L’avevamo lasciato alle prese con alcune morti inspiegabili e un letale piatto di pesce crudo. Dopo un anno e mezzo da “Sushi sotto la Mole” il Commissario Paludi torna a farsi vivo.
Accompagnato dalla penna di Fabio Beccacini, la terza avventura dell’investigatore ligure trapiantato a Torino (“Ultimi fuochi per Paludi” – Frilli Ed. – 2011) si apre il 24 giugno, durante la Festa di San Giovanni, con i fuochi artificiali che riempiono il cielo e un colpo di pistola confuso tra gli scoppi.
Subito dopo la scena di apertura, è un fotogramma che campeggia in una pagina vuota ad avvertirci di ciò a cui stiamo per assistere: “primo tempo” recita, come nei film proiettati sullo schermo del cinema. Ma è solo un passaggio, un avvertimento veloce, perché l’avvio della storia vera e propria è affidata a un articolo di giornale che ci mette di fronte a un fatto compiuto: un’indagine del Commissario Paludi si è appena conclusa. Ha indagato sui ragazzi dell’est provenienti dalla Romania, ridotti in schiavitù e costretti a rubare l’oro rosso: il rame. Il capo dell’organizzazione è soprannominato Balà (la Belva), accusato di riduzione in schiavitù, sequestro di persona, violenza sessuale e una serie di altri reati.
Questa alternanza di forme narrative, che mescola romanzo, giornalismo e cinema, è caratteristica della scrittura di Baccacini e contribuisce a trasmettere al lettore la sensazione di vivere nello stesso mondo di Paludi, in un gioco in cui la realtà e la verosimiglianza si sovrappongono.
L’autore torinese ottiene alla perfezione questo effetto muovendosi su tre fronti distinti. In primo luogo ricostruisce in maniera precisa i luoghi e gli ambienti di Torino, dalla “Car Glass di via Novara” alla “Rumherie di via Ormea [dove] poteva comprarsi una bottiglia di Barcelò e lasciarla in un armadietto in attesa di tornare a scolarsela”, o, tra gli altri, in quel taglio da sala operatoria che Paludi traccia con lo sguardo “dai capannoni dell’Iveco lungo lo Stura fino alla collina e al Santuario di Superga in faccia a corso Francia (…) Era una lunga ferita che attraversava la periferia torinese con i suoi condomini e le sue fabbriche in disuso. I Docks Dora, la Fiat Fonderie e la sede della Lavazza in corso Novara”.
Il secondo elemento della costruzione di un mondo parallelo e sovrapposto si incontra nei fatti di cronaca citati nel romanzo, dal riferimento alla strage di Oslo al “l’articolo a quattro colonne (…) E stasera Bunga Bunga. Seguiva la foto di un ottantenne direttore di un telegiornale nazionale che con la fida collaborazione di un agente di modelle e mignotte organizzava party piccanti a casa del presidente del consiglio”.
È lo scorrere del tempo a completare l’opera di Beccacini, un continuo avanzare che intacca lo stesso protagonista, partito dai 44 anni il giorno dei Santi del primo romanzo e arrivato a compierne 49 in “Ultimi fuochi”. Paludi invecchia e fa i conti con la vita esattamente come i lettori delle sue avventure, tra un matrimonio finito, un figlio che non vede quanto vorrebbe, una relazione lasciata alle spalle, il cane con cui divide l’appartamento.
Il ritmo del romanzo è scandito da un continuo ricorrersi del tempo, uno scorrere non lineare che obbliga il lettore ad andare ripetutamente avanti e indietro alla scoperta dei frammenti della narrazione. Un meccanismo di sfasamento temporale che Beccacini aveva già utilizzato nel suo precedente romanzo, “Sushi sotto la Mole”, ma che in “Ultimi fuochi” assume nei titoli dei capitoli l’evidenza di un avvertimento rivolto al lettore, che si lega al susseguirsi interminabile del sorgere del sole e dell’arrivo del tramonto e si pone come strumento principale della narrazione.
Beccacini, questa volta più di altre, introduce nel romanzo numerosi elementi di carattere sociale. Accanto agli schiavi dell’oro rosso, troviamo infatti la moltitudine di disperati che, in processione silenziosa, ogni pomeriggio “risaliva il monte dei Cappuccini e si metteva in coda per i panini dei frati. Per un obolo di sbobba e qualche lacrima di pietà”. Sono “più di cento persone ogni giorno. Rumeni, moldavi (…), albanesi, arabi, senegalesi, bulgari, di ogni nazione e ultimamente sempre più italiani”.
Utilizzando gli occhi e i punti di vista dei diversi personaggi, Beccacini mostra una miseria che non è soltanto materiale ma morale. Se “gli italiani (…) sembravano tanti piccoli operai di una fabbrica mentale volta ad arrivare alla fine del mese, si avvelenavano di pubblicità; andavano nei pub a vedere partite di calcio su sky, scommettevano su ogni evento sportivo. Non c’era nobiltà, tutti tiravano a comprare”, anche gli stranieri hanno le loro colpe: gli immigrati “erano persino peggio, pigliavano i peggiori difetti di quel paese che avrebbe voluto amare, scorrazzavano su vetture ingombre di luci blu e assetti ribassati, impianti stereo che avrebbero fatto impallidire quello del concerto degli Stones”.
Tutti sembrano accumunati dall’impossibilità a elevarsi da una condizione di vita bassa e decadente, in cui “vivere onestamente stava diventando inutile. Una volgarità diffusa rendeva superficiali le passioni”, il mondo è consumato da “piacere personale, egoismo cattolico, menefreghismo”, il razzismo non è sentimento dei forti nei confronti dei deboli, ma un mezzo di differenziazione e sopraffazione dei deboli nei confronti dei più deboli.
In definitiva, “Ultimi fuochi per Paludi” è un libro noir che soddisfa la richiesta del lettore di accompagnarlo in diverse ore di svago, ma che presenta numerosi punti di riflessione, utili a chi vuole affiancare la riflessione alla lettura. Non per questo il romanzo si pone all’interno del filone, sempre più abusato e modaiolo, che utilizza la cronaca e l’analisi sociale per far avvicinare al noir lettori abituati ad altri generi letterari. In Beccacini è la ricerca di una realtà nella scrittura che giustifica e rende credibili quei pensieri e quelle considerazioni. Forse è questo il segreto del successo di romanzi come “Sushi sotto la Mole”, che verrà certamente bissato da “Ultimi fuochi”: essere credibili e sinceri nei confronti del lettore. E questo non è purtroppo un atteggiamento particolarmente diffuso tra gli scrittori contemporanei.
Fabio Beccacini – “Ultimi fuochi per Paludi”
Fratelli Frilli Editori – Collana Supernoir 2011
Pag. 288 – € 18,00
ISBN 9788875636913