Paper Monsters
(Mute, 2003)
Per chi non lo sapesse, Dave Gahan altri non è che la storica voce dei Depeche Mode, uno dei più longevi ed artisticamente validi prodotti della scena pop inglese degli anni ’80. Personalmente, ho sempre avuto un debole per Gahan: senza mai lasciarsi andare a sterili virtuosismi ha saputo sfruttare al meglio i propri mezzi vocali, forse non sbalorditivi ma se non altro ben riconoscibili, creando una propria personale impostazione ricca di un indiscutibile fascino notturno e tenebroso. All’altezza del bellissimo Ultra Gahan aveva dimostrato di avere tutte le caratteristiche di un buon vino: tutt’altro che scalfiti dal passare degli anni, i suoi vocals si lasciavano riscoprire perfino più convincenti di quanto li si ricordasse dai tempi d’oro. Il successivo Exciter mi aveva parzialmente deluso, lasciandomi la sensazione che la voce di Gahan non fosse stata valorizzata ne’ impiegata al meglio: a maggior ragione, attendevo con curiosità questo progetto solista per tastare il polso all’evoluzione di Dave, immaginando che egli avrebbe avuto il pieno controllo sul progetto e quindi si sarebbe trovato nelle migliori condizioni per tirare fuori il meglio di sè.
Paper Monsters si apre con il singolo di lancio, Dirty Sticky Floors: un gran bel brano ritmato alla Depeche Mode, che mi ha ricordato l’encomiabile It’s No Good sebbene le sonorità siano nel complesso più solari. Ritmo trascinante, giro catchy, vocals insinuanti come da puro Gahan-style: potranno magari sembrare sonorità un po’ superate, ma quando sono ben prodotte e impeccabilmente confezionate non hanno proprio nulla da invidiare a quelle più recenti.
Hold On, che segue in scaletta, è una ballad romantica e sussurrata di buon impatto: la stupenda versione acustica (contenuta sul DVD incluso nella limited edition di Paper Monsters: per solo un paio di euro in più offre il video di Dirty Sticky Floors, due versioni solo voce e chitarra di A Little Piece e appunto Hold On, una photo gallery, un’intervista a Dave ed un po’ di behind the scenes) però bagna le scarpe a quella ‘ufficiale’, al punto che forse avrebbe meritato il posto nel CD.
A Little Piece si apre disegnando freddi paesaggi desertici non dissimili da quelli di Freestate o Dream On: si apprezza perfino una certa qual vena di british psychedelia, assolutamente gradevole e pure ben integrata nell’insieme, prima che il brano sfumi su un’elegante chiusura pianistica. Anche A Little Piece si può paragonare alla rispettiva versione inclusa nel DVD, che però in questo specifico caso non è affatto acustica (Knox Chandler imbraccia con ogni evidenza una sei corde elettrica ed opportunamente amplificata) e sostanzialmente pareggia il confronto.
Bottle Living, forte di un bel giro scandito, riporta alla mente i fasti di Personal Jesus e quelli, non ugualmente memorabili ma non troppo dissimili nelle premesse, della più recente Dead of Night. Gahan, impegnato in un’interpretazione intensa ma controllata, duetta per una buona parte della traccia con una ficcante armonica, la quale dona al tutto un ruvido aroma stradaiolo.
Black and Blue Again riprende da dove aveva concluso il pezzo precedente: é una sorta di blues sofferto con la voce in primo piano e, sullo sfondo, la chitarra alle prese con un accompagnamento di percussioni dal sapore tribale e con un’occasionale armonica. Nella seconda metà il mixaggio si apre su un bell’assolo di archi in crescendo, ben sostenuto dalla batteria, prima di riportarsi sul soffuso tappeto bluesato da cui si erano prese le mosse.
Stay è la seconda ballata dell’album. Musicalmente è quasi minimalista, forse sulla scorta di certe suggestioni del profondo Nord: gli interventi strumentali sono delicati e funzionali alla suadente voce di Gahan, qui al servizio di un dolcissimo e sereno mantra.
Considero I Need You un mezzo passo falso soprattutto per via del background di percussioni sintetizzate che, immagino, dovrebbe costituire la spina dorsale di un brano altrimenti etereo ed impressionistico: l’effetto complessivo non è del tutto disprezzabile, ma a tratti ricorda un po’ troppo da vicino alcuni episodi commerciali del pop dei tempi andati (Seal ed Everything But The Girl su tutti).
Deciso il ritorno in quota con Bitter Apple, ballata condotta dagli archi e narrata da Gahan con un tono confidenziale a mezza via fra la confessione e il ricordo nostalgico. Un bell’incrocio di seconde voci aggiunge calore e sostanza alla proposta, che comunque ha il suo punto di forza nello squisito ed assai discreto gusto melodico e nel clima rilassato che si respira dall’inizio alla fine.
Hidden Houses dimostra che le suggestioni psichedeliche riscontrate più sopra non erano solo un episodio, ripiombando l’ascoltatore nel bel mezzo di un disco dei primi Verve: solo l’inconfondibile voce di Gahan garantisce che lo stereo non è impazzito, sostituendo il CD ad insaputa dell’ignaro recensore… Forse Nick McCabe avrebbe l’impressione di aver già suonato questa canzone una decina d’anni fa: comunque sia, un altro pezzo che colpisce nel segno.
La chiusura è affidata ad un’eloquente Goodbye: siamo ancora dalle parti delle vallate oniriche di Dream On, con un continuo gioco di volumi ed un incedere lento, ponderoso, circospetto. Solo per qualche tempo, però, dal momento che prima della fine c’è spazio per la breve e violenta intrusione di un’accoppiata chitarra-batteria in stile quasi hard rock; prima che, nella riconquistata calma, Gahan sussurri per l’ultima volta "goodbye"…
Immagino abbiate già potuto capire che Paper Monsters mi è piaciuto parecchio. Innamorato come sono di Ultra, è con quell’album che ha dovuto fare i conti nella mia personale hit-parade: ebbene, non l’ha scalzato dal gradino più alto del podio ma si è assicurato un più che dignitoso premio di consolazione. Rispetto a quello vanta un più ampio registro stilistico, ma manca della caratterizzazione definita che l’ombroso e crepuscolare capolavoro dei Depeche Mode mid-90s poteva vantare. Gahan è in ottima forma. Come riferisce nel corso dell’intervista contenuta nel DVD, cambiare collaboratori lo ha spronato a sperimentare maggiormente con la propria voce invece di ritagliarsi le sue consuete ambientazioni musicali. In effetti, il Gahan solista all’orecchio suona meno impostato e più diretto; il che non vuol dire necessariamente più efficace… ma questo dovrà essere il pubblico a giudicarlo. Nel frattempo, per quel che vale la mia opinione consiglio a tutti di concedere a Paper Monsters almeno un ascolto attento.
Dave Gahan
Fabrizio Claudio Marcon