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Giustizia internazionale

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quando la legge NON è uguale per tutti

 
«La differenza tra i selvaggi dell’Europa e quelli americani consiste principalmente in questo:
 in America molte tribù sono state interamente divorate dai loro nemici,
 gli europei invece sanno utilizzare meglio i loro sconfitti che mangiarli»
(Immanuel Kant, Per la pace perpetua, 1795)
 
 
Lo scenario
Abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini più o meno autentiche che hanno mostrato al mondo intero il volto sfigurato del cadavere di Osama Bin Laden, nemico pubblico numero 1 degli Stati Uniti e della coalizione anti-terrorismo.
Non sta a noi valutare la loro veridicità e tanto meno commentare le modalità che hanno condotto a simile esito.
Desideriamo, però, partire dalla dichiarazione resa dal presidente americano Barack Obama nel dare la notizia, «Osama Bin Laden è stato ucciso. Giustizia è fatta!»[1], per sviluppare una riflessione circa il significato da attribuire al termine “giustizia” in ambito internazionale.
Nel corso degli anni ci siamo confrontati in diverse occasioni circa i tentativi di giuridicizzare un soggetto per sua natura anarchico quale la comunità internazionale[2] e abbiamo pure esaminato gli esiti dell’applicazione o disapplicazione di certi principi di diritto a casi concreti[3] molto sensibili, ma i fatti di attualità superano le elaborazioni dottrinali e ci obbligano, per ossequio alla scienza giuridica di cui siamo cultori, a riconsiderare la materia ampliando la visuale e cercando di offrire qualche elemento ulteriore che possa tornare utile all’evoluzione del pensiero.
In particolare, le “operazioni di intelligence” con le quali si è pervenuti alla cattura di Osama Bin Laden nella notte tra il 1° e il 2 maggio, e alla sua immediata eliminazione (nel senso più ampio del termine, visto che lo stesso cadavere è stato fatto sparire in fondo al mare), e all’arresto di Ratko Mladic il 26 maggio, poi regolarmente estradato il 1° giugno a L’Aja dove, dinanzi al Tribunale Penale Internazionale per la ex-Yugoslavia, si sta svolgendo il processo a suo carico.
Accanto a loro, però, molti altri personaggi, noti alle cronache mondiali o soltanto alle proprie povere vittime, sono protagonisti dell’universo giuridico che si sta sviluppando nel consesso internazionale e meritano attenzione.
 
Giustizia internazionale o ingiustizia generale?
Andiamo con ordine e proviamo a offrire alcune coordinate interpretative.
Cominciamo con il prendere in esame il testo base per i diritti umani, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo[4] del 1948: nel suo primo articolo recita che «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti», tale prescrizione è poi specificata all’art. 2 per il quale i diritti enunciati dalla Dichiarazione sono riconosciuti «senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione»; l’art. 7 prosegue con un preciso «Tutti sono eguali dinanzi alla legge» e i successivi articoli 9, 10 e 11 tratteggiano le caratteristiche minime affinché un sistema processuale sia rispettoso dei diritti fondamentali della persona stabilendo che «Nessuno potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato» (art. 9), «Ognuno ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta» (art. 10) e, dulcis in fundo,  la generale presunzione di innocenza per la quale «Ogni persona accusata di reato è presunta innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale abbia avuto tutte le garanzie per la sua difesa» (art. 11, comma 1).
Avendo in questo modo chiarito il quadro di riferimento legale di base a cui riferirsi, possiamo proseguire con l’elencare alcuni casi attinenti soggetti ritenuti a diverso titolo “criminali internazionali”: nel far questo, ci limiteremo a quelle situazioni che hanno avuto una vasta eco sui mezzi di comunicazione e che potranno poi dimostrarsi funzionali al nostro discorso.
Abbiamo citato in apertura il generale serbo Ratko Mladic[5], arrestato nello scorso mese di maggio, accusato di genocidio, crimini contro l’umanità, violazione delle leggi di guerra durante l’assedio di Sarajevo e per il massacro di Srebrenica, tutti atti relativi al conflitto nella ex-Yugoslavia tra il 1991 e il 1995; accanto a lui, come non ricordare il presidente Slobodan Milosevic[6], anch’egli serbo, accusato di crimini contro l’umanità per le operazioni di pulizia etnica contro i musulmani in Croazia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo, arrestato nel 2001 e morto in carcere per un infarto durante la celebrazione del processo nel 2006.
Accanto a loro, se pur solo in maniera ideale, possiamo menzionare il presidente iracheno Saddam Hussein[7], catturato nel 2003, processato per crimini contro l’umanità, e infine condannato a morte per impiccagione (pena eseguita nel dicembre del 2006), nonché lo “Sceicco del terrore”, il saudita Osama Bin Laden[8], primula rossa per quasi dieci anni, finito sotto i colpi degli uomini dei reparti speciali statunitensi nel maggio di quest’anno. Ritenuto ideatore e ispiratore degli attentati dell’11 settembre 2001 e di tutta la rete terroristica di Al Qaida, non ha avuto l’opportunità di ammettere le sue colpe o di difendersi.
Ancora, e per dovere di completezza, un accenno all’attuale presidente del Sudan Omar Al Bashir[9], contro il quale è stato emanato un mandato d’arresto internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, mentre si è stabilito che non vi fossero prove sufficienti per perseguirlo per l’accusa di genocidio, per i fatti avvenuti nel Darfur, e il suo “collega” libico, il colonnello Muammar Gheddafi[10], per il quale il procuratore della Corte Penale Internazionale[11], Luis Moreno Ocampo, ha chiesto un mandato di arresto per crimini contro l’umanità in seguito ai comportamenti messi in atto per la repressione della rivolta nel paese nord-africano[12]. Ma non dimentichiamo che ci sono ben altri 21 imputati[13], congolesi, centrafricani, ugandesi, sudanesi e kenioti, protagonisti di processi pendenti a L’Aja.
Di immediata evidenza risulta essere la disparità di trattamento riservato nei vari casi.
Palese e risaputa protezione da parte delle grandi potenze per i responsabili politici e militari della tragedia balcanica, tradotti poi dinanzi al Tribunale speciale per la ex-Yugoslavia[14] con tutte le attenzioni e premure dovute a “persone di riguardo”, di nazionalità e cultura mitteleuropee, razza bianca, religione cristiana.
Vi sono poi i “personaggi scomodi”: vecchi amici, a volte formati, pagati e addirittura sostenuti dalle amministrazioni americane per garantire la salvaguardia di primari interessi geo-politici ed economici nell’area medio-orientale. Questi, originari di paesi arabi, di cultura e religione islamica, si vedono destinati ad una cruenta eliminazione diretta, nel peggior stile vecchio west tipica dello Zio Sam, fuori da ogni minimo rispetto di garanzie legali.
Da ultimo, i “capri espiatori” o le “cavie”, a seconda della prospettiva che si prediliga nel considerarne il ruolo sociale. Servono a rassicurare la coscienza dell’Occidente che si possa realizzare una giustizia reale anche in terra, senza attendere il Giudizio dell’Onnipotente nell’ultimo giorno, e quindi ci alleviano dal naturale senso di colpa che dovremmo provare, e al contempo fungono da banco di prova di quell’ideale sistema giudiziario sovranazionale, sogno agognato da tanti giuristi e obiettivo sempre troppo lontano da raggiungere per i sostenitori e promotori dei diritti umani. Che siano “capri” o “cavie”, costoro sono tutti di origine africana, spesso esponenti di culture tradizionali locali, figli della decolonizzazione e del neo-colonialismo, vittime sprovvedute di quello stesso sistema che li giudica.
Se volessimo delineare delle macro-categorie riassuntive, potremmo dire che:
               agli europei, bianchi, cristiani, vengono riconosciuti pieni diritti e tutele, anzi prima vengono protetti e solo come extrema ratio vengono portati davanti ad un giudice;
               ai medio-orientali, arabici, musulmani, non viene riconosciuto alcun diritto, anzi quanto caldamente li si sosteneva prima tanto “caldamente” ci si impegna ad eliminarli dopo;
               agli africani, neri, animisti (o di religioni sincretiste), si cerca di non far fare “troppo rumore”, servendosene per i propri esperimenti di ingegneria giuridica.
Che quanto descritto dipenda da opportunità politica, rispetto degli equilibri internazionali, deliberata volontà di riassetto degli scenari regionali o altro, non lo sappiamo; certo è che il quadro delineato risponda a ben più che una serie fortuita di coincidenze.
 
Gli sviluppi
Come la situazione descritta possa svilupparsi in futuro è difficile prevederlo, ma è probabile che la forte instabilità che percorre i paesi del Nord Africa, ed in particolare la Libia, possa accelerare la ridefinizione dell’impianto che il mondo vuole darsi per regolare certi atti criminosi di rilevanza globale. Attività questa che può parimenti condurre ad una evoluzione come ad una involuzione del sistema ma che, da ottimisti, noi auguriamo foriera di progresso per il diritto.
In chiusura, due spunti di riflessione.
Il primo, circa lo sviluppo e l’esito che avrà il caso Gheddafi, al contempo africano e arabo, amico dell’Europa (e dell’Italia[15]) ma musulmano: ciò potrà offrire l’occasione per far confrontare tutta la comunità internazionale, Stati sovrani, Organizzazioni intergovernative, società civile, esponenti della cultura e semplici cittadini, sul reale significato dato e da dare ai concetti di “pace e libertà”, così come di “stato di diritto” o “esportazione della democrazia”.
Seguendo lo schema sopra proposto, purtroppo, la fine del Colonnello potrebbe essere invece più simile a quella toccata al Rais di Baghdad.
Il secondo, circa l’interrogativo che molti si pongono su quando assisteremo alla traduzione in giudizio, davanti ad un giudice naturale precostituito, nel rispetto dei più sacrosanti principi di diritto universalmente riconosciuti, di un cittadino statunitense. Uno qualsiasi, uno qualunque.
In questo caso, nel rispetto delle macro-categorie prima delineate, la risposta sarebbe “mai!”, sempre che non avvenga un fatto straordinario ed imprevedibile.
Le riflessioni sono lanciate. Noi continueremo a credere nel diritto internazionale e a operare affinché questo possa svilupparsi sempre di più al servizio degli uomini e dell’umanità tutta: il resto sarà storia!
 


[2] Cfr. dello stesso A., Pluralità di giurisdizioni e unicità del diritto internazionale, in KultUnderground, n.88, 2002.
[3] Cfr. dello stesso A, Sfida al Diritto Penale Internazionale: Radovan Karadzic e Saddam Hussein, 2 pesi e 2 misure, in KultUnderground, n.156, 2008, e La condanna di Saddam Hussein: tra politica e diritto internazionale, in KultUnderground, n.136, 2006.
[4] Cfr. http://www.un.org/en/documents/udhr/index.shtml.
[5] Cfr. http:// it.wikipedia.org/wiki/Ratko_Mladić.
[6] Cfr. http:// it.wikipedia.org/wiki/Slobodan_Milošević.
[7] Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Saddam_Hussein.
[8] Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Osama_bin_Laden.
[9] Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Omar_Hasan_Ahmad_al-Bashir.
[10] Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Mu’ammar_Gheddafi.
[11] Cfr. http://www.icc-cpi.int.
[12] Cfr. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-05-16/tribunale-penale-internazionale-chiede-131854.shtml?uuid=AasHZgXD.
[13] Cfr. http://www.icc-cpi.int/Menus/ICC/Situations+and+Cases/Cases/.
[14] Cfr. http://www.icty.org.
[15] Cfr. dello stesso A., Trattato Italia-Libia: vecchi modelli per una nuova amicizia, in KultUnderground, n.164, 2009.

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