KULT Underground

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Intervista con Shhh Room

8 min read
Elsewhere
 
Per ascoltare le tracce:
 
Tracks:
In search of Mu 36
A memorable fancy
Beyond duality
 
Genere: elettronica, ambient
 
Chi è “Shhh Room”? Intanto bisogna dire che “Shhh Room” non vuole rivelare il suo nome e cognome anagrafico. Credo però si possa dire che è torinese (e tutto torinese è il poco piacere di apparire) e che il suo “Elsewhere” è un ottimo lavoro – ascoltabile in streaming sulla piattaforma musicale Bandcamp – di genere elettronico, tra kosmische musik (i primi Tangerine Dream, Popol Vuh, Ash Ra Tempel) ed elettronica ambient (ma soprattutto richiamano alla mente le composizioni multilivello di Fennesz, che fondono sonorità dall’estetica glitch di Fennesz a quelle proto new age (“In search of Mu36″”), black ambient oriented (“A memorably fancy”) o più “cosmiche” e “spirituali” con l’introduzione del sitar o di una tampura e la loro peculiare risonanza armonica sulla nota fondamentale chiamata bordone o drone. Musica che invita alla meditazione come in una fantascienza burroughsiana, che non usa lo spazio esterno dell’uomo ma il suo spazio interno, tra echi di Laraaji (Essence/Universe per esempio), di Stockhausen o dell’etno-elettronica di Jon Hassell.
 
Intervista 
 
Davide
Ciao. Innanzi tutto quando hai iniziato a suonare, qual è la tua formazione musicale e come è nato il desiderio di creare musica?
 
Shhh Room
Ciao Davide. Sono sempre stato un vorace ascoltatore, ma ho capito di voler creare qualcosa di personale solo intorno al 2000. Pur con la fortuna di avere un pianoforte in casa fin da piccolo, la chiave di svolta per me è stata l’elettronica (intesa soprattutto come “tool”). In quegli anni la mia attenzione si stava spostando sempre più dalla musica al suono per cui ho iniziato a sperimentare con diversi software di sound-processing (il mio preferito rimane AudioMulch).
La possibilità di poter alterare un suono fino a trasfigurarlo è sempre stato motivo di grande meraviglia. È come un processo alchemico se ci pensi.
Nel 2008 invece ho iniziato lo studio del sitar e della musica classica indiana.
 
Davide
Hai fatto altri lavori prima di “Elsewhere”? Come reperirli o ascoltarli?
 
Shhh Room
A parte una manciata di CD-R limitati ai pochi amici con cui collaboro, nel 2007 ho fatto un EP a nome shhh ROOM uscito per la netlabel Kirsten’s Postcards. Si intitolava “Synthetic fairy tales”.
Temo non sia più reperibile (la netlabel non esiste più), quindi posso raccontarmi che è andato a ruba…
Scherzi a parte, erano quattro miniature di musica elettronica, un po’ naïve come struttura ma con un buon lavoro sui suoni. Un brano in particolare, “MU”, era l’embrione di quello che sarebbe diventato “In search of Mu 36”.
 
Davide
Shhh Room… Tra uno showroom che espone una “gamma di articoli musicali” e una stanza del silenzio. Come e perché nasce questo singolare nome al tuo progetto musicale?
 
Shhh Room
È un nome che si presta a diverse interpretazioni, tutte interessanti, mi piace come suona ed è un riferimento nemmeno troppo velato a certi enteogeni naturali…
 
Davide
Già, non avevo pensato alle “piante di saggezza”, al “mushroom”… Veniamo a “Elsewhere”. Quale altrove?
 
Shhh Room
Non saprei dire esattamente quale, o dove sono arrivato; quello che cercavo è un altrove dove sonorità acustiche ed elettroniche potessero ibridarsi fino a sfumare i confini.
A me interessano in particolare le zone di transizione, di metamorfosi… L’idea di soglia, che sfugge non appena si cerca di metterla a fuoco.
Anche l’immagine scelta per la copertina va in quella direzione. È una fotografia che ho scattato nella grotta di Su Marmuri, in Sardegna. La roccia plasmata dall’acqua assume una fluidità che, pur essendo naturale, dà l’idea di un mondo altro e di un differente concetto di tempo.
 
Davide
In “Elsewhere” sei ispirato da tematiche spirituali o mistiche o di quale altro tipo?
 
Shhh Room
La mia musica nasce per accompagnare la meditazione, o per sprofondare nel mondo dei sogni… Sono situazioni di estrema ricettività, nei quali lo stato di coscienza si espande e si eleva.
Spesso utilizzo sonorità che carico di un forte valore simbolico. In “Beyond duality” si può trovare, semi-sepolto nel mixaggio, il suono di un uovo che si schiude, poi messo in loop e riverberato fino a somigliare alle onde del mare.
Il brano vuole essere una sorta di OM e, così contestualizzato, quel semplice uovo diventa l’uovo cosmico come congelato nel momento della schiusa.
 
Davide
Dall’elettronica allo studio del sitar. Questo mi ricorda il tentativo di riconciliazione tra oriente e occidente operato a suo tempo da Florian Fricke. Come ti sei avvicinato a questo difficilissimo strumento musicale indiano e cosa rappresenta per te la sua classicità atemporale (ma comunque del “passato”), umano e insieme sacrale, in un contesto sonoro invece elettronico sempre più improntato nel presente e nel futuro alla interazione uomo-macchina?
 
Shhh Room
Hai colto in pieno… L’ascolto dei Popol Vuh è stato importantissimo per l’evoluzione dei miei gusti musicali e ancora oggi considero “In den Garten Pharaos” e “Hosianna Mantra” delle pietre miliari.
Grazie soprattutto a loro mi sono avvicinato alla musica classica indiana, in cui ho scoperto le radici di molte delle sonorità che mi affascinavano: il bordone, i microtoni, i poliritmi, ma soprattutto l’idea di musica come veicolo di trance.
Come ti dicevo, nel 2008 ho comprato il mio primo sitar, ho iniziato a prendere lezioni e l’anno dopo ero già in India…
Mi si è aperto un mondo. Avevo scoperto la magia di suonare uno strumento con una sua fisicità e una vibrazione che non dipende dalla qualità delle casse/cuffie.
Non che gli strumenti acustici siano superiori a quelli elettronici; la differenza secondo me è nel tipo di approccio… Voglio dire, la pratica quotidiana, la diteggiatura, i dolori posturali, la lentezza nell’apprendimento e la concentrazione che richiede, è una lezione di pazienza e di umiltà che mi ha cambiato e che mi porterò dentro per sempre.
Per tornare alla tua domanda: includere il sitar in un contesto sonoro elettronico nasce dalla volontà di giungere ad una sintesi tra questi approcci, nella speranza di aver creato un ibrido, un altrove credibile.
 
Davide
Qual è il punto di partenza del tuo lavoro di composizione, quale il punto di arrivo per riconoscervi la compiutezza?
 
Shhh Room
È sempre il suono. Puro o processato che sia, se non c’è un suono che mi meraviglia, non si va da nessuna parte. Nella prima fase ho la fortuna avvalermi di amici, spiriti affini con i quali scambiare idee e registrazioni.
Una volta trovato questo punto di partenza, almeno per ciò che riguarda shhh ROOM, torna tutto in mano mia. Devo essere libero di lavorarci sopra e magari di stravolgere senza intermediazioni. Si tratta di costruire un ambiente, un contesto in cui il suono si possa evolvere e sviluppare.
Il punto di arrivo è più difficile ancora. Tendo ad essere molto critico e posso ritoccare certi dettagli anche per anni.
La compiutezza di un brano la riconosco quando mi ci posso abbandonare senza vergogna.
 
Davide
Intervistato da Luciano Berio, Stockausen disse che il vero significato e lo scopo della musica è prima di tutto quello di rimodellare gli uomini e di riuscire a modellarli all’interno fino negli atomi che li compongono, attraverso vibrazioni cosmiche che si tramutano in vibrazioni sonore. In sostanza la musica serve come mezzo per ritrovare noi stessi e il nostro collegamento con il cosmo, con il divino. A cosa servono il suono e la musica, secondo te, qual è il significato che vi attribuisci tu?
 
Shhh Room
Ammiro molto Stockhausen e non potrei esprimermi con parole migliori. La musica secondo me è il punto più alto, o forse il più profondo, che l’umanità abbia raggiunto.
Nello studio del sitar e dei raga indiani mi sono necessariamente imbattuto anche nei tala, i cicli ritmici, che possono avere strutture molto complesse per un orecchio occidentale. Cicli in 6 battute, 7, 10, 12… 41/2… Lì devi contare, non ci sono alternative. Per cui la sfera logico-razionale e quella emotiva-spirituale raggiungono un equilibrio miracoloso…
Leibniz diceva: “La musica è una pratica occulta della matematica, dove lo spirito non sa di calcolare”.
 
Davide
L’uomo in silenzio è più bello da ascoltare, recitava un antico proverbio giapponese. In quanto “Shhh Room” viene certo da pensare che in questo nome al tuo progetto vi sia un invito al silenzio, tanto importante quanto il suono stesso, innanzi tutto per poterlo meglio ascoltare. Invece viviamo in un’epoca che, per dirla con Simone Weil, all’uomo che ha bisogno di un caldo silenzio, si dà un gelido tumulto. Cos’è per te il silenzio in rapporto al suo opposto, il suono?
 
Shhh Room
Il silenzio crea le condizioni affinchè il suono possa manifestarsi. C’è un libricino molto bello del violoncellista Mario Brunello (intitolato appunto “Silenzio”), dove scrive: “Cercare il silenzio, dare spazio al silenzio nell’arte, nella musica, aiuta a concentrarsi sul senso profondo della vita in generale e distoglie l’attenzione dall’esigenza dell’uomo di fare della sua centralità, anche nell’arte, il fine di ogni atto creativo.”
 
Davide
Qual è stato il primo disco sulla “strada di Damasco”, quale l’ultimo che hai maggiormente apprezzato?
 
Shhh Room
Domanda difficile… Forse il primo è stato “Astral Disaster” dei Coil, che qui sembrano dei Popol Vuh pagani. Da lì sono partito a ritroso, per esplorare la musica cosmica che li ha ispirati.
L’ultimo davvero notevole è un disco di Jacaszek che si intitola “Glimmer”: potrei descriverlo come un incrocio tra Fennesz e certa musica da camera.
 
Davide
Cosa seguirà?
 
Shhh Room
Ho alcuni brani in lavorazione, un paio praticamente conclusi, ma esclusi da “Elsewhere” perchè più ritmici e meno sospesi. Prima o poi vedranno la luce, ma conoscendomi potrebbero volerci anni. Il bello di fare musica per se stessi è che non c’è fretta, perchè non c’è alcun bisogno di arrivare.
 
Davide
Grazie e à suivre…

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