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Il mio più caro nemico

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Il mio più caro nemico

Il Festival dei Popoli di Firenze ha il grande merito, da quarant’anni, di proporre, unica rassegna specialistica in Italia, il cinema documentario e non-fiction, anche in quei territori di confine con il cinema di finzione. Nell’edizione 1999 è stato presentata, in anteprima italiana, l’ultima opera di Werner Herzog "Il mio più caro nemico", che avrà anche un’uscita italiana nei primi mesi del 2000, speriamo diffusa anche al di là di Roma e Milano, perché l’intensità di questo film è davvero emozionante e ci fa ritrovare il regista tedesco al suo meglio.
Herzog – Kinski: una relazione passionale. Cinque film fatti insieme, i migliori nelle carriere di entrambi: Aguirre, Woyzeck, Nosferatu, Fitzcarraldo, Cobra verde. Klaus Kinki non c’è più, è morto nel 1991. Werner Herzog continua ancora a fare film, anche se la sua vena è sembrata un po’ spenta nell’ultimo periodo, come se la scomparsa del suo più caro nemico l’avesse privato di una parte delle sue energie vitali; in questo senso, il pensiero di Kinski era esplicito: "Herzog è uno scemo, ciò che c’è di buono nei suoi film ce l’ho messo io, senza di me non farà più niente".
"Il mio più caro nemico" è il racconto cinematografico di un incontro segnato dal destino (la famiglia di Herzog tredicenne va a vivere nella stessa modesta pensione dove alloggiava Kinski) e di un lungo legame tra i due, conflittuale, mai pacificato, fatto anche di desideri reciproci di uccidersi. Herzog parla di Kinski per parlare anche di sé stesso, fa i conti con il proprio doppio: "tutti i miei capelli bianchi si chiamano Kinski" dice.
Il regista tedesco ha realizzato alcune delle sue opere – pensiamo a Aguirre e Fitzcarraldo – come guidato da un impulso morale e mistico: imprese fisiche spinte fino ai limiti estremi e autobiografie (interpretate dal suo alter ego) sul desiderio di imprese impossibili. Kinski vi ha portato la sua energia creatrice e distruttrice: una totale identificazione con i personaggi, una furia spinta fino agli eccessi ("una peste umana" lo definisce Herzog), ma anche una capacità di tenerezza, come racconta Claudia Cardinale, una dei testimoni che Herzog convoca per questa sua celebrazione (tra i quali spicca l’assenza della figlia Nastassia). E’ curioso sapere che, nella sua carriera, Kinski ha rifiutato, un po’ per soldi, un po’ per bizzarria, proposte di Spielberg, Polanski, Kubrick, Visconti, Fellini, Pasolini, mentre ha accettato di interpretare tanti film di serie b e z.
Ci ritroviamo così, andando avanti e indietro nel tempo, sul set di Aguirre in Perù o su quello di Fitzcarraldo nel Rio delle Amazzoni, anche con sequenze inedite, come quelle che vedono Mick Jagger primo interprete di Fitzcarraldo, o con racconti incredibili sui rapporti tra Kinski e il resto della troupe: sembra che gli indigeni abbiano persino offerto al regista di uccidere Kinski in vece sua, tanto era insopportabile il suo comportamento.
Nel rapporto tra i due, Kinski è quello che più ha offerto di sé, fino a spegnersi letteralmente dopo essersi consumato a lungo, in una morte simile a quella di Nosferatu, distrutto dalla luce del giorno; dopo Cobra verde, ultimo film girato, Kinski appare infatti, dai racconti di chi gli era vicino, svuotato, senza più energie. Herzog "cannibale" si è nutrito di lui, delle sue energie e della sua carne, ed ora lo evoca come per recuperare una parte di sé che non c’è più.

Paolo Baldi

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