Giovanissima, spontanea, immediata. Queste sono state le mie prime impressioni durante la breve intervista compiuta per scoprire qualcosa di più sulla vincitrice del concorso “Nella rete del giovane Holden”, sezione testi – giovanissimi.
Nadine Pepe, diciassettenne studentessa al liceo socio pedagogico
Carlo Sigonio, ha provato quasi per gioco a partecipare al concorso di
Holden (dopo aver preso parte ad un’altra iniziativa del comune riguardante le poesie) senza obiettivi precisi, senza scrivere “per vincere”, ma solo per proporsi; a digiuno in fatto di informatica ha trovato un po’ di difficoltà ad affrontare il lato “multimediale” della competizione, e, non le dispiace ammetterlo, ha approfittato della superiore attitudine nei confronti dei computer del fratello minore, per rifinire le operazioni di inserimento e di controllo; non
è una net-surfer, non segue pubblicazioni multimediali o elettroniche e molto di ciò che sa di informatica le giunge come eco dalla scuola, dove viene periodicamente redatto (con la coordinazione di un docente di italiano) un giornale scolastico, al quale solo di rado ha fornito contributi.
Del concorso aveva avuto notizia già dall’estate, grazie all’ottima attività di pubblicità compiuta dal comune, che le ha fornito, prima in maniera generica attraverso una locandina, poi più nello specifico, grazie al bando distribuito in seguito, informazioni ed idee su come muoversi. Prendendo spunto da un libro che le era piaciuto particolarmente aveva iniziato a scrivere un racconto più acre di quello proposto, un racconto, per così dire, di “protesta” nei confronti di alcuni elementi scolastici che non la trovavano in sintonia. Poi, dopo varie riletture, ed il consiglio del suo professore di italiano, decise di rinunciare allo stile “Brizzi”, ed ai temi esclusivamente scolastici, per prendere in mano qualcosa di più vicino a lei, di più a contatto, scrivendo con la sua voce, le sue parole, un senso di disagio generalizzato che inevitabilmente la accomuna ad una parte della sua generazione.
Lettrice non appassionata non ritiene, neppure dopo la piccola
“consacrazione” del concorso, di avere uno stile letterario particolarmente vincente: la cosa fondamentale per lei è scrivere con sincerità e quasi esclusivamente di cose che si hanno vicine. Per lei non c’è stato bisogno di scegliere tra un racconto “maledetto” (alla
Bukowsky, per intenderci) ed il suo: la sua scelta non è stata condizionata da un calcolo sulle probabilità di vincere o meno, ma dall’esigenza di potere attingere dall’introspezione ciò di cui scrivere.
Ha letto, una volta terminato il concorso, una parte dei lavori proposti dai suoi “avversari”, e le sono rimasti in mente quello di
Pierluigi Cassano, e quello di Giulia Leonelli. Ha trovato ottima sia l’antefatto sia la premiazione, ma, umilmente ammette che è possibile che il suo giudizio sia “distorto” dalla sua vittoria… non sa se parteciperà ad un “Holden II”… dipende ovviamente da che cosa riuscirà a tirar fuori la prossima volta.
Che dire, ancora? Nadine Pepe, con il suo racconto ha esternato in un modo sincero e completo quel disagio “borghese” che sottile si muove tra la noia, e il dubbio sulla propria consistenza, efficacia, e presenza. Il suo non è un “rebel yell”, ma qualcosa di meno definitivo e più vicino alla speranza di cogliere, alla fine, l’onda giusta della propria vita.
Lo stile è buono, come il ritmo e il senso delle proporzioni nel testo. E l’unico commento negativo, a volerne proprio trovare uno, è l’assenza di un qualsiasi contributo multimediale o comunque tecnico al testo stesso… la computer generation non l’abbraccia, ma chissà che suo fratello, con la sua passione e carica vitale, non l’aiuti, per un eventuale prossima volta, a scoprire qualcosa di più.