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La firma del Presidente…

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(Promulgazione)

È pericoloso dire al popolo che le leggi non sono giuste,
perché obbedisce proprio per il fatto che le crede giuste.
Perciò bisogna dirgli al tempo stesso che deve obbedire loro perché sono leggi,
così come deve obbedire ai superiori non perché sono giusti,
ma perché sono superiori.
Blaise Pascal

Quando il Parlamento Italiano approva una legge più o meno contestata dalla minoranza politica all’opposizione, come “ultima istanza” (disperata) atta ad impedire che la norma entri in vigore e non produca effetti ritenuti dannosi, gli oppositori si appellano al Presidente della Repubblica chiedendogli di “non firmare” la norma, per impedirne così la “promulgazione”.

Precisiamo subito che questa richiesta rappresenta un equivoco, strumentalmente impiegato per evocare un ruolo (inesistente) di “ultimo censore” dell’attività delle Camere per il Capo dello Stato, specie quando quest’ultimo è una personalità di “cultura politica” vicina all’opposizione.

Prestiamo attenzione a questo potere del Presidente previsto dall’articolo 87[1] della Costituzione: una volta approvata una legge è perfetta ma non efficace. Si rende necessaria una fase di “integrazione dell’efficacia”, che risulta dalla “promulgazione” ad opera del Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 73 Cost[2]. Essa deve avvenire entro un mese dall’approvazione del testo da parte delle due Camere del Parlamento (art.73, I comma); tuttavia, in caso di urgenza deliberata da ciascuna Camera a maggioranza assoluta dei componenti, la legge è promulgata nel termine da esse stabilito (art.73, II comma).

In questo momento preciso ed autonomo, e non “automatico”, dell’iter che porta al nascere della legge, il Capo dello Stato è tenuto ad operare un controllo di legittimità costituzionale, ovvero verificare se la legge è conforme a Costituzione almeno “prima facie”, sia dal punto di vista formale (correttezza della procedura parlamentare seguita), sia dal punto di vista sostanziale (assenza di contrasti evidenti con i principi costituzionali, e controllo circa l’identità assoluta del testo approvato dalle due Camere[3]).

L’art. 74 della Costituzione prevede, certo, la possibilità per il Presidente di “rinviare” una legge alle Camere, nel caso particolare in cui rilevi un vizio nell’atto legislativo approvato, chiedendo, di sua iniziativa, una nuova deliberazione (ossia un riesame) del Parlamento, mediante una propria comunicazione (messaggio motivato). Il potere di rinvio attribuito al Capo dello Stato è volto a sollecitare un più attento esame del provvedimento da parte dell’organo legislativo a causa di “possibili profili” di incostituzionalità. Il potere di rinvio, nondimeno, può essere esercitato solo per ragioni di legittimità ed “opportunità costituzionale” della legge, non per motivi di “opportunità politica”: il Capo dello Stato, infatti, ha funzione di garante super partes delle istituzioni, laddove la discrezionalità circa l’adozione o meno di una legge è prerogativa del Parlamento (ovvero del Governo, ex art. 76 e 77 Cost. per Decreti Legge e Legislativi).

Tuttavia, è innegabile che il rinvio sia esercizio di un potere anche politico, attesi i possibili riflessi sulle istituzioni. Nella pratica esso è avvenuto, nella maggior parte dei casi, per mancata copertura finanziaria del provvedimento, in violazione dell’art. 81 della Costituzione[4]. Il rinvio non rappresenta un “potere di veto”, dato che le Camere, in rappresentanza del popolo, possono non di meno ri-approvare il testo rinviato, che deve essere poi promulgato.

Per concludere, quello che occorre chiarire è che nel nostro sistema costituzionale la promulgazione è atto doveroso (dovuto) da parte del Presidente della Repubblica, che non dispone di alcun potere di intervento sul contenuto discrezionale della legge.

Nessuno stupore, dunque, di fronte all’ultimo episodio di promulgazione di una legge, molto contestata dalle opposizioni che ne avevano chiesto il “blocco” da parte del Capo dello Stato (quella di attuazione dell’art.116 della Costituzione sulla c.d. “Autonomia Differenziata”), approvata definitivamente dal Parlamento il 19 giugno 2024 e “firmata” dal Presidente Sergio Mattarella il 26 giugno 2024[5].

Legum omnes servi sumus, ut liberi esse possimus
(tutti siamo servi delle leggi per poter essere liberi)
Ulpiano

  1. Costituzione – Parte II – Ordinamento della repubblica – Titolo II – Il presidente della repubblica.

    Comma V: …“Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti”.

  2. Costituzione – Parte II – Ordinamento della repubblica – Titolo I – Il parlamento – Sezione II – La formazione delle leggi
  3. Cfr. “Interpretazione Costituzionale” di Giorgio Berti, II edizione, Cedam Padova 1990, pag. 555.

    La Costituzione, per altro, non richiede che il Presidente sia un esperto costituzionalista: quindi egli, anche se supportato dai suoi consiglieri giuridici, non potrà effettuare quel controllo approfondito, tipico di altri organi come la Corte Costituzionale.

  4. Cfr. “Art.81: ma è proprio pareggio?” di Alberto Monari, in Kultunderground n.203-GIUGNO 2012, rubrica Diritto.
  5. Il Presidente Mattarella, Docente Universitario di materie giuridiche, già Deputato, Ministro, e Giudice Costituzionale, non ha accompagnato con nessuna nota scritta la promulgazione della norma.

 

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