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Invasione di terreni o edifici… rimedi tra diritto penale e civile

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Dalla conchiglia si può capire il mollusco, dalla casa l’inquilino.
Victor Hugo

Il reato previsto dall’articolo 633 del Codice Penale, rubricato “Invasione di terreni o edifici”, è contenuto nel Libro secondo, “Dei delitti in particolare”, Titolo XIII, “Dei delitti contro il patrimonio”, Capo I, “Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone”, ed è appunto diretto a tutelare l’inviolabilità e l’integrità della proprietà immobiliare, specificatamente intesa come diritto d’uso e godimento esclusivo a favore del proprietario.

In effetti, la “fattispecie” in esame (dal latino facti species, “apparenza del fatto”, nel senso di “fatto immaginato”, ovvero situazione-tipo ipotizzata), emerge agli onori della cronaca ogni volta che comuni cittadini, dopo una temporanea assenza dalla propria abitazione, dovuta a semplice vacanza o necessità di cura presso una struttura sanitaria, rientrano trovando il proprio immobile “invaso” da estranei intenzionati a rimanervi. Questi episodi, casi reali sempre più frequenti, soprattutto in questo particolare momento di crisi economica, suscitano molta indignazione nell’opinione pubblica per la evidente (quasi brutale), ingiustizia che subisce il legittimo detentore di un immobile, nella più intima sfera personale, quella del proprio domicilio.

“Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032”, recita il primo comma dell’art.633 C.P.

Si tratta di un reato comune, nel senso che può essere commesso da qualsiasi individuo, anche dal proprietario nei confronti del conduttore (inquilino) o altro soggetto che detiene l’immobile, in quanto la norma sottintende che l’agente (soggetto attivo del reato), non abbia il possesso o la disponibilità del bene: si pensi al locatore che, di fronte alla morosità del locatario, proceda di propria iniziativa a riprendersi l’appartamento locato, al di fuori della procedura legale di “rilascio di immobile[1]”.

Per “Invasione arbitraria” la legge, come interpretata dalla giurisprudenza, intende l’azione dell’entrare forzatamente in terreni o edifici altrui, pubblici o privati, senza il consenso del possessore degli stessi immobili e senza alcun titolo autorizzativo[2]; la permanenza non deve essere momentanea, ma non è necessario che essa si protragga per lungo tempo, purché sia rivolta all’occupazione stabile o abbia come scopo di ottenere una utilità o un vantaggio. Inoltre, la nozione di “invasione” non si riferisce ad un aspetto violento della condotta, violenza che può anche mancare, ma al comportamento e all’intenzione di colui che si introduce arbitrariamente[3]. Da questo particolare punto di vista, secondo la dottrina dominante, per integrare il reato in esame è necessario che sussista, in capo all’agente, il “dolo specifico”, inteso come coscienza e volontà di invadere un immobile altrui con il fine preciso di occuparlo o di trarne, comunque, un profitto[4]. È, peraltro, indifferente che l’invasione sia totale o parziale, oppure che l’avente diritto/proprietario venga spogliato del suo godimento totalmente o soltanto parzialmente[5].

Il reato di invasione di terreni o edifici è aggravato sia nella pena detentiva che nella pena pecuniaria, ai sensi del comma II dell’art.633 C.P., qualora il fatto sia commesso da più di cinque persone o da una persona “palesemente” armata, oppure, in base al comma III, nei confronti dei promotori o degli organizzatori dell’iniziativa, se il fatto è commesso da due o più persone[6].

Di fronte a questo delitto risulta essenziale non solo (e non tanto) ottenere la punizione del colpevole ma anche la restituzione dell’immobile invaso;

la persona che sia vittima dell’illegittima occupazione altrui della propria abitazione ha sostanzialmente tre possibilità:

  • sporgere denuncia/querela per il reato di invasione di terreni o di edifici[7];
  • promuovere presso il Tribunale civile una causa per ottenere la “reintegra del possesso”;
  • agire, sempre presso l’Autorità Giudiziaria civile, con un’azione di rivendicazione.

Le azioni appena elencate sono cumulabili tra loro, nel senso che, dopo aver sporto querela, è possibile agire anche in sede civile (scegliendo alternativamente tra l’azione possessoria e quella di rivendica): infatti, il Giudice Penale non può condannare l’imputato ad abbandonare immediatamente l’immobile illecitamente occupato, potendo solo effettuare indagini preliminari, e successivamente disporre il rinvio a giudizio dell’imputato, al quale potrà essere inflitta la pena della reclusione e/o della multa. L’organo giurisdizionale competente è il Giudice di Pace, nei casi previsti dal I comma dell’art.633 C.P. per gli immobili privati, mentre quando “si tratta di acque, terreni, fondi o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico…” si procede d’ufficio e la competenza è del Tribunale monocratico[8].

L’oggetto materiale del reato (corpo), nel nostro caso, è rappresentato dal terreno o dall’edificio altrui, urbano o rustico, chiuso o aperto, abitato o disabitato, sul quale ricade la condotta criminosa. Nell’ambito del procedimento penale, al fine di permettere una rapida restituzione del bene al legittimo detentore, il Giudice, spesso, dispone, con decreto motivato, il “sequestro” del bene “corpo del reato” (cioè “le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso…” art. 253, II comma Codice Procedura Penale[9]), necessario per l’accertamento dei fatti (sequestro “probatorio”). La Polizia Giudiziaria, su apposita delega del Magistrato contenuta nel decreto, provvede ad attuare la misura, liberando l’immobile (art., III comma, C.P.C.).

Le cose sequestrate, poi, vengono restituite a chi ne abbia diritto sia quando vengono meno le esigenze probatorie prima della sentenza, che dopo la sentenza definitiva ex art. 262 C.P.P. La restituzione delle cose è disposta dal Giudice con ordinanza (di dissequestro), se non vi è dubbio circa la loro appartenenza, restituzione per cui i tempi sono variabili dipendendo dalla dinamica e durata del procedimento[10].

Se non si verifica questo caso, il proprietario dell’abitazione, nell’ambito del processo penale, potrà soltanto costituirsi “parte civile” per chiedere il risarcimento dei danni patiti a causa dell’illegittima occupazione, ma per vedersi restituito la disponibilità dell’immobile dovrà necessariamente intraprendere un’azione civile[11].

La principale azione civile prende il nome di “azione di reintegrazione” o “azione di spoglio[12]”. Quest’azione spetta non solo al proprietario, ma anche a chi disponga ad altro titolo dell’immobile (ad esempio l’usufruttuario o l’inquilino). L’azione “possessoria” può essere esercitata solamente entro un anno dalla data dell’occupazione. Per ottenere la sentenza di reintegra del possesso occorrerà dimostrare semplicemente che, prima dell’occupazione abusiva, si era possessori del bene, non essendo necessario dimostrare di essere anche proprietari dell’immobile invaso (il procedimento, se intrapreso con urgenza, può condurre a una rapida soluzione). Ottenuta la sentenza di “reintegra del possesso”, se l’occupante si rifiuta ancora di rilasciare l’immobile si dovrà procedere con l’esecuzione forzata: il proprietario dovrà chiedere l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario similmente all’esecuzione di uno sfratto.

Se non si è più nei termini per esercitare l’azione possessoria, allora si potrà procedere civilmente con l’azione di “rivendica della proprietà[13]”. La rivendica (o meglio, rivendicazione) è la più nota delle azioni “petitorie”, cioè di quelle azioni giudiziarie poste a tutela della proprietà. L’azione è possibile, e prosegue, anche nel caso in cui il soggetto citato in giudizio, dopo aver sottratto il bene al suo proprietario, si sia, nel frattempo, privato della cosa: in questa circostanza, il convenuto è obbligato a recuperarla a proprie spese a favore dell’attore o, quando ciò non sia più possibile, a corrispondergli il valore del bene in danaro, oltre al risarcimento del danno. L’azione di rivendicazione non si prescrive e può essere promossa solamente da colui che dimostri di essere l’effettivo proprietario del bene[14].

Negli anni, in Italia vi sono stati numerosi casi di occupazione di immobili effettuati da più persone per motivi vari. Pur in assenza di dati ufficiali, le stime più affidabili sembrano indicare in 50.000 il numero di immobili occupati su tutta la penisola[15]. Fra le ragioni dell’occupazione la carenza di immobili liberi per la locazione o la povertà e l’impossibilità di pagare il canone. L’art. 54 del Codice penale prevede una particolare “scriminante” (o causa di giustificazione), che esclude la punibilità del reato: è lo “stato di necessità[16]”. Questa situazione si configura quando un soggetto «ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona». Deve, quindi, trattarsi di una vera e propria necessità e non di una semplice “convenienza”, e deve sussistere un pericolo effettivo e concreto, non presunto o ipotizzato, di danno grave alla vita, alla salute o agli altri beni intangibili di una persona umana (non semplicemente ai suoi beni patrimoniali). Dunque la invasione arbitraria non è scriminata (giustificata) ex articolo 54 C.P., qualora lo “stato di necessità” non metta seriamente in pericolo la vita o altro diritto fondamentale dell’occupante abusivo. La mera esigenza abitativa non è causa di esclusione della punibilità.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (C.S.C. sent. n. 46054 del 16.12.2021), ha annullato la condanna penale emessa nei confronti di due genitori indigenti e sfrattati: la famiglia in questione, con figli minori, dopo lo sfratto aveva l’esigenza impellente di trovare un’abitazione per superare il pericolo attuale di rimanere senza tetto e, perciò, aveva deciso di “invadere” una casa popolare, senza attendere la conclusione della procedura di assegnazione degli alloggi alla quale aveva partecipato. La Suprema Corte, però, ha sottolineato che per riconoscere la giustificazione del reato devono sussistere, “per tutto il tempo dell’illecita occupazione”, lo stato di necessità e l’inevitabilità del pericolo, che deve sempre essere «grave e attuale». In altre parole, spiega la sentenza, in conformità ad altri precedenti, non si può prendere arbitrariamente possesso di una casa popolare «per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa».

La legge è potente, ma più potente è il bisogno.
Johann Wolfgang von Goethe

  1. Cfr. Kultunderground n.169-AGOSTO 2009: “Sfratto esecutivo…” di Alberto Monari, rubrica “Diritto”, anche Kultunderground n.190-MAGGIO 2011: “Divieto di farsi giustizia da sé” stesso autore.

  2. Corte Suprema di Cassazione, Sez. II penale, sent. n. 29657, 8 luglio 2019.

  3. Il mezzo tramite il quale può avvenire l’occupazione può essere di qualsiasi tipo, potendo compiersi, per esempio, anche mediante un inganno ai danni del legittimo detentore.

  4. Dunque, l’occupazione abusiva, per essere tale, necessita della volontà dell’occupante di rimanere per un certo periodo di tempo (anche per sempre) all’interno dell’immobile che ha invaso. Cfr. Corte Suprema di Cassazione, Sez. II penale, sent. n. 19148, 7 maggio 2019.

  5. Si tratta di un reato “permanente” in quanto la “situazione contro il diritto” è duratura e viene mantenuta attraverso una condotta dell’agente ininterrotta, che può cessare in qualsiasi momento con un atto di volontà del colpevole.

  6. Art.633, II comma C.P.: “Si applica la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2064 e si procede d’ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone o se il fatto è commesso da persona palesemente armata”.
    III comma: “Se il fatto è commesso da due o più persone, la pena per i promotori o gli organizzatori è aumentata”

  7. La querela consiste in una dichiarazione di volontà con cui la persona offesa da un delitto richiede all’autorità giudiziaria di procedere contro chi ha commesso il fatto: di fatto consiste in una condizione di procedibilità, dalla quale la legge fa dipendere la perseguibilità di determinati fatti criminosi.

  8. In questo caso poiché l’interesse tutelato dalla norma non è quello del singolo ma della comunità il Giudice competente è da individuarsi nell’organo giurisdizionale superiore al Magistrato Onorario.

  9. Codice di procedura penale – LIBRO TERZO – Prove – Titolo III – Mezzi di ricerca della prova – Capo III – Sequestri – Articolo 253 Oggetto e formalità del sequestro.

  10. La Corte di Cassazione si è espressa a riguardo, stabilendo che “il soggetto che richiede la restituzione della cosa sequestrata e non confiscata deve fornire la prova rigorosa della esistenza di un suo diritto legittimo su di essa, non potendosi prescindere, ai fini dell’accoglimento dell’istanza, dall’accertamento dello ‘jus possidendi’” (C.S.C., Sez. V Pen, sent. n. 9284, 3 marzo 2015). Lo jus possidendi, altro non è che il “diritto di ottenere il possesso”, che spetta principalmente al proprietario/locatario.

  11. “Cosa fare in caso di occupazione abusiva” di Mariano Acquaviva, in www.laleggepertutti.it, 11 Giugno 2020

  12. Art. 1168 cod. civ.: “Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.
    L’azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o di ospitalità.
    Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio.”
    Codice Civile – LIBRO TERZO – Della proprietà – Titolo VIII – Del possesso – Capo III – Delle azioni a difesa del possesso.

  13. Art. 948 Codice Civile – LIBRO TERZO – Della proprietà – Titolo II – Della proprietà – Capo IV – Delle azioni a difesa della proprietà. Azione di rivendicazione: “Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l’attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno..”.

  14. Nel caso di bene immobile occorrerà dimostrare il regolare atto d’acquisto del bene, nonché la valida proprietà di colui dal quale è stata acquistata, risalendo così indietro nel tempo perlomeno fino a venti anni, tempo necessario a far maturare l’usucapione (acquisto del diritto per semplice decorso del tempo senza contestazioni).

  15. Fonte Wikipedia.

  16. Codice Penale – LIBRO PRIMO – Dei reati in generale – Titolo III – Del reato – Capo I – Del reato consumato e tentato – Articolo 54, Stato di necessità.

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