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Adesso tienimi – Quando l’adolescenza diventa letteratura

14 min read

 

 

Adesso tienimi, romanzo di formazione e prova di forza, con se stessi e con la letteratura.

Primo romanzo di Flavia Piccinni, già vincitrice del Premio Campiello Giovani e prolifica scrittrice di racconti, Adesso tienimi racconta con coraggio la storia di Martina, giovane donna tarantina in bilico tra i suoi dolorosi diciassette anni e un futuro che sembra separarsi, scollarsi da lei, quasi non le appartenesse. Storia di un rapporto unico, esclusivo, con una Taranto sfruttata e disadattata, ma ancora, meravigliosamente, signora del mare e della terra, delle tradizioni e delle leggende, e soprattutto della gente che vi è nata e cresciuta, da generazioni. Un romanzo scritto con il mare e con la mente, la storia di una relazione amorosa proibita e troppo presto spezzata, distrutta da un evento luttuoso. La morte, che nella vita di un giovane è spesso una chimera non troppo reale, entra qui prepotentemente nella vita della giovanissima Martina, abbattendo la porta della sua casa e precipitandola nell’apatia e nella dipendenza catodica. Taranto e i giovani, i giovani e gli adulti, il presente e il futuro, ma soprattutto la Morte e l’Amore si fanno qui storia da raccontare, tramutandosi in azioni, dialoghi, pensieri, e in una straziante serenata notturna e marina per Taranto, e per l’infanzia che purtroppo, troppo presto, finisce.

Nell’intervista che segue, Flavia Piccini si racconta con sincerità e grazia, regalandoci un vero e proprio tuffo nella sua vita e nella sua scrittura.

 

Titolo: Adesso Tienimi

Autore: Flavia Piccinni

Pagine: 175

Editore: Fazi

Prezzo: 14 euro

 

Intervista a Flavia Piccinni

 

Antonella Lattanzi: Leggendo il titolo del romanzo, Adesso Tienimi, si potrebbe pensare di stare per leggere la storia di una ragazza che ha tanti problemi, ma che alla fine trova una sorta di insperata epifania in qualcuno che la tiene, che le dà la mano – come si vede in copertina –, che l’aiuta a “risalire la china”. Pur non potendo, naturalmente, svelare il finale del romanzo, credo sia opportuno notare come il titolo (e anche il finale del libro) diventino una sorta di congegno a orologeria alla Calvino. Da dove si comincia, quando si scrive un libro come questo? Il finale c’era già, quando ha scritto il suggestivo incipit della storia?

 

Flavia Piccinni: Il finale era nel DNA di Martina, in quello del libro. Non avrei potuto immaginare qualcosa di diverso. Tutto quello che succede è scritto nella pelle di Martina, in tutti i suoi movimenti, in tutti i suoi pensieri. Il suo essere è un’ossessione, un calvario cui nessuno può porre rimedio. Non credo alle storie in cui ci sono persone che aiutano a risalire la china, non credo nel lieto fine. E neanche Martina. Lei sa quello che sarà, non se lo nasconde.

La copertina ha tratto molti in inganno. Ma io la adoro.

 

A.L.: Parliamo dell’incipit. Tanto ben riuscito che in tanti, nelle loro recensioni e nelle interviste, lo citano (c’è da dire che questo romanzo, appena pubblicato, ha già un mare di recensioni, ed è un segno molto positivo). Nell’incipit, infatti, si trova già tutto il cuore della storia che racconta. Lei è come Calvino e Beethoven, che scrivevano e riscrivevano e rivedevano mille volte le loro opere, per raggiungere una qualità sempre migliore, o come Mozart, che componeva di getto, sicuro dell’estro del momento?

 

F. P.: Questi esempi mi mettono i brividi. Adoro Calvino e la musica di Beethoven e di Mozart, ma solo citarli mi crea imbarazzo. In ogni caso sono una via di mezzo. Ci sono frasi, parole, in cui credo e che non cambierei mai. L’incipit, per esempio, è venuto di getto e non è stato minimamente cambiato – se non peri dati legati alla città, il cui debito è precipitato da 300 milioni a 500 per arrivare adesso a 910. E’ stato una sofferenza pensarlo, ci ho pensato per due giorni, ma poi si è scritto da solo. E’ venuto fuori da solo.

 

A.L.: Sin dall’incipit, si nota il suo grande amore per Taranto. Nonostante non spenda per la sua città parole molto lusinghiere, pure è lampante notare nelle sue parole non l’astio e lo schifo per ciò che in Taranto non va, ma una sorta di struggente nostalgia anche per le cose di Taranto che non vanno, un amore enorme, che va oltre il bene e il male. Che ne dice?

 

F.P.: Io amo Taranto e non credo ci sia né astio né schifo nei confronti di questa città, che porto tatuata nel cuore e nella pelle. E’ un amore incondizionato, amplificato dal fatto che ho cambiato città da piccola, piccolissima, ma ho continuato a lungo a vivere nei ricordi. Taranto adesso vive un momento tremendo, che non potevo non raccontare. Sarebbe stato come chiudere gli occhi e cercare di dimenticare una realtà presente, mentire al lettore e a me stessa. Ma la sua bellezza, la sua forza, quella che ha spinto i greci a farne la capitale della Magna Grecia, l’energia dei suoi abitanti, spero che riusciranno a ricostruirla. A renderla ancora più meravigliosa, come merita.

 

A.L.: In questi giorni, Taranto in particolare è sotto i riflettori per le speculazioni e i soprusi perpetrati dalla classe dirigenziale. La gente non ha acqua, deve svegliarsi all’alba la mattina e fare la coda per un po’ d’acqua. Neanche come ne I promessi Sposi, dove almeno si faceva la fila per il pane. È come se Adesso Tienimi venisse fuori naturalmente, dalla roccia, come acqua, al momento giusto, per raccontare a quante più persone possibili un romanzo che, oltre che narrativo, poetico, intimo, è anche ampiamente sociale. Vuole parlarcene?

 

F.P.: Adesso Tienimi è stato per me, ad un certo punto, un’esigenza. Dovevo raccontare una storia e poteva essere solo questa. La storia di Martina, del suo amore violento e spezzato, della sua delusione, della sua sofferenza, sono solo specchio del malessere della città che è amata, proprio come Vianello, in modo furioso e dissennato da chi la vive, da chi se ne va. Taranto diventa specchio delle sensazioni di Martina e Martina immagine della coscienza di Taranto. Questo succede perché Martina Taranto la ha sui polpastrelli, sotto le unghie, fra i capelli. Vivere la città per Martina è tutto. Soprattutto quando viene abbandonata e non le resta niente altro.

 

A.L:: Vive da tanto tempo a Lucca, ci ha passato quasi mezza vita, ma Taranto è ancora molto vivida nei suoi scritti. Collabora anche a un sito su Taranto, e leggo dalle sue interviste che ci si sente molto legata. Quanto di lei c’è in questo libro? Voglio dire, Taranto c’è, di sicuro, è Taranto è la sua, ma quanto di lei c’è in Martina, diciassettenne, un po’ più piccola di lei, quanto c’è in Vianello, quanto in Virgilio, quanto nelle migliori amiche di Martina e così via?

 

F.P.: Devo essere sincera. Non c’è molto di autobiografico. Non cose direttamente personali, almeno. Credo che la rabbia di Martina verso le cose che non cambiano mai, verso le cose che restano sempre uguali, a volte peggiorano, sia il sentimento più simile che ho in comune con i personaggi del libro. Ho voluto descrivere quello che vedevo intorno ai miei coetanei, intorno a me. Un mondo scolastico allo sfascio, una realtà che spesso è amara e che spesso si tende a dimenticare. Ad addolcire.

 

A.L.: Come nasce un romanzo come Adesso Tienimi?

 

F.P.: Nasce con tanto amore, tanta sofferenza, tanti sforzi. Ho voluto molto questo libro. Ho voluto molto questa storia. E il merito è della Fazi Editore, di Alessia e Massimiliano che hanno creduto in me.

 

A.L:. Lei è giovanissima: è difficile trovare una vera narratrice che abbia vent’anni. Una narratrice innamorata della scrittura, della lettura, e che sappia creare una macchina-romanzo che funziona (odio il termine, ma è quello giusto) oltre che emozionare, come fa lei. Una macchina che scompiglia il cuore, mentre la si legge. Cosa ne pensa?

 

F.P.: Penso che sia molto bello quello che dici. Sinceramente non mi sento in grado di giudicare quello che ho scritto. Voglio troppo bene a Martina, a Virgilio, a Michele, Iolanda, Giulia, Adriana per parlare. Ho cercato di raccontare come potevo una storia che mi faceva pensare, mi faceva male, e sono stata sincera. Credo che, forse, dipenda da questo.

 

A.L.: Adesso tienimi, in due parole, è un romanzo di formazione: la storia della diciassettenne Martina che si imbarca nel suo proprio “viaggio dell’eroe” ma che, a un certo punto, inciampa e non sa più come continuare. Tutto il romanzo vede l’eroina dibattersi come una coccinella a pancia all’aria che cerca disperatamente di rimettersi sulla pancia, ma che poi, a un certo punto, nota che a pancia all’aria si vedono le stelle. E le stelle fanno male, perché fanno pensare, ma fanno anche molto bene, perché sono bellissime. È un’interpretazione troppo personale?

 

F.P.: È proprio così. Non ci avevo pensato, ma è proprio così. Martina è una coccinella sfortunata, abbandonata da tutti, che non sa come vivere, a cosa appigliarsi. E quando si ferma, poco prima che sia troppo tardi, vede che le sue stelle sono Taranto. Ma sono stelle troppo lontane per essere toccate, troppo lontane per aiutarla a stare meglio. A volte non basta guardare. A Martina non basta.

 

A.L.: In molte recensioni e interviste la paragonano, al negativo, a Federico Moccia, avvallando la bellezza del suo libro anche perché mostra quanto falso sia il mondo giovanilistico raccontato in Tre metri sopra il cielo e via dicendo. Astenendomi da qualsiasi giudizio sul romanzo di Moccia (che comunque non sarebbe negativo, perchè credo meriti un grande rispetto, se non altro per aver spinto tante persone alla lettura), cosa ne pensa lei, di questo paragone, e cosa crede sia un buon libro? Crede ci sia una lettura che può fare male?

 

F.P.: Non credo ci siano letture che possano fare male. Ci sono letture che fanno perdere tempo, che fanno preoccupare, non fanno dormire la notte. Ma bisogna capire che cosa vuol dire “fare male”. Se fare male vuol dire riflettere, ben vengano. Se vuol dire che spingono ad agire in modo violento, è un discorso diverso.

“Anti-moccia” mi ha fatto sorridere. Non credo che Martina sia la contro-Baby e che Vianello sia l’opposto di Step. Ho semplicemente cercato di raccontare una storia di giovani, di ragazzi diversi da quelli che spesso vengono presentati in modo stereotipato. Ho raccontato, insomma, quello che mi sembrano essere i miei coetanei e ragazzi poco più piccoli di me. Ho cercato di essere sincera, di non scrivere solo per me.

Cos’è per me un buon libro? Qualcosa che mi fa riflettere. Qualcosa che quando lo chiudi continui a pensarci, che ti fa emozionare, che ti fa dispiacere quando finisce.

 

A.L.: E’ nata nell’86 a Taranto, vive a Lucca da tanto tempo, frequenta la facoltà di Farmacia, collabora con diverse riviste e ha vinto un sacco di premi (Il Campiello Giovani, “L’Arcilettore”, “Sìlarus”, “Subway” “Energheia” e “CinemaZero”). Ho letto che crede molto nei concorsi. Vuole raccontarci un po’ come ha cominciato a scrivere, quando ha capito che non era solo un hobby, cosa crede che faccia di lei una vera scrittrice?

 

F.P.: Gli scrittori sono altri. Io sono una ragazza cui piace scrivere, che ha una grande passione e che spera di crescere.

Ho cominciato con i racconti da piccolissima, che era l’unica cosa che mi faceva stare seduta. Tutto il resto non riusciva a calmarmi. Anche ora è così. L’unica cosa che riesce a farmi stare seduta per otto, nove, dieci ore di fila è la scrittura. Mi isolo da tutto, da tutti. Sono felice.

 

A.L.: Come ha scelto di frequentare Farmacia?

 

F.P.: È una tradizione di famiglia, che non avrei mai potuto tradire.

 

A.L.: E’ molto giovane, come si è detto più volte, ma ha scritto più di 200 racconti. Cosa cerca in un libro che legge? Cosa cerca in suo scritto?

 

F.P.: Sono molto esigente nei miei confronti. E non sono mai contenta. Dopo che scrivo una cosa evito di rileggerla subito – a volte anche solo un’altra volta – per paura di cancellarla. L’ho fatto molte volte. In quello che scrivo cerco dei mondi diversi da quelli che vivo, la sincerità, una storia. Lo stesso che cerco nei libri che leggo.

 

A.L.: Tornando a Adesso tienimi, colpisce molto il suo modo di gestire il doppio piano di racconto. Martina, la protagonista, vive al presente ma, di quando in quando, “sbatte gli occhi”, come fosse una fata, e ritrova, rivive il suo passato con il fidanzato morto. In questo modo, presente e passato arrivano quasi a combaciare, a mescolarsi. Non si sentono scossoni quando lei viaggia avanti e indietro nel tempo, eppure è sempre molto chiaro cosa, quando e perché sta raccontando. Vuole parlarcene?

 

F.P.: Martina vive una realtà slabbrata fra quello che le succede, quello che effettivamente è, e quello che ha vissuto, il suo passato. Non riesce a trovare un equilibrio e la sua memoria, il ricordo, lentamente mangia la sua vita, le toglie il respiro e le impedisce di continuare a esistere. Martina deve superare una violenza, quella da cui è nata la sua passione, e l’abbandono, quello da cui è nata la sua disperazione. Deve cercare una dimensione nuova, ma non le è possibile. E allora vive a cavallo dei sentimenti, in bilico fra il passato e il presente. Martina non ha futuro. Lo sa.

 

A.L.: Nel suo libro, racconta una vicenda, una “storia”, e poi racconta il mondo dei giovani – non solo tarantini –, e poi racconta Taranto, nel particolare, nei dettagli, ma sempre molto narrativamente, e racconta anche come la gioventù vive questa città “difficile”, e poi racconta il mondo degli adulti visto dagli occhi dei ragazzi, e anche una fetta del mondo “di fuori”. Credo il suo sia uno “stato di grazia” perché, a vent’anni, è ancora una ragazzina diciassettenne, ma anche una donna venticinquenne. Ha la purezza dello sguardo giovanissimo, ma anche la profondità “sociale” di una mano e di un occhio maturo e profondo. Che non scrive solo per raccontare una favola – dolce o amara -, ma per far conoscere una “questione” storico-sociale ai lettori, e per indagare sulle brutture della società. Mi sbaglio?

 

F.P.: Sono valutazioni che difficilmente riesco a fare. Se però vogliamo parlare di “Adesso Tienimi”, credo che ci sia la volontà di raccontare effettivamente una storia di sofferenza, ma anche la sofferenza che prova chi quella storia non l’ha vissuta, ma ha vissuto la città, la vita, in cui si svolge. Martina si guarda intorno e quello che vede è duro, fa male. Ma non distoglie lo sguardo anzi, si avvicina per toccare con mano quello che la circonda.

 

A.L.: Cosa consiglierebbe a un giovane che vuole fare scrittore? Come si fa, secondo lei, oggi, a farsi leggere e pubblicare?

 

F.P.: Sinceramente non sono in grado di dare consigli. Posso dire quello che ho fatto io. Ho scritto molto, ho letto ancora di più, ho inviato a qualche concorso i miei scritti e quando mi sono sentita pronta ho contattato una casa editrice, la Fazi, che era stata intervistata insieme a me su un articolo.

 

A.L.: Quanto è importante leggere, e quanto no, per saper scrivere?

 

F.P.: Credo che sia fondamentale leggere, non ispirarsi o emulare, non essere devoti a generi e autori. Personalmente da piccola ho letto un solo libro per anni, tanto da arrivare ad odiarlo. Poi ho cambiato letture, ma ho sempre cercato di essere me stessa.

 

A.L.: Bisogna adeguarsi a quelle che sono le “leggi di mercato”, e cercare di scrivere un romanzo che sia vendibile e pubblicabile, oppure cercare di essere “sinceri” il più possibile?

 

F.P.: Posso dirti quello che ho fatto io. Sono stata sincera. Non avrei potuto scrivere altro. Sarebbe stato fare un torto a me, a chi decide di leggere il libro, a chi lo ha voluto pubblicare.

Avrei mentito su una delle poche cose cui tengo davvero.

 

A.L.: Dove e quando presenterà il suo libro?

 

F.P.: Lo presenterò domani sera [24 luglio, n.d.i.] a Taranto e giovedì [26 luglio] a Mola di Bari. Ci saranno nuove date poi in autunno, già da settembre, con meno caldo e più calma.

 

A.L.: Sta lavorando a qualcosa di nuovo? Quali sono i suoi progetti?

 

F.P.: Adesso voglio concentrarmi sul romanzo. L’ho voluto così tanto che ancora non mi sembra vero.

 

A.L.: Nell’antologia di Minimum Fax, Voi siete qui, è presente un suo racconto. Crede che sia stato importante essere pubblicata da una casa editrice così affermata, e soprattutto così valida? Quanto conta, per la sua “carriera”, e soprattutto come conferma personale di talento una tappa importante come questa?

 

F.P.: È stata una bella esperienza. Stimo molto Mario Desiati, che ha curato Voi siete qui, e Nicola Lagioia, oltre a tutto il team di minimum fax. Il progetto che hanno portato avanti, quello di un best off incentrato solo sugli esordienti, è stato particolarmente interessante. C’è stato dietro molto lavoro e i racconti che fanno parte dell’antologia secondo me sono, a modo loro, tutti degni di attenzione.

 

A.L.: Alla sua giovanissima età, è anche curatrice di due antologie (Coniglio Editore e Giulio Perrone Editore). Cosa ne pensa della mansione di curatrice? Come l’ha vissuta? È molto impegnativo, forse più della scrittura di un romanzo, o è qualcosa di completamente diverso? In una mansione come quella di curatrice è presente una sorta di amore incondizionato e puro per la scrittura: curare un libro vuol dire mettere a disposizione degli altri il proprio talento, la propria pazienza, il proprio tempo. Accantonare per un po’ l'”io” per dedicarsi a un noi. Che ne pensa? È stato difficile? È stato bello? Lo rifarà?

 

F.P.: Curare “Nulla è per sempre” è stato molto faticoso. Ho messo insieme cinquantanove persone e posso assicurarti che non è semplice. Sono stati mesi di frenetica ricerca, di letture estenuanti. Curare un antologia è diverso da tutto quello che avevo fatto prima, che ho fatto dopo. Dovevo confrontarmi con scritture diverse dalla mia, cercando di fare un buon lavoro. Dovevo, come dici tu, mettermi da parte. È stato bellissimo. Ho capito molto di me, di quello che scrivo, di quello che mi piace. Ho imparato a confrontarmi con gli altri in modi che prima non conoscevo.

 

A.L.: E’ d’accordo con la linea di pensiero per la quale le antologie (se ne vedono tantissime in giro!) hanno raccolta la funzione un tempo svolta dalle riviste? Crede siano troppe o troppo poche? Crede siano, come dicono in tanti, una sorta di esercizio di scrittura autoreferenziale e ombelicale (scritte da scrittori per scrittori e nient’altro), oppure (sull’esempio del grandissimo Tondelli), crede che servano da “laboratorio di scrittura”, da banco di prova, da apprendistato per i giovani scrittori, e che soprattutto possano costituire un trampolino di lancio e una sorta di termometro della letteratura contemporanea?

 

F.P.: Credo che sia un po’ di questo e un po’ di quello. Bisogna sempre vedere se di fondo c’è un progetto, la volontà di mettere insieme degli autori per portare avanti un’idea, il caso di Tondelli, o solo quella di pubblicare. Ci sono moltissime antologie. Proprio la diversa qualità degli scrittori e dei progetti fanno sì il panorama sia ampio e controverso.

 

A.L.: Vuole raccontarci la sua giornata tipo?

 

F.P.: Non ho una “giornata tipo”. Dipende da quello che devo fare (studiare, mettere in ordine, scrivere, leggere).

 

A.L.: Vuole raccontarci un ricordo importante della sua vita, qualcosa che l’ha segnata (in bene o in male) e che ha contribuito a fare di lei la persona che è adesso? Un ricordo, intendo, indimenticabile. Una piccola storia su di lei.

 

F.P.: Un pomeriggio mio padre mi venne a prendere a scuola, ero in quarta elementare. Mi fece salire in macchina e mi disse se volevo partire per un viaggio. Disse che dovevo salutare tutti i miei amici. Quando gli chiesi perché, visto che gli avrei rivisti presto, disse che stavamo via per un po’, tipo per sempre. Dopo un mese lasciai Taranto.

 

A.L.: Grazie!

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