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Scrivere: luoghi e ispirazioni

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Decine sono le problematiche che un Giovane Aspirante Scrittore Famoso (G.A.S.F.) deve affrontare prima, durante e dopo il percorso creativo che lo porterà (se va tutto bene) a guardare con orgoglio a ciò che ha scritto. Senza voler per nulla togliere spazio a Giuseppe Cerone e al suo utilissimo vademecum di scrittura vorrei soffermarmi per un attimo, tra il serio e il faceto, su due importanti momenti di questo processo irto di ostacoli: dove trovare le idee e dove mettersi a scrivere.

Partiamo da un dato di fatto: non si sa da dove vengono le idee che danno origine a racconti o romanzi. Per l’occasione possiamo riesumare qualche Musa che ci sussurra all’orecchio, una sorta di coscienza superiore e globale da cui attingiamo inconsciamente temi e svolgimenti, o fidarci di quello che dice Terry Brooks: la parte più importante del processo creativo è quella trascorsa su una poltrona di casa con lo sguardo perso nel vuoto a inseguire brandelli di storie o caratterizzazioni di personaggi.

Anche se devo ammettere che la storia della Musa è quella che mi affascina di più, mi viene il dubbio che molti artisti trovino altrove l’ispirazione per le loro opere. Alcuni riescono a comporre nonostante il traffico, i rumori e le distrazioni della vita quotidiana (James Hetfield dei Metallica andava sempre in giro con un registratore in tasca per fissare su nastro le idee estemporanee e non lasciarsele sfuggire). Altri cercano un luogo sperduto in mezzo alle montagne, o su un’isola di preghiera e di meditazione, o ancora in un angolo di paradiso dove si può raggiungere la concentrazione necessaria. Oppure, e perché no?, alcuni riescono a creare mentre attendono le fanciulle fuori dai negozi durante gli interminabili tour di shopping selvaggio.

Insomma, l’ispirazione è in agguato dietro ogni angolo, e la poltrona di Terry Brooks si rivela metafora di un non-luogo.

E quando infine l’idea si è cristallizzata non resta che metterla su carta. Qui sorge il secondo problema: dove andare a scrivere?

La prima soluzione è forse quella più banale: a casa. Peccato che per molti sia fonte di troppe distrazioni. Raymond Carter raccontava di come, per sfuggire alla confusione della vita familiare, fosse costretto a scrivere in automobile. E non è l’unico che è dovuto ricorrere a simili ripieghi.

I bene informati dicono che Niccolò Ammaniti lasci la sua magione per evitare che la playstation lo distragga dalla scrittura. Cacciari si immerge nella quiete di un monastero quando depone i panni di sindaco di Venezia e, con carta e penna, si dedica alla filosofia. Valerio Massimo Manfredi non è da meno e ama scrivere dalle dieci di sera all’una di notte in cima a una torre alta quindici metri: per definizione agli artisti è perdonata ogni stranezza.

I più fortunati hanno uno studio a loro disposizione, lindo e pulito come quello di Margaret Mazzantini o dotato di scrivania personalizzata con tanto di conchiglie, cataloghi di mostre e fotografie come quello di Cristina Comencini. Carlo Lucarelli si accontenta di avere con sé i suoi coltelli a scatto mentre Banana Yoshimoto ha bisogno della vicinanza dei suoi cani, del gatto e di una tartaruga.

Ma se non avete uno studio, e nemmeno una torre alta quindici metri, e soprattutto se a casa proprio non riuscite a scrivere, non vi resta che seguire i consigli di Livia Manera e Mariarosa Mancese contenuti in un articolo dell’inserto Io Donna del Corriere della Sera del luglio scorso. Non perdiamo occasione di copiare gli americani? E allora facciamolo anche adesso: a New York i G.A.S.F. (Giovani Aspiranti Scrittori Famosi) vanno a scrivere in affitto.

Con cento dollari al mese ci si può assicurare una scrivania in una writers room dove lavorare in tranquillità. Uno per tutti? Livia Manera ci parla di Paragrafh, “un bel loft elegante, con il parquet biondo e i divisori color tortora come i divani, aperto 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, 365 giorni all’anno”.

Non pensiate che basti presentarsi e bussare alla porta per essere ammessi. Prima si compila la domanda di rito e, dopo qualche giorno, si riceve un codice d’accesso. Solo allora si potrà prendere il proprio portatile sotto braccio e fare la fila per accaparrarsi una delle 38 stanze disponibili. Verrebbe quasi da dire che negli alberghi a ore si entra e si esce con maggiore facilità, anche se nessuno potrà mai garantire quiete e concentrazione.

Dove e quando scrivo io? Come ogni Giovane Aspirante Scrittore Famoso (G.A.S.F.) che si rispetti, mi tocca aspettare di essere libero dal lavoro e dagli impegni. Così mi riduco a farlo quando sono in vacanza, da solo, mentre tutti se ne stanno stravaccati in spiaggia a godersi i raggi del sole. Purtroppo non ho una torre tutta mia, e nemmeno il parquet biondo e i divisori color tortora del Paragraph, ma a qualcosa si dovrà pur rinunciare nella vita, non vi pare? A meno di non dare un taglio drastico e di rinunciare alla scrittura, anche solo per contraddire una massima di Groucho Marx dissepolta da Livia Manera nell’articolo de Il Corriere: “a New York tutti hanno una mezza idea di scrivere un libro, e purtroppo lo fanno”.

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