la materia giudiziaria, ma su un preciso e specifico aspetto: “Il tentativo di interferire nell’ordinamento giudiziario polacco da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea (si legge sempre nella sentenza), viola i principi dello stato di diritto, il principio di supremazia della Costituzione e il principio di conservazione della sovranità nel processo di integrazione europea”, in quanto, nel firmare il Trattato di adesione all’UE, avvenuta nel 2004, la Polonia non ha delegato il potere di amministrare il suo sistema giudiziario a Bruxelles. La Corte europea “ha la competenza per pronunciarsi sul sistema giudiziario polacco” ma non sulla sua “organizzazione”[14].

Ma al di là del caso specifico, la vicenda riguarda, più in generale, le basi dell’integrazione UE. Se il massimo organo giurisdizionale polacco ritiene, con enfasi, che il diritto interno nazionale prevale sui Trattati UE, ci si chiede, allora, perché la Polonia continui ad aderire all’Unione Europea fin dal maggio del 2004? Forse che la Polonia, che tanti e oggettivi vantaggi ha tratto, nella sua storia recente, dall’adesione all’Unione Europea, per altri aspetti sembra far fatica ad uscire da “schemi autoritari poco inclini allo Stato di diritto”, nel quale la democrazia liberale è percepita, da una fetta importante della popolazione, come un ostacolo in più all’efficienza e al dirigismo[15].

In attesa della decisione definitiva della Polonia (che ad oggi non ha modificato le norme interne incompatibili col diritto comunitario), decisione che dovrà essere tutta “politica”, di fronte ad un principio assoluto e immodificabile come quello del primato del Diritto UE sul diritto interno dei singoli Stati membri, la pronuncia della Corte costituzionale polacca rappresenta “una rivoluzione, dal punto di vista legale… il passaggio più vicino ad un’uscita “giudiziaria” dall’Unione Europea mai compiuto da un tribunale nazionale”[16].

Il diritto non deve mai adeguarsi alla politica,
ma è la politica che in ogni tempo
deve adeguarsi al diritto.
Immanuel Kant

  1. Complesso di norme che regolano l’organizzazione e lo sviluppo delle Comunità europee (v. Comunità Europea, Comunità Europea Energia Atomica, oggi “Unione Europea”, Comunità Europea Carbone e Acciaio, terminata nel 2002, dopo 50 anni dall’istituzione), nonché i rapporti tra queste e gli Stati membri.

  2. Cfr. Ugo Draetta “Elementi di diritto comunitario” PARTE ISTITUZIONALE ordinamento e struttura dell’Unione Europea, Giuffrè editore Milano 1999, pagg.232-233.

  3. La Corte di giustizia dell’Unione europea (abbreviato: CGUE; in latino e ufficialmente: Curia; in francese: Cour de Justice de l’Union européenne, CJUE) è un’istituzione dell’Unione europea (UE) con sede in Lussemburgo; essa ha il compito di garantire l’osservanza del diritto comunitario nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati fondativi dell’Unione Europea. In seguito al Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1º dicembre 2009 la Corte ha cambiato il nome in Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE).

    Cfr. “Pluralità di giurisdizioni e unicità del diritto internazionale” di Davide Caocci, in Kultunderground n.88-2002, rubrica Diritto

  4. In tema di monopoli nazionali di carattere commerciale, in tema di diritto di stabilimento, di aiuti di Stato, di accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie per qualsiasi ente pubblico o privato.

  5. La figura del Giudice Conciliatore venne istituita con il regio decreto 6 dicembre 1865, n. 2626 sull’ordinamento giudiziario del Regno d’Italia che prevedeva l’istituzione presso ogni comune di un conciliatore di nomina regia. Il Giudice, assistito dal segretario comunale in veste di cancelliere, doveva comporre, su richiesta delle parti, le controversie minori ed eventualmente giudicare delle medesime. La figura e le competenze del Giudice Conciliatore sono state abolite, dal 1 maggio 1995, dalla legge istitutiva del Giudice di Pace. Cfr. “Il Giudice di Pace” di Alberto Monari, in Kultunderground n.101-OTTOBRE 2003, rubrica Diritto

  6. Fin dall’inizio della sua storia, la produzione dell’energia elettrica in Italia era sempre stata affidata all’impresa privata (escludendosi alcuni tentativi limitati di controllo statale nel periodo fascista); il 27 novembre 1962 la Camera approvava il disegno di legge sulla nazionalizzazione del sistema elettrico e l’istituzione dell’ENEL (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica), a cui venivano affidate “tutte le attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica da qualsiasi fonte prodotta”. In base a ciò anche produttori “storici” (come “SIP” – Società Idroelettrica Piemonte, “Edison”, “SADE”, SELT-Valdarno, SRE, SME) dovevano vendere le loro attività al nuovo soggetto; venivano esclusi dal provvedimento solo gli auto-produttori e le aziende municipalizzate cui rimasero lo stesso quote marginali del mercato. In definitiva, l’ENEL si trovò ad assorbire le attività di oltre 1000 aziende elettriche. Fonte Wikipedia.

  7. Articolo 267 Trattato sull’Unione Europea (ex articolo 234 del TCE, ex art.177 TCEE)

    La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:

    a) sull’interpretazione dei trattati;

    b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione.

    Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.

    Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte.

  8. ART. 11. Costituzione – Principi fondamentali.

    L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

    L’articolo 11 viene oramai da tempo invocato come la norma che, in modo più diretto, ha permesso l’adesione dell’Italia all’Unione Europea, e alle altre Organizzazioni internazionali.

  9. Secondo l’articolo appena citato gli atti normativi europei trovano il loro fondamento nella Costituzione, e sono quindi da questa tutelati.

  10. Quanto alla questione di merito, relativa cioè alla conformità o meno della legge istitutiva dell’ENEL con il Trattato CEE, la Corte non ravvisò alcun contrasto per una serie di ragioni giuridiche che non è il caso di approfondire in questa sede. Draetta, op. cit. pag.233.

  11. Sentenza 7/3/1972, n.84/71 Marimex c. Ministero Finanze Italia, Sent. 17/5/1972, n.93/71 Lonesio c. Ministero agricoltura e Foreste Italia, Sent. 9/3/1978, n.106/77 Simmenthal c. Ministero Finanze talia ecc. ecc.

  12. L’Italia ha “adeguato” la propria Costituzione, nell’ambito della riforma costituzionale del 2001 (cfr. Cfr. “Titolo V°: grandi idee ma…” di Alberto Monari, in Kultunderground n.81-DICEMBRE 2001, rubrica Diritto), inserendo nell’art.117 il seguente 1° comma: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Secondo questa non chiarissima formulazione, il legislatore italiano (statale o regionale) dovrebbe legiferare tenendo presente il primato del diritto comunitario.

  13. Secondo i Giudici di Lussemburgo, la riforma polacca introduce un nuovo organo disciplinare incompatibile con le norme europee sullo “stato di diritto”. Il nuovo organo ha il potere di sanzionare, destituire o trasferire contro la sua volontà qualsiasi giudice del Paese. E la nomina dei suoi componenti, con la riforma, è largamente in mano al potere politico. Questo aspetto, per i Giudici della Corte Europea, viola l’indipendenza della magistratura, poiché darebbe alla maggioranza politica, che guida il Paese, larghi poteri non solo sulla nomina dei giudici, ma anche sulle valutazioni delle loro sentenze. Cfr. “Polexit: hanno ragione i giudici polacchi? Come stanno le cose (e il “precedente” italiano)”, di Dario Prestigiacomo 08 ottobre 2021 in europa.today.it.

  14. Cfr. Prestigiacomo, op.cit.

  15. Cfr. www.ilfattoquotidiano.it, “Polonia vs Ue, era il 1964 quando si sancì il primato del diritto comunitario (grazie all’Italia)” di Andrea Lupi e Pierluigi Morena, 9 ottobre 2021.

  16. Cfr. “La Polonia non riconoscerà più la supremazia delle leggi europee”, www.ilpost.it “mondo”, 8 ottobre 2021.

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