Del ladro gentiluomo
Sovente sui giornali mi imbatto in notizie di ladri definiti gentiluomini. E quando si definisce un ladro pure un gentiluomo, beh, io mi chiedo se il disvalore del rubare (come tale “ufficializzato” fin dai tempi dei Dieci Comandamenti) non sia così diventato una sorta di attraente e avventuroso valore, socialmente e culturalmente apprezzato e apprezzabile. No, giusto per capire… Dal momento che non ho mai rubato e me ne rimango un povero salariato forse fallito o fallibile per questo nel giudizio di molti, guadagnando di quando in quando e tutt’al più qualità e nomignolo (tristi invero) di brav’uomo o buonuomo… Chissà, magari, scoprissi che è così fico rubare ai ricchi, meglio se con modi signorili, potrei sempre svoltare finalmente e farmi anche una fama niente male di “ladro gentiluomo”. Le qualità a tal proposito non mi mancherebbero: sono colto, forbito, d’aspetto ancora (spero) gradevole, ci metterei senz’altro una certa classe. Chi non ha amato e parteggiato, in fondo, per le imprese di Arsenio Lupin?
Di queste notizie, ne prendo solo due ad esempio, le più vicine tra loro, da La Repubblica del 10 agosto e dalla Stampa del 12 agosto 2005. Se vi prestate attenzione, ne troverete senz’altro delle altre a venire su questo tono.
Manette in autorimessa per il Lupin delle veterane (In tre anni rubate 16 vetture d’epoca). Le puntava ai raduni storici, poi le fotografava nei garage e con due complici le guidava fino in Lussemburgo.
Riassumendo, l’articolo di Federica Cravero esordisce dicendo che il malvivente in questione era l’Arsenio Lupin delle macchine d’epoca, l’incubo dei raduni di vetture storiche: era lì che osservava e fotografava le auto e prendeva il numero di targa, ne scopriva nome e indirizzo dei proprietari al Pubblico registro automobilistico, poi, con l’aiuto dei suoi complici faceva sopralluoghi, organizzava il furto. Guidava infine le auto fino in Belgio dopo aver eluso i controlli falsificando anche i certificati di proprietà, e qui, come in Lussemburgo, venivano rivendute. Questo esperto ladro e trafficante d’auto era già stato arrestato nel 1995 per essere stato a capo di un giro di 132 vetture di grossa cilindrata rubate e riciclate sul mercato del Benelux.
L’altro articolo è dedicato a Luciano Lutring, che il primo settembre di quest’anno festeggerà i quarant’anni dal suo arresto a Parigi e di cui Gallimard pubblicherà le memorie. Il cosiddetto “solista del mitra” oggi preferisce dipingere e scrivere sulle colline del Lago Maggiore. Bene, meglio. Lutring, negli anni ’60, rubò di tutto, di più, passando disinvoltamente dalle rapine (anche tre gioiellerie alla settimana) alla Ferrari mordi-e-fuggi per un solo giro di notte con la bella o la pelliccia in vetrina per la sua fidanzata, “per galanteria” (dice così, Lutring, intervistato da Marcello Giordani della Stampa: “Noi (ex ladri gentiluomini) non c’entriamo niente con la malavita di oggi. Avevamo un codice e guai a chi non lo rispettava: niente droga ai ragazzi, amicizia e senso dell’onore ferrei, nessuno avrebbe mai colpito una persona inerme. E poi oggi, chi ruberebbe per galanteria? Quando la mia donna, una vigilia di Natale vide una pelliccia etc. le dissi di andare a casa. Alle 5 del mattino, quando non c’era più nessuno, spaccai la vetrina e le portai la pelliccia“. France Soir lo definì già al tempo “le voleur gentilhomme”… Bene, ora pare che vi faranno anche un film alla memoria. Quasi come “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica… E pensare che quel povero cristo di operaio disoccupato, finalmente litichino municipale senza più la sua bicicletta, indispensabile per il suo nuovo lavoro, la quale deve così riscattare al monte di pietà facendo impegnare alla moglie le lenzuola di casa… In breve, appena comincia il nuovo lavoro, mentre attacca ai muri i primi manifesti, gli rubano la bicicletta, che cercherà dappertutto finché, esasperato dall’indifferenza e dalla ostilità della gente, pensa di rifarsi rubando a sua volta una bicicletta incustodita, ma è così malaccorto che viene subito beccato e quasi linciato… Solo il pianto del suo bambino lo salverà dall’arresto. Ecco, questo film, è stato l’unico italiano segnalato dal British Film Insitute nell’elenco dei 50 film più educativi da vedere assolutamente entro i 14 anni. La cosa mi fa riflettere: com’è che un povero disperato che ruba, e lo fa pure male, viene considerato un esempio assoluto di educazione al disvalore del furto, mentre uno che ruba sistematicamente auto d’epoca o di grossa cilindrata, o un altro come Lutring, sono definiti “ladri gentiluomini”, quasi a nobilitarne le gesta semplicemente finalizzate ad arricchirsi e a vivere nel lusso (lo stesso dicasi per Lupin, s’intende)? Ma i giornali se lo pongono il problema, quando fanno uso di certi appellativi? Si chiedono che impressione di ammirazione e appetibilità possono creare in sprovveduti lettori parlando di certi malviventi (che malviventi restano) in questi eroici o comunque bei termini di valentuomini (valentuomo è un sinonimo di galantuomo, gentiluomo… Ma il più beffardo di questi sinonimi è “onestuomo”!).
E d’accordo, questo è il meno: sottigliezze di un educatore ed ex giornalista. Riconosco a Lutring una vita ben più interessante da raccontare in un libro o in un film (Jean Genet insegna). Il problema è che nel fare d’un’erba un fascio o nel gran fascio d’erba (o malerba) di questi tempi, si dà visibilità insopportabile davvero a chiunque (Lutring non me ne voglia, ché l’ho già collocato vicino ai Genet). E sono certo che Eva Mikula, la compagna di uno dei fratelli della “banda della Uno bianca”, non fosse per il gran polverone subito sollevato dall’opinione pubblica e dalla Associazione dei familiari delle vittime, l’avremmo pure vista in un certo reality show di Mediaset. Checché dicano adesso, per correre ai ripari, se lei era così certa di farlo, quel reality (come ha detto in una certa non meno “inutile” intervista), dev’essere pure entrata in un qualche contatto. Per carità, lei vorrà pure devolvere soldi così guadagnati a quella associazione, vorrà riscattarsi agli occhi del mondo eccetera… Ma se proprio vuol fare qualcosa di simile, le opportunità non mancano. Magari, invece di farne premio di popolarità e denaro in programmi decadenti e vuoti eppure sì tristemente esemplari, numerosi sono i cantieri di solidarietà in Africa… Ma io divago molto e facilmente. E’ mia natura, abbiate pazienza.
Arsenio Lupin… dunque… Ho cominciato a riflettere. Arsene Lupin, la creatura di Maurice Leblanc, un mito della mia infanzia, il Robin Hood della Belle èpoque, impeccabile, raffinato, “une âme intrépide dans un corps inattaquable”, ma soprattutto ladro gentiluomo per antonomasia, che rubava ai ricchi… sì, ma per essere ricco. Allora, che c’entra l’appellattivo di Robin Hood della Belle èpoque? La fama di gentiluomo, al caro Lupin, gli derivava soltanto dal fatto che portava a termine i suoi colpi magistrali con finissima destrezza e senza commettere mai crimini efferati. Efferati no, ma pur sempre crimini. Certo, rubare ai ricchi, pare una sorta di giustizia sociale… Io che ricco non sono, posso capire e provarvi anche una certa soddisfazione; ma poi, rubare è sempre rubare. Meglio forse quel Passator cortese cantato anche dal Pascoli: Romagna solatia, dolce paese / qui regnarono Guidi e Malatesta, / cui tenne pure il Passator cortese, / re della strada, re della foresta”…? Stefano Pelloni, detto il Passatore, è un mito di Romagna sanguigna e generosa ancora vivo nella memoria dei romagnoli a centocinquant’anni dalla sua morte. Questo brigante pare che di cortese avesse però ben poco: crudele e scapestrato bandito risorgimentale, questo eroe leggendario alla Robin Hood, in verità, non aveva niente dell’eroe buono e senza macchia che rubava ai ricchi per dare ai poveri: rubava per il piacere di arricchirsi, proprio come Arsene Lupin, e per la sua volontà di emergere. Certo, i colpi della sua banda erano perfettamente organizzati, veloci, lasciavano ammirati, un segno. Era uno intelligente, questo Stuvané, come lo chiamavano in famiglia. Ogni tanto regalava un po’ del bottino ai poveri, agli amici, ma per calcolo, per quando vi fosse stato il bisogno di essere aiutato a nascondersi e rifocillarsi. Questo bastò a meritarsi la fama di brigante gentiluomo.
Già… Un tempo diversi briganti furono definiti dei Robin Hood. Anche quel Paciana, leggendario ladro bergamasco nonché benefattore dei poveri. Ma anche lui, derubava poi davvero i ricchi per dare ai poveri? Paciana non dava ai poveri più di quanto non servisse per essere protetto e nascosto dalle povere genti al bisogno, continuando a rubare per arricchire solo se stesso, proprio come faceva il Passator cortese e tutti gli altri banditi fino al più lontano ch’io ricordi, giù nel Medioevo, quel Ghino di Tacco, che in Val d’Orcia (anche di lui si disse che rubava ai ricchi per dare ai poveri) v’imperversava con le sue scorrerie dall’alto della rocca di Radicofani. Ciò nonostante tutti questi ladri oggi e ieri sembrano essersi meritati il titolo di Robin Hood, l’immagine perfetta di generosità, giustizia e bellezza d’animo. Che poi, la gran parte di loro, ammazzavano anche…
Se proprio rubare dev’essere “meno” disvalore, innalziamo piuttosto quei poveracci che sono costretti a farlo per poter soddisfare i propri bisogni primari… Poi, con mano sul cuore e sulla coscienza, interroghiamoci come civiltà che di questi ladri per disperazione ancora ne abbia, e troppi… Agli altri, che lo fanno per arricchirsi e non farsi mancare un solo lusso, togliamo per carità almeno il titolo nobilitante.
Che poi, anche Robin Hood… e l’eterno inguaribile sogno delle politiche à la Robin Hood, il sogno dei poveri di maggiore egualitarismo e redistribuzione delle risorse… Robin Hood, figura del tutto folkloristica e leggendaria, non è nemmeno mai esistito al di là delle consolatorie ballate popolari inglesi fino alla consacrazione consegnataci da Walter Scott in Ivanhoe e dal cinema… L’infallibile arciere della foresta di Sherwood e strenuo difensore dei poveri contro i soprusi dei potenti e degli invasori normanni è solo una creatura costruita, di generazione in generazione, per incontrare i bisogni e i desideri del popolo. Al limite, volendo trovare un riferimento realmente esistito, ci si dovrebbe rifare a una storia cinese finora a noi occidentali sconosciuta, ripresa nel film del cinese Zhang Yimou (House of flying daggers). Qui si narra di una setta segreta, “La Casa dei Pugnali Volanti”, un esercito di ribelli contro il declino della dinastia Tang (859 d.C.). Questa setta, di nuovo, rubava ai ricchi per dare ai poveri, ma solo per preparare il rovescio del governatore e della sua corte corrotta, guadagnando rapidamente il sostegno e l’ammirazione del popolo. Altruismo? La vicenda cinematografica si snoda poi in una storia d’amore e manca di raccontarci se, una volta rovesciata la dinastia decadente, i nuovi potenti restassero o meno i ladri gentiluomini di un tempo, e se come tali, come potenti, continuassero o meno le loro largizioni ai poveri… Ma non mi pare, per quel che so della storia degli imperi e delle dinastie cinesi via via succedutisi: i poveri rimasero sempre poveri e sfruttati, i ricchi, ricchi.
Per concludere…? Nulla, il mio era soltanto un invito a riflettere sull’uso delle parole rivolto ai giornalisti. Ricordate “Palombella Rossa”?
Ladro gentiluomo…? Sberla di Nanni Moretti al (la) giornalista. Ma come parla?! Come parla?! Come parla?! Le parole sono importanti! Come parla?!
Davide Riccio