Chi compie un torto forse è meno felice di chi lo subisce.
Platone
Il termine inglese “
stalking[2]” proviene dal gergo venatorio e significa, letteralmente, “fare la posta ad una preda”; esso viene così utilizzato, abbastanza diffusamente, per indicare un comportamento tipizzato da una “sorveglianza” sulla vittima, scelta come destinataria di condotte per essa moleste o attenzioni molto spesso sfocianti in vere e proprie patologie. Per usare altri termini ancora più realistici, il fenomeno è quello di una persona che viene “braccata” da un'altra, fino al punto dall’essere avvertito come un persecutore. La fattispecie ha cominciato ad essere riconosciuta come autonomo fenomeno sociale e criminale all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso negli Stati Uniti, in seguito a gravi fatti di questa natura di cui furono soggetti passivi personaggi famosi dello spettacolo, perseguitati da ammiratori che non concedevano loro respiro e discrezione, fino al punto di una nota attrice pugnalata dal suo “
stalker” a Los Angeles. Di fronte alla diffusione progressiva del fenomeno che si avvertì, nel 1991 lo Stato della California adottò la prima legge
anti stalking. In Europa fu il Regno Unito che nel 1997 emanò un “
Protestion from harassment act” il quale disegna una figura criminosa che in larga parte ispirerà la disciplina italiana; in Germania l’art.238 del codice penale (riformato nel 2007), prevede una ipotesi specifica e dettagliata che punisce chi perseguita una persona cercando insistentemente la sua vicinanza e tenti di stabilire con essa un contatto tramite i mezzi di telecomunicazione o l’ausilio di terzi, ordini merci o servizi utilizzando abusivamente i suoi dati personali, oppure minacci con lesioni corporali l’incolumità, la salute e la libertà della vittima o di una persona ad essa vicina, oppure compia azioni simili che rechino grave pregiudizio all’organizzazione della vita della persona stessa.
In Italia il reato di
stalking è stato introdotto con un Decreto Legge (23/02/2009, n.11), cioè, come noto, per mezzo di un atto di natura legislativa (frequentemente) emanato dal Governo ricorrendo “
casi straordinari di necessità e urgenza” (art.77 Costituzione); il Decreto, dedicato alle misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori, è stato convertito in legge 23 aprile 2009, n. 38
[3], ed ha introdotto l’
art.612bis al Codice Penale
[4], come parte di una iniziativa che, principalmente, aveva lo scopo di contrastare la violenza sessuale nei confronti delle donne, quali soggetti deboli tipicamente vittima di intemperanze e di aggressioni maschili; tuttavia, pur partendo dalla constatazione che il soggetto da proteggere è quasi sempre di sesso femminile, è pacifico che le disposizioni sugli atti persecutori hanno ambito di applicazione generale.
Il primo comma dell’art.612bis (
Atti persecutori) del Codice Penale recita: “
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Questo testo evidenzia, innanzitutto, lo sforzo che il legislatore ha compiuto nell’impiegare espressioni sufficientemente ampie al fine, da un lato, di ricomprendere la molteplicità di ipotesi riconducibili alla nozione di atti persecutori e, dall’altro, di assicurare il rispetto del principio di tassatività delle norme penali, in forza del quale la norma penale deve essere formulata in modo preciso ed univoco, così che si possa conoscere con sufficiente precisione ciò che è penalmente lecito o vietato, circoscrivendo in limiti ben definiti l'attività interpretativa del giudice
[5]. La norma prevede subito la c.d. “clausola di sussidiarietà”, cioè l’inciso “
salvo che il fatto costituisca più grave reato”, formula impiegata in questo caso dal legislatore direi quasi “in stato confusionale” di concetti e tecnica di redazione delle norme, senza cioè alcuna giustificazione. Infatti, il punto è che lo
stalking, come vedremo in dettaglio fra breve, è un reato abituale proprio, che si sostanzia in un comportamento ripetuto e assillante, mentre le altre fattispecie di reato (es. violenza sessuale, art.609bis, violenza privata 610, minaccia 612 c.p.) che potrebbero in astratto concorrere con esso, sono reati istantanei, che si consumano anche con una sola azione. Dunque, la clausola non potrebbe mai operare, poiché il fatto dello
stalking è assai più complesso ed articolato rispetto ad un singolo episodio, realizzato all’interno del lungo
iter delle molestie assillanti e sarebbe assurdo far prevalere la punizione di un fatto che si realizza in un istante rispetto ad un intero comportamento persecutorio che può durare mesi o anni
[6].
Il legislatore ha attribuito al delitto di atti persecutori la natura di illecito che va a ledere il bene giuridico costituito dalla libertà morale, cioè l’attitudine ordinaria del soggetto ad autodeterminarsi, a fare scelte autonome, senza quei condizionamenti esterni che non siano quelli comunemente accettati da tutti come regola naturale del convivere sociale. La nuova figura di reato va a colmare una lacuna dell’ordinamento, che non prevedeva reazioni giuridiche adeguate per comportamenti delittuosi seriali, espressione di un profilo psicologico del tutto “particolare” nell’agente. Gli atti persecutori consistono, in definitiva, in atti di minaccia o di molestia continuate
[7], dove la prima, nello specifico e riprendendo la giurisprudenza formatasi sull’art.610 c.p.
[8], si realizza nella “prospettazione” di un male futuro e ingiusto, il cui verificarsi dipende dalla volontà del soggetto attivo
[9]. La minaccia può essere realizzata con i mezzi più diversi: espressioni verbali pronunciate alla presenza della vittima designata o anche rivolte a prossimi congiunti o a soggetti legati ad essa da un rapporto affettivo in grado di riferirle (nel caso di specie la modalità più frequente è la via telefonica), o tramite l’invio di lettere, di sms, email e di pacchi dal contenuto esplicito, oltre che attraverso il
web con le sue occasioni di chat, di forum, di
communities, nonché nell’invio di virus, di spam, e spyware. In numerose pronunce le Corti di merito hanno riconosciuto il reato in esame sia nel caso di minacce di morte, sia quelle che prefigurano lesioni della incolumità personale.
Il concetto di “molestia” pone maggiori dubbi interpretativi, ecco che risulta utile richiamare la giurisprudenza elaborata sull’art.660 c.p.
[10], in base alla quale sono molesti quei comportamenti che interferiscono insistentemente e inopportunamente nell’altrui sfera di libertà, e che producono una fastidiosa intromissione nella vita privata della vittima. A ben vedere non viene introdotto dal legislatore nessun elemento qualificante le molestie: il reato è strutturato a forma libera senza determinazione a priori delle modalità di realizzazione, nella consapevolezza che nella prassi il fenomeno può presentare le più svariate forme di manifestazione. Dalla lettura delle numerose sentenze prodotte in questi anni dai Tribunali, emerge con chiarezza come questa scelta di redazione della norma abbia permesso di enucleare all’interno della sfera di applicazione dell’art.612bis c.p. un’eterogenea gamma di comportamenti: il pedinamento della vittima dalla propria casa al luogo di lavoro, gli appostamenti sotto la casa famigliare, o al luogo di lavoro, o i già citati contatti telefonici. Il reato è stato configurato anche nel caso di atti persecutori commessi a danno di più soggetti passivi (es. più persone abitanti nello stesso condominio), così come può ricorrere il “concorso” di più persone nel reato, quando tutti i concorrenti si rappresentino consapevolmente di cooperare alla comune realizzazione della condotta delittuosa
[11]. Lo
stalking ha natura di reato di “evento”, cioè di reato che per la sua configurazione necessita di una modificazione del mondo esterno causata dall’azione tipica dell’agente. Dalle condotte di minaccia o di molestia, infatti, devono realizzarsi tre diversi eventi, i quali, per la dottrina prevalente e per l’interpretazione giurisprudenziale, possono ricorrere alternativamente, affinché si realizzi il reato. Non solo l’uso della disgiuntiva “o” nel testo fra le varie ipotesi fa propendere per questa opinione, ma anche la considerazione che il richiedere la congiunta realizzazione di tutti e tre gli eventi avrebbe potuto provocare una paralisi applicativa dell’istituto, considerate le difficoltà relative alla prova di queste condizioni: quindi il verificarsi anche di uno solo degli eventi rappresenta la consumazione del reato. Inoltre, l’uso del verbo “cagionare”, che fa la norma, è diretto ad indicare il rapporto tra una azione ed un evento, la “causalità” che vincola una determinata condotta al risultato prodotto.
Il primo evento dannoso che può derivare dalle condotte di minaccia e molestia è il “
perdurante e grave stato di ansia o di paura” nella vittima della persecuzione; l’aggettivo “perdurante” indica la caratteristica di reato abituale che provoca il protrarsi nel tempo dello stato di ansia, cioè stato non estemporaneo o dovuto a fattori momentanei e transitori. La “gravità”, che deve qualificare l’evento in termini qualitativi e quantitativi, è più difficoltosa da determinare stante la mancanza di qualsiasi parametro di riferimento; occorre valutare un fattore soggettivo, non determinabile a priori per tutti i casi e legato alle specifiche condizioni della vittima
[12]. Anche per fornire la necessaria determinatezza alla norma, si deve ritenere che l’ansia e la paura debbano poter essere diagnosticate da un esame medico legale o comunque debbano assumere manifestazioni esterne chiaramente riconoscibili e apprezzabili.
Il secondo evento provocato dalla condotta consiste nel “timore per l'incolumità propria o di persone legate da vincoli di sangue o di affetto”, che deve essere fondato, dunque non immaginato o semplicemente ipotizzato, denotato da elementi concreti ed univoci che dimostrino una possibile, anzi probabile, evoluzione della vicenda oppressiva verso eventi maggiormente aggressivi e drammatici. Nel novero dei soggetti cui si riferisce la norma sono ricompresi anche il convivente, il fidanzato, l’innamorato, l’amico.
Anche il terzo evento prefigurato dalla norma come elemento costitutivo del reato, “il mutamento delle abitudini di vita”, non viene descritto nelle sue modalità di realizzazione proprio considerando che nella prassi il fenomeno può assumere le forme più svariate, accomunate però da un comportamento “necessitato” cui la vittima di atti di persecuzione ricorre per sottrarsi a questo trattamento. E’ frequente che le vittime di stalking cambino il percorso che conduce al luogo di lavoro o alla casa famigliare, le utenze telefoniche, siano costrette a non uscire nelle ore serali, si facciano accompagnare nei loro spostamenti per non fornire ulteriori occasioni di essere disturbati, a prezzo però di alterare i propri ritmi di vita quotidiana, le proprie forme di distrazione, le scelte minute che ordinariamente regolano il rapporto con l’esterno e la fruizione dei beni collettivi. Il secondo comma dell’art.612bis c.p. prevede quale circostanza aggravante comune (aumento della pena fino a un terzo), la commissione degli atti molesti o minacciosi da parte del coniuge legalmente separato o da una persona che sia stata legata da una relazione affettiva alla persona offesa; nella maggior parte dei casi analizzati lo stalking si è realizzato in un contesto famigliare ad opera del coniuge legalmente separato o in fase di divorzio e, talvolta, anche da un soggetto già legato da amicizia o da una relazione sentimentale.
Dopo queste considerazioni, molto generali, sulla figura del reato di atti persecutori, si può affermare che lo strumento legislativo e, in particolare, quello di tipo penale, non rappresenta certo un mezzo di per se sufficiente ad impedire eccessi ed a riportare ad un comportamento ordinato l’autore di condotte persecutorie, dovendosi sempre affiancare a terapie (psicologiche e mediche) e forme di vigilanza capaci di restituire all’individuo un equilibrio psichico spesso compromesso. Lo stalker è un individuo, quasi sempre, con temperamento border line o quanto meno esaltato ed eccitato da un sentimento obnubilante e totalizzante, con perdita del senso delle proporzioni. Se a queste premesse si aggiunge la particolare lentezza che caratterizza il nostro sistema giudiziario nell’accertamento della responsabilità penale per la commissione di reati anche di grave allarme sociale come nel caso degli atti persecutori, e nella successiva erogazione delle sanzioni, ben si comprendono le criticità che emergono nell’affrontare i casi più gravi di stalking, quando la reazione delle autorità competenti alla tutela dell’incolumità delle vittime, si dimostra così poco tempestiva da lasciare di fatto priva di protezione la vittima anche per un lungo lasso di tempo. Ovviamente è compito del legislatore prevedere, ed attuare, ulteriori misure che completino e rafforzino la capacità di prevenzione dell’istituto giuridico contro gli atti persecutori…
Senza amare se stessi non è possibile amare neanche il prossimo,
l’odio di sé è identico al gretto egoismo
e produce alla fine lo stesso orribile isolamento,
la stessa disperazione.
Hermann Hesse
Pubblicata nella Gazz. Uff. 24 aprile 2009, n. 95.