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Steve

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STEVE HACKETT
UN CHITARRISTA PER TUTTE LE STAGIONI


IL PERSONAGGIO

Steve Hackett raggiunse i Genesis agli inizi degli anni settanta in sostituzione del dimissionario Anthony Phillips.
Insieme a questo storico gruppo la chitarra di Steve si esprimerà in maniera inconfondibile ed innovativa conducendo la musica progressiva, così in voga in quel periodo, verso nuove ed inesplorate direzioni.
Nelle foto dell’epoca il chitarrista ci appare schivo ed introverso, con una barba folta e pesanti occhiali da vista, eppure fin dal primo ascolto di Nursery Crime (1971) si sente chiaramente che c’è un elemento nuovo che si muove fra le complesse composizioni barocche del disco.
Una chitarra che da sola è in grado di riempire gli spazi lasciati in sospeso dagli altri strumenti, con arpeggi esternamente complessi e ben equilibrati.
In "Selling England By The Pound (1973)" l’espressività musicale di Steve cresce a dismisura, assoli indimenticabili, brani che hanno sancito un epoca insieme alle opere di altri gruppi del calibro degli Yes e dei King Grimson.
Con questo disco immortale la fama dei Genesis divenne planetaria, indiscussa, imitata da tutti i gruppi emergenti.
I dischi dei primi Genesis possono apparire pretenziosi e fortemente influenzati dalla musica classica, in effetti in "Foxtrot (1972)" ascoltiamo un’intera facciata del disco dedicato all’Apocalisse, un tentativo ben riuscito di conciliare la musica rock con le Sacre Scritture.
Il loro slancio creativo durerà fino al 1975, anno in cui Peter Gabriel termina l’opera rock "The Lamb Lies Down On Brodway" e dopo la quale deciderà di proseguire la sua carriera solista.
Steve resterà con i Genesis ancora per un paio di anni, ma innegabilmente qualcosa all’interno del gruppo era già cambiato, probabilmente i gusti musicali degli stessi componenti del complesso, stanchi delle lunghe suite e del modo di comporre melodie troppo raffinate.
I tempi stavano mutando, ed il movimento Punk avrebbe presto scacciato dall’etere quel modo di fare musica, riportando il rock a forme più semplicistiche, aggressive e spesso esasperate.
Dopo "Wind and Wuthering (1976)" Steve abbandona definitivamente la band, alla ricerca di qualcosa che gli era stata spesso negata: la libertà di esprimere la sua sensibilità musicale al di fuori dei rigidi cliché dei Genesis.

IL CHITARRISTA

In Steve Hackett coesistono due personalità musicali ben distinte.
La prima concede ampio spazio alla musica classica.
Con dolci composizioni dal sapore New Age la sua chitarra acustica prende per mano l’ascoltatore conducendolo verso melodie eteree dalla bellezza seducente.
La seconda è la vena rock, con brani duri e dal ritmo travolgente.
Il loro ascolto non è semplice e richiede una notevole predisposizione mentale, malgrado questa premessa iniziale Steve ci ha regalato delle combinazioni strane, certamente sperimentali, le quali hanno contribuito ad espandere il suo modo di concepire la musica moderna.
Dal punto di vista tecnico, Steve è sicuramente un virtuoso della chitarra.
Con la chitarra classica ha composto intere opere accompagnato dalle più prestigiose orchestre mondiali, realizzando veri gioielli musicali apprezzati dalla critica e dagli ascoltatori.
Con la chitarra elettrica il discorso è lievemente diverso, vengono prediletti i suoni lunghi, sostenuti dal suono dell’eco e del riverbero che rendono il suo tocco inconfondibile fra migliaia di chitarristi anonimi.
Quando invece il brano lo richiede Steve inserisce un semplice distorsore e parte ad una velocità tale da fare impallidire un bolide da Formula Uno.
Ovviamente i dischi che nascono con questo approccio compositivo non si possono definire commerciali, nel senso che difficilmente troveremo una sua Hit fra le classifiche delle Top Charts, eppure nel corso degli anni sono notevolmente aumentati gli estimatori di questo genere di musica: sempre in bilico fra follia e perfezione, fra melodia e cacofonia, fra felicità e disperazione.

DISCOGRAFIA

"Voyage of the Acolyte (1975)"
Composto quando ancora faceva parte dei Genesis, Steve s’avvale dell’aiuto di Phil Collins (voce) e di Mike Rutherford (basso) per dare vita al progetto.
Sostanzialmente questo primo tentativo non si discosta molto dallo stile dei Genesis, ma in parte si differenzia per la struttura interna dei brani, evidenziando lunghe partiture per chitarra acustica.

"Please don’t touch (1978)"
Cercando di dimenticare i Genesis, Steve s’immerge in un lavoro totalmente nuovo.
Il tentativo riesce solo parzialmente, i brani risentono negativamente di questa incertezza rendendo la struttura compositiva frammentaria.
Nel retro della copertina una nota dello stesso autore invita ad ascoltare il pezzo che da il titolo al disco al massimo volume possibile, evitando di farlo se si è sotto l’influenza di sostanze allucinogene. (!)

"Spectral Mornings (1979)"
Probabilmente il disco più famoso dell’intera discografia di Steve Hackett.
Lasciatosi completamente alle spalle i Genesis, Steve reinventa la sua musica, componendo brani indimenticabili, alcuni dei quali risulteranno degli autentici capolavori, come Spectral Mornings ed Every Day.
Ma il suo lavoro di ricerca non si limita solamente a questo, sceglie nuovi strumenti a corda, come il Koto Cantonese utilizzato in The Red Flower, riuscendo a raggiungere una purezza acustica mai osservato precedentemente.

"Defector (1980)"
Reduce del successo mondiale di Spectral Mornings, Steve tenta di bissare il successo con questo nuovo disco non troppo diverso dal precedente.
L’esperimento diede esito positivo facendo acclamare unanime la critica, la quale iniziò a comprendere le notevoli capacità compositive del nostro chitarrista.

"Bay of Kings (1983)
Probabilmente una delle motivazioni che hanno spinto Steve a lasciare i Genesis fu la necessità d’approfondire la composizione per la chitarra classica.
In questo disco infatti tutti i brani sono strumentali e lasciano al chitarrista lo spazio necessario per dare sfogo alle sue velleità artistiche.
Il risultato è notevole sia dal punto di vista melodico, sia dal punto di vista tecnico.
Un disco per intenditori, di una bellezza senza tempo.

"Cured (1984)"
Dopo una pausa di riflessione, e numerosi concerti tenuti in giro per il mondo, Steve ritorna in sala d’incisione recandosi in un luogo esotico e suggestivo.
Probabilmente la brezza tropicale deve aver ispirato questo atipico disco imperniato d’atmosfere pop.
Vedono la luce quindi delle canzoncine semplici da ascoltare nell’autoradio della macchina senza troppe pretese, brani distanti anni luce da quelli ai quali ci aveva abituati Steve nei suoi lavori precedenti.
Tuttavia il disco è piacevole, con un solo pezzo di chitarra classica veramente splendido: A cradle of swans.

"Highly Strung (1985)"
Nuovo lavoro sperimentale nel quale prevale l’atmosfera fusion.
Un’opera di transizione nella quale il chitarrista da’ prova di saper creare nuove melodie andando contro le banali mode del momento.

"Till we have faces (1986)"
Una copertina surrealista disegnata da Kim Poor non rende giustizia ad un disco inconsistente e stracolmo dei suoni del Carnevale di Rio.
Peccato, un’occasione mancata.

"Momentum (1988)"
Fortunatamente Steve deve essersi reso conto del flop del disco precedente, dedicandosi in questo nuovo lavoro alla chitarra classica.
Momentum è il naturale seguito di Bay of Kings, supportato da una registrazione completamente digitale e dalla bravura del fratello John al flauto, Momentum è il punto d’arrivo del compositore Inglese.
Qui la tecnica e la melodia raggiungono una simbiosi completa, regalandoci un ascolto indimenticabile in ogni singolo brano di questo capolavoro strumentale.

"Steve Hackett Live, Time lapse (1990)"
Dopo tanti bootleg (dischi non ufficiali) finalmente giunse il momento di pubblicare il primo disco dal vivo.
Il risultato lascia senza parole, pur mantenendo intatta la struttura originale dei brani, la chitarra sembra divincolarsi dalle ristrettezze imposte dalla registrazione in studio, con ampie fughe e momenti di assoluto virtuosismo.
Imperdibile.

"Guitar Noir (1993)"
Alternando brani melodici e brani rock, Guitar Noir rappresenta un disco di facile ascolto per il grande pubblico.
Sembra che Steve abbia finalmente raggiunto un compromesso fra questi due generi, riuscendo a convivere agevolmente con entrambi.
Pur non rinunciando al suo estro compositivo il disco scorre piacevolmente aggiungendo un prezioso tassello alla sua vasta discografia.

"Blues with a feeling (1994)"
Questo non è Steve Hackett!
Così è stato accolto questo disco dai fans un po’ interdetti e delusi dopo il primo ascolto.
In parte ciò è vero, nel senso che risulta difficile riconoscere lo stile del chitarrista fra questi brani infuocati di blues sanguigno.
Eppure le radici di Steve sono proprio queste, il Blues in tutte le sue diversificazioni, ed in fondo mi sembra coerente che egli abbia realizzato un omaggio così intenso a questo genere musicale che ha ispirato i suoi primi approcci con la sei corde.

"There’s many sides of the night (1995)"
Registrato dal vivo durante una turneè in Sicilia, Steve ci propone un suggestivo caleidoscopio delle sue opere interpretandole esclusivamente con la chitarra classica.
Accompagnato dall’ottimo Julian Colbeck alle tastiere, questo concerto è di una bellezza eccezionale, ed in più occasioni mi riporta alla memoria quando, alcuni anni fa, ho avuto la fortuna d’assistere ad un suo concerto a Modena.
Semplicemente superbo.

"Genesis Revisited (1996)"
Circondandosi di musicisti di primissimo livello quali: John Wetton, Bill Brouford e Chester Thompson, solo per citarne alcuni, Steve ripercorre a modo suo la storia dei primi Genesis.
Questa operazione non è dettata solamente dalla nostalgia, ma dalla voglia di riprendere alcuni brani famosi secondo uno stile moderno.
Fra l’altro vengono alla luce un paio di pezzi scartati all’epoca dell’incisione originale, ad esempio Deja Vu, con la sua lirica intensa e coinvolgente.
Un tentativo ben riuscito, il tutto condito con preziosi titoli inediti che ben s’intonano con lo spirito del disco.
La critica commentò favorevolmente l’intera operazione, domandandosi perché i superstiti dei Genesis non fossero più in grado di riproporre dei brani di tale livello.

"A Midsummer night’s dream (1997)"
Solamente la sensibilità musicale di Hackett poteva rendere giustizia ad un opera dell’importanza di "Sogno di una notte di mezza estate".
Accompagnato niente meno che dalla Royal Philarmonic Orchestra, Steve conferma ancora una volta di poter dare facilmente vita ai personaggi mitologici rappresentanti nella partitura.
Accompagnato dall’ormai immancabile chitarra classica, questa Opera è forse uno dei massimi traguardi raggiunti dal chitarrista nella composizione di musica per chitarra/orchestra.

"The Tokyo Tapes (1998)"
Come detto precedentemente "Genesis Revisited" riscosse un notevole successo, probabilmente i nostri eroi, sorpresi da tanto improvviso interesse, decisero di riproporre i brani dei Genesis e dei King Crimson in alcuni concerti a numero chiuso.
Il doppio CD lascia mano libera al gruppo nel dare il meglio di sé su palco, dove il pubblico nipponico, praticamente ammutolito, ha seguito in riverente silenzio questo storico evento.
Del concerto è stata edita anche una versione in videocassetta.

"Darktown (1999)"
Terminata la grande festa con gli amici di Tokyo Tapes, Steve riparte per il suo viaggio alla scoperta della musica.
Darktown è un disco elegante, a parte la copertina dove viene mostrata una bara ed un cimitero (ma gli Inglesi si sa, hanno spesso gusti macabri), riconducibile al discorso già intrapreso con Guitar Noir.
A pezzi paranoici come Omega Metallicus, si contrappongono temi estremamente dolci come Man Overboard e Dreaming with open eyes.
Il capolavoro del disco è senz’altro In Memoriam, dove un coro ecclesiastico accompagna il ritornello facendo crescere d’intensità il brano fino a far venire la pelle d’oca all’ascoltatore.

…ed il viaggio continua

LA MUSICA

Reperire degli spartiti di Steve Hackett in commercio, o in rete, è un’impresa praticamente impossibile.
Ho pensato quindi di proporre ai lettori alcune trascrizioni che ho tradotto sulla chitarra classica, come si diceva un tempo, "ad orecchio".
Per facilitare la lettura ho utilizzato la Tablatura, un sistema utilizzato in tutto il mondo dai chitarristi per scambiarsi informazioni quando non conoscono la musica, questo metodo molto pratico visualizza la tastiera della chitarra permettendo al musicista di "vedere" come realmente il brano viene eseguito.
Sull’utilizzo di tale metodo rimando alla lettura di manuali specializzati che illustrano facilmente come muoversi fra i numeri e le righe, però…un piccolo aiuto posso darvelo anche in questa sede…ricordate che:
Le note anglosassoni sono diverse dalle nostre, cioè: E=MI, B=SI, G=SOL, D=RE, A=LA, C=DO, F=FA
Ad ogni riga della tablatura corrisponde una corda della chitarra.
Ogni numero riportato sulla tablatura corrisponde il relativo tasto da premere sulla corda, il numero 0 indica una corda suonata a vuoto.
Esempio: all’inizio del brano qui sotto il numero 2 sulla terza corda, significa che si deve premere la terza corda della chitarra (Sol) al secondo tasto, ottenendo così la nota di La.
Più numeri riportati verticalmente alla medesima altezza indicano che si deve suonare le note contemporaneamente formando accordi o semplici bicordi.
Le lettere fuori campo riportano la linea melodica che segue il brano.

Buon divertimento

{Ipspart1.kw}SKYE {Ipspart1.kw}BOAT {Ipspart1.kw}SONG
Tratto da : "There’s many sides of the night (1995)"

{Ipspart2.kw}BLACK {Ipspart2.kw}LIGHT
Tratto da: "Bay of Kings (1983)



Claudio Caridi

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