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Intervista con Alessandro Hellmann

13 min read
Alessandro Hellmann + Nestor Band – Summertime Blue (The Oleśnica Sessions) 
finalmente disponibile in tutti gli store digitali da New Model Label il classico album del cantautore genovese
 
Un sestetto jazz polacco, un artigiano delle parole italiano, un registratore analogico, un mixer analogico, una tromba, un pianoforte a coda, un piano rhodes, un organo hammond, un basso, una chitarra, una batteria, un microfono, un centinaio di cavi a collegare: tutte queste cose in maniera apparentemente casuale, una casa sperduta nella campagna ai margini di Oleśnica, la nebbia dell’autunno e il ricordo dell’estate, un numero ragionevole di birre e caffè, una manciata di canzoni d’autore per inguaribili romantici tra swing, rock e blues, una session di otto ore in presa diretta senza conservanti, ingredienti geneticamente modificati, campionamenti, copia e incolla, taglio e cucito, effetti speciali. Un impasto di suoni vintage al servizio di liriche struggenti e di una voce tanto ineducata quanto toccante. Per chi ama la poesia e per chi si commuove al suono di rhodes e hammond. Tutto questo è “Summertime blue”, un disco in carne ed ossa, imperfetto ma vero, come la vita. 

Alessandro Hellmann, genovese classe 1971, scrittore, poeta, autore teatrale e musicista particolarmente apprezzato dalla critica per il suo stile che coniuga qualità e impegno, ha ricevuto svariati riconoscimenti che gli hanno valso lo status di autore “di culto”. Tra questi il Premio Fabrizio De André, conferitogli da Dori Ghezzi, il Premio Guido Gozzano del Biella Festival, il Premio Augusto Daolio al miglior autore, ecc. Collabora con numerosi musicisti e gruppi emergenti e le sue canzoni compaiono su una quindicina di compilation e dischi di altri artisti. “Summertime blue” è il primo disco a suo nome. Nella sua opera letteraria descrive il punto di vista dei più deboli, resistenti o vinti, con uno stile umorale e personalissimo, fatto di improvvise verticalizzazioni liriche innestate in un contesto narrativo-giornalistico, sempre in equilibrio tra il registro drammatico e il grottesco. I suoi testi sono stati pubblicati su alcune delle più importanti riviste letterarie e di controcultura italiane.Tra le sue opere spiccano i romanzi-inchiesta pubblicati per Stampa Alternativa: "David Lazzaretti. Vita, morte e miracoli di un figlio di Dio" (2013), “Cuba. La rivoluzione imperdonabile. Da Cristoforo Colombo a Bush” (2008) e “Cent’anni di veleno” (2005), pluripremiato e definito dalla stampa “un piccolo capolavoro di tecnica narrativa” e “un testo di elevato valore letterario e umano”. È  presente inoltre nel volume “Senza fermarsi. Parole dal viaggio” (Azimut, 2008) in compagnia di alcune delle migliori penne della letteratura italiana contemporanea, da Dante Maffia a Erri De Luca. Per il Teatro ha scritto "La solitudine dell'ape", "Decadence Lounge" e "Il fiume rubato".

 
Tracklist: 1. Di cosa parliamo quando parliamo d'amore / 2.Le tue mani / 3. Dormi / 4. Giorni strani / 5. A mia madre / 6. A volte ritornano / 7. Sulla spiaggia / 8. Blues for GJMJ / 9. Interno notte
 
 
 
 
Intervista
 
Davide
Ciao Alessandro. Parleremo di due tuoi lavori, uno musicale, l’altro letterario, che ho avuto in questi giorni il grande piacere di conoscere. Cominciamo dal primo. In realtà si tratta di un disco non nuovissimo, bensì registrato nel 2006. È “Summertime blue”, il primo a tuo nome (Musica Made in Biella/TreLune Records) suonato con la nestor Band. L’occasione per riparlarne è la sua riproposta in distribuzione negli store digitali della New Model Label. Come è accaduto di trovarti a Oleśnica in Polonia a registrare con la Nestor Band? Come è nato questo disco?
 
Alessandro
Per buona parte del 2006 mi sono trovato a vivere nella cittadina di Swidnica per seguire un progetto… Una sera d’estate una coppia di amici polacchi mi ha invitato in un locale di Wroclaw per bere una birra per il mio compleanno. Era una specie di scantinato, un po’ fumoso, col soffitto basso e i tavolini unti, pieno di gente non del tutto sobria… Un gran posto, insomma. Quella sera suonava il Tadeusz Nestorowicz Sekstet: la Nestor Band! Mi colpì subito il suono schietto, vigoroso… Scambiammo qualche parola in un intervallo. Non ricordo bene cosa ci dicemmo, né in che lingua… Ricordo solo che per un attimo pensai che sarebbe stato bello lavorare su qualche brano insieme a loro. Ma rimase un pensiero. Senonché il giorno successivo incontrai di nuovo Tadeusz nel rynek di Wroclaw, in maniera del tutto casuale: era appena sceso da una torre su cui si arrampicava ogni santo giorno alle 12 in punto per suonare con la tromba una melodia, quella “Hajnal Miasta Wroclaw” che hai ascoltato alla fine del disco, in memoria di un fatto legato alla storia della città. Nell’istante preciso in cui ci siamo rivisti e riconosciuti ho concluso che quell’incontro dovesse significare qualcosa e gli ho proposto di rivederci per ascoltare insieme dei brani. Il ricordo successivo è a casa sua, un appartamento in un decrepito palazzone in stile razionalista vicino alla stazione dei bus, a mangiare una salsiccia di incerta origine annegata in un mare di cipolle fritte e ad accennare “Interno notte” sui tasti ingialliti del suo piano verticale.
 
Davide
Presentaci i musicisti che ti hanno accompagnato in questo disco. Proposto come sestetto jazz polacco, in realtà il disco non è un disco di musica jazz, ma di raffinata canzone cosiddetta d’autore, musicalmente molto varia e, come si dice oggi, “obliqua” nell’uso dei generi. Ci racconti la tua formazione musicale?
 
Alessandro
Come ti dicevo, il primo contatto è stato con Tadeusz, il trombettista, ma già da quella serata a Wroclaw ero rimasto impressionato dal tocco brillante e fantasioso di Bogdan, dalla precisione e robustezza della sezione ritmica…
In origine per le registrazioni che poi sarebbero diventate “Summertime blue” avevo pensato a degli arrangiamenti molto jazzati e avevo selezionato i brani di conseguenza, immaginandomeli già nella mia testa in una veste completamente nuova. Ma la prima volta che ci siamo visti per provare mi sono reso conto che la versatilità di questi musicisti avrebbe permesso di fare qualsiasi cosa. Così abbiamo deciso di non ingabbiare le canzoni in un “genere” ma di trattarle ciascuna secondo l’umore del momento, lasciando molto spazio all’istinto. Delle parti strumentali solistiche che senti nel disco, non ce n’è una che fosse stata preparata. Non ci siamo mai detti cose del tipo “qui l’assolo deve durare 16 battute”: bastava uno sguardo al volo durante la registrazione per dirsi “ho finito” oppure “entra qui”. Così sono venute fuori le ballate, il rock, il blues… E quel suono ruspante. Tutto molto spontaneamente… Era musica che ciascuno di noi aveva ascoltato, vissuto, respirato… Due prove ed eravamo già in fattoria a registrare.
 
Davide
C’è qualcosa nella tua musica, come mi è parso, di Cristiano De Andrè? Chi sono gli autori che ti hanno più accompagnato e che ti hanno fatto nascere e crescere il desiderio di scrivere canzoni?
 
Alessandro
Siamo tutto ciò che abbiamo ascoltato, interiorizzato ed elaborato attraverso le nostre esperienze, quindi è naturale che nella nostra voce riverberino in qualche misura anche le voci degli artisti che abbiamo incontrato. De André figlio è uno tra i miei molti ascolti (anche se mai quanto De André padre, De Gregori o Fossati, tanto per rimanere in Italia) ed è possibile quindi che qualcosa del suo universo sia entrato in risonanza con il mio. Lui però è più musicista e interprete, mentre io mi considero fondamentalmente un autore. Un autore di testi, per la precisione. Scrivo soprattutto per altri. “Summertime blue” è nato dalla voglia di fotografare un’esperienza che per me è stata importante più che dall’urgenza fine a se stessa di realizzare un disco a mio nome.
 
Davide
Nel disco ci sono due brani che hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti: Le tue mani, premio Fabrizio De Andrè al miglior autore, e A mia madre, premio Augusto Daolio e Premio Guido Gozzano al miglior testo. Quali altre soddisfazioni ti sei meritato con questa pregevole prova d’esordio?
 
Alessandro
Il disco è stato accolto molto bene dalla critica, oltre ogni mia aspettativa, ed è stato perfino inserito nella rosa dei migliori dischi dell’anno da alcune riviste e webzine che si dedicano alla cosiddetta “canzone d’autore”. Però il riconoscimento più grande, per me, è quando qualcuno ti scrive di aver pianto ascoltando “A mia madre” o di aver addormentato il suo bimbo cantandogli “Dormi”, perché questo significa essere riusciti davvero a comunicarci qualcosa di profondo. Sono cose che ci fanno sentire meno soli…
 
Davide
Registrato in analogico… “Una session di otto ore in presa diretta. Non contiene conservanti. Non contiene ingredienti geneticamente modificati. Non contiene campionamenti. Non contiene copia e incolla. Non contiene taglio e cucito. Non contiene effetti speciali, imperfetto ma sincero, come la vita”. Insomma, un disco suonato davvero. Quanto e come contano per te questa fisicità e questa autentica reciprocità in tempo reale con gli altri musicisti in un mondo di “nativi digitali”, come li chiamano oggi i sociologi, e quel che oggi musicalmente ne consegue?
 
Alessandro
Credo che l’onestà sia fondamentale, nella musica come nella vita. In questo disco non abbiamo voluto barare. E poi sono convinto che quando si suona insieme, contemporaneamente, il risultato è sempre superiore alla somma delle singole parti. Nella musica la tecnologia deve essere – al più – il mezzo, mai il fine.
 
Davide
Come autore di canzoni hai scritto per altri interpreti e gruppi. Ci fai qualche titolo e qualche nome? Cosa provi quando qualcuno interpreta qualcosa di tuo e come ti poni, quando crei, rispetto a chi interpreterà un tuo lavoro?
 
Alessandro
Quando scrivo per qualcun altro cerco di entrare in relazione con il suo mondo e con i suoi codici espressivi, ma senza mai smettere di essere me stesso e di usare il mio linguaggio. Più spesso ancora mi capita di scrivere solo per me, per rispondere a un mio bisogno, e poi semplicemente succede che qualcuno senta quella canzone nelle proprie corde e voglia interpretarla…
Recentemente ho scritto per Anna Maria Castelli buona parte dei testi del disco “Se io ho perso… chi ha vinto?”, un progetto di canzone d’autore radicale, alla francese. Lei è un’interprete straordinaria, unica, capace di dare davvero carne e sangue alle parole. Una da Premio Tenco, per intenderci. Così come Roberto Giordi, un cantautore di una sensibilità e raffinatezza straordinarie per cui ho scritto i testi dei dischi “Con il mio nome” e “Gli amanti di Magritte”. Poi mi è capitato di scrivere per Irene Fargo, per (e con) i Presi Per Caso, Priska, Michele Amadori e altri emergenti… Ho scritto anche molte canzoni con Rosario Di Bella: alcune di queste faranno parte del suo prossimo progetto.
 
Davide
Sta per uscire un tuo nuovo lavoro, di cui spero avremo occasione di parlare presto su Kult Underground. Intanto ce ne anticipi qualcosa?
 
Alessandro
Si tratta di un libro sulla storia misteriosa di David Lazzaretti, il Cristo dell’Amiata. Una vicenda scomoda, a lungo censurata sia dallo Stato che dalla Chiesa. La racconto come ho raccontato la resistenza dei valbormidesi contro l’Acna di Cengio in “Cent’anni di veleno”: come si raccontavano le storie una volta, prima della televisione, seduti intorno al fuoco, con parole vive, ancora sporche di terra…
Uscirà per Stampa Alternativa in primavera.
 
Davide
Alessandro Hellmann scrittore. “Decadence Lounge, viaggio nei nonluoghi del nostro tempo” (Editore Zona, 2010) si legge in un fiato e condivido le note in copertina: un viaggio irresistibile, ironico e commoventeattraverso ipermercati e fast food, outlet e centri commerciali e multisala, cliniche e aeroporti, che scardina il senso comune mettendo a nudo un mondo privo di logica e di bellezza, abitato da maschere che non hanno più nulla di umano. Proprio come il nostro tempo (non tempo) e i nostri luoghi (non luoghi) della surmodernità. Hai pubblicato altri libri, anche di poesia, e hai scritto anche per il teatro e il libretto per un musical, Faust. Stai scrivendo qualcosa di nuovo? Come nasce la tua passione letteraria e con quali libri, quali scrittori?
 
Alessandro
A parte il lavoro su Lazzaretti, che mi ha tenuto compagnia per alcuni anni e che ho completato da poco, sto rifinendo una raccolta di fiabe che toccano, più o meno sotto traccia, temi ecologici e sociali. Le sta illustrando Ivano Antonazzo con la poesia che contraddistingue ogni suo lavoro e ci sarà anche un breve scritto inedito in cui Luca Abbà racconta con una semplicità disarmante il TAV ai bambini…
Quanto alla passione letteraria, ho sempre letto molto, anche se in maniera piuttosto disordinata. Ciò che mi cattura in un autore è l’essenzialità, ossia la capacità di definire una situazione, un sentimento o un’idea attraverso pochi tratti. Al liceo ricordo che Montale e Ungaretti mi commuovevano fino alle lacrime. Per la stessa ragione ora amo autori come Beppe Fenoglio o Eduardo Galeano, pur nella loro grande diversità in termini di linguaggio e architetture narrative: dai loro libri migliori non potresti togliere una sola parola senza perdere qualcosa di davvero importante. Lo stesso discorso vale per Erri De Luca… Però amo anche la prosa in libertà di Nanni Balestrini… E mille altre cose ancora, ma qui mi fermo perché altrimenti ci sarebbe da parlare fino a stanotte!
 
Davide
Fra l'amore e la musica c'è questa differenza: l'amore non può dare l'idea della musica, la musica può dare l'idea dell'amore, disse Hector Berlioz. Che differenza c’è invece per te fra la letteratura e la musica? Quando scegli di esprimerti con una e quando con l’altra?
 
Alessandro
Non sono mai io a scegliere consapevolmente: è una cosa che avviene da sé in maniera naturale. Ogni storia e ogni sensazione conoscono già la via attraverso cui esprimersi. Nel momento in cui arriva un’idea, io so già dentro di me se sarà una canzone, un racconto o un testo teatrale. Non so bene come questa cosa avvenga, ma è così…
 
Davide
Parlaci dello spettacolo con Viviana Mattei, per la regia di Fabrizio Matteini (Tam Tam Teatro) tratto dal tuo libro “Decadence Lounge”. Com’è nata questa trasposizione teatrale?
 
Alessandro
Viviana cercava un testo inedito con cui partecipare ad una rassegna teatrale e io le feci leggere degli appunti di viaggio estemporanei che avevano come filo conduttore l’ambientazione in nonluoghi, questi spazi senza memoria in cui le persone si sfiorano senza mai incontarsi. Le dissi che magari poteva essere uno spunto intorno al quale costruire una storia e una drammaturgia. Ma appena li ebbe letti mi chiamò per dirmi che invece il testo doveva proprio essere quello, così com’era. Lei e Fabrizio, poi, hanno fatto un lavoro di grande approfondimento psico-antropologico e di rara qualità estetica. Alcune idee che hanno concepito per la versione teatrale mi hanno anche ispirato la riscrittura di alcuni episodi, tra cui il finale stesso. La versione del libro che è andata in stampa deve molto al confronto con loro. Due splendide persone.
 
Davide
Vivi ancora a Roma ed eserciti ancora la professione di ingegnere? Come nelle tue creazioni e nella tua vita si influenzano e si completano ingegneria e, un’apparentemente opposta (ma Leonardo, diciamo, docet) arte, musica, poesia?
 
Alessandro
Gli opposti in genere si integrano e si completano. Essere immerso nella vita, anche attraverso una professione cosiddetta “normale”, mi fa sentire molto vicino alle cose e alle persone. Al tempo stesso l’arte (intesa in senso lato) aiuta a non inaridirsi, a non perdersi nelle volgari incombenze a cui il quotidiano spesso ci costringe, a tenere in vita il bambino che c’è in ciascuno di noi. Tutto deve stare in equilibrio.
 
Davide
Viaggi molto? Cos’è il viaggio?
 
Alessandro
Amo molto viaggiare, vedere persone diverse, luoghi diversi, architetture diverse… E anche vedere colori insoliti, sentire odori estranei… Confrontarsi con ciò che apparentemente non ci appartiene ci offre l’opportunità di misurarci con noi stessi, con le nostre convinzioni, con il nostro senso di appartenenza alla Madre Terra.
Ovviamente non parlo dei pacchetti da Agenzia Viaggi: il turismo organizzato mi mette una tristezza infinita…
 
Davide
Torniamo al tuo disco. Perché inizia e conclude questo sogno di fine estate, un romantico riverbero del valzer in la minore op. 34 n. 2 di Chopin?
 
Alessandro
Poco dopo le registrazioni, a distanza di una manciata di giorni, morì mio padre e nacque la mia prima figlia. Nulla sarebbe mai più stato come prima.
Al momento di trasferire i nastri su disco ho sentito la necessità di accogliere il ricordo di quell’esperienza con la Nestor Band in una dimensione quasi onirica, velata da una composta malinconia… Quel valzer esprimeva esattamente il mio stato d’animo nel momento in cui l’ho scelto.
 
Davide
La musica è il rifugio degli animi ulcerati dalla felicità, scrisse Cioran. Cos’è per te?
 
Alessandro
Aggiungerei “ulcerati dalla bellezza” e da tutto ciò che riusciamo soltanto ad intuire e che vorremmo invece stringerci al cuore in un abbraccio senza fine. La musica è il vento che soffia tra le foglie di un albero, lo scorrere dell’acqua tra i sassi, il passo di chi ritorna a casa, il respiro degli amanti, un fiammifero acceso nella notte… Tra la musica e la vita non c’è distinzione.
 
Davide
A seguire?
 
Alessandro
A seguire mi auguro di poter continuare a godere del privilegio di fare ciò che voglio nel modo che voglio e insieme a persone che mi piacciono. Non è poco…
 
Davide
Grazie e à suivre…
 
Alessandro
A te.

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