Edizioni BUR
Narrativa romanzo
Pagg. 178
ISBN 9788817054591
Prezzo Euro 11,00
Il rifugio
Il romanzo è ambientato in un quartiere di Firenze durante gli anni Trenta, con protagonisti alcuni ragazzi che vivono la loro adolescenza con gli entusiasmi e le paure tipiche dell’età; sono anni caratterizzati dal regime fascista che culmineranno nella tragedia della guerra. Palcoscenico della storia è un quartiere proletario, una sorta di rifugio, di tana, in cui i giovani trovano la ragion d’essere e avvertono, nonostante tutto, una protezione offerta da vincoli di amicizia e di solidarietà. Il Quartiere non è solo un agglomerato di case, di vie e di piazzette, è la gente che vi abita, accomunata da un unico status economico e sociale che in fondo la porta ad accettarsi, pur con tutti i suoi difetti, bilanciati da un pregio di umana comprensione. A prima vista potrebbe sembrare un ghetto, ma non lo è, poiché chi vi sta può anche essere libero di andarsene, anche se poi finisce per accorgersi che il mondo dall’altra parte non è il mondo per il quale si è fatti e allora è meglio pensare come Giorgio, uno dei personaggi, più maturo della sua età, che dice: “Insomma, a me pare che occorra resistere nella propria casa, nel proprio Quartiere, aiutare ed essere aiutati a migliorarci fra la nostra gente. Se si stesse ciascuno al proprio posto, che è sempre il posto che ciascuno conosce meglio, si sarebbe meno complicati.” Queste parole potrebbero sembrare espresse da uno che non vuole uscire dalla sua condizione, più un conservatore che un rivoluzionario, ma sono di una saggezza antica, di chi è consapevole che la lunga evoluzione, con la ricerca di un accrescimento della propria dignità sociale, non può prescindere dal tenersi legati alle radici, a pena di stravolgere la propria vita. Nel perdere il senso di appartenenza al quartiere si perde anche la propria identità, si rompono quelle catene di amicizia che alla fine sopravvivono a tutto, anche al progetto di abbattere le vecchie e fatiscenti case per dare vita a un quartiere nuovo.
Il Quartiere è un romanzo non certo facile, ma al termine della lettura ci si accorgerà di quanto sia bello.
Vasco Pratolini (Firenze, 19 ottobre 1913 – Roma, 12 gennaio 1991). Di famiglia operaia, è costretto a interrompere gli studi e svolge mestieri diversi per potersi mantenere.
Autodidatta, entra in contatto con l’ambiente degli artisti e degli scrittori che gravitano attorno al pittore Ottone Rosai, frequentandone la casa.
Autodidatta, entra in contatto con l’ambiente degli artisti e degli scrittori che gravitano attorno al pittore Ottone Rosai, frequentandone la casa.
Pratolini comincia a collaborare al periodico «Il Bargello» e diviene redattore con Alfonso Gatto, nel 1938, della rivista «Campo di Marte». Nel 1951 si trasferisce a Roma, città nella quale vivrà da allora in poi.
Le sue prime esperienze narrative (“Il tappeto verde”, 1941; “Via de’ magazzini”, 1941; “Le amiche”, 1943; “Cronaca familiare”, 1947) compongono il ritratto di un’infanzia e di una giovinezza piuttosto picaresche.
Le sue prime esperienze narrative (“Il tappeto verde”, 1941; “Via de’ magazzini”, 1941; “Le amiche”, 1943; “Cronaca familiare”, 1947) compongono il ritratto di un’infanzia e di una giovinezza piuttosto picaresche.
Il registro adottato, sin da quelle prime prove, si pone a mezza via fra il realistico e il lirico.
“Il quartiere” (1943) è un affresco corale che narra della presa di coscienza del sottoproletariato urbano.
Gli stessi temi sono riproposti, con tono appena più svagatamente satirico, ne “Le ragazze di San Frediano” (1949), e trasposti poi in una più approfondita lettura psicologica in “Cronache di poveri amanti” (1947).
Pratolini svolge con successo, in questi anni, anche un’attività di sceneggiatore e soggettista cinematografico, e intraprenderà in seguito una carriera di autore di testi teatrali (“La domenica della povera gente”, 1952; “Lungo viaggio di Natale”, 1954).
Nel 1955 pubblica Metello (premio Viareggio), primo romanzo di quella che diverrà la trilogia “Una storia italiana”, essendo completata da “Lo scialo” (1960) e da “Allegoria e derisione” (1966).
Nella trilogia, la vita dei fiorentini, descritta attraverso la caratterizzazione di personaggi emblematici del proletariato e della borghesia, diviene il microcosmo in cui analizzare lo svolgimento di dinamiche sentimentali e politico-sociali.
Nella trilogia, la vita dei fiorentini, descritta attraverso la caratterizzazione di personaggi emblematici del proletariato e della borghesia, diviene il microcosmo in cui analizzare lo svolgimento di dinamiche sentimentali e politico-sociali.
Alla città e al mondo dell’adolescenza sono dedicati ancora un romanzo, “La costanza della ragione” (1963), e le poesie raccolte in “La mia città ha trent’anni” (1967). Alcune «cronache in versi e in prosa», scritte dal 1930 al 1980, sono riunite nel volume “Il mannello di Natascia” (1984, premio Viareggio).