KULT Underground

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Come ti va?

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Come ti va?
2-11-98
Annette era da poco tornata dal lavoro ed ora stava stirando le camice di Alex, immersa nei suoi pensieri. Lavorava part-time in una tavola calda frequentata per lo piu’ da camionisti, doganieri, operai pendolari di ogni tipo e per questo apriva alle sei di mattina. Non era tanto distante da casa sua, cosi’ le bastava alzarsi una mezz’ora prima. Alex non era contento che lavorasse li’, ma non se ne poteva proprio fare a meno.
Il telefono squillo’ diverse volte dalla cucina prima che se accorgesse. Appoggio’ il ferro da stiro ed ando’ a rispondere correndo col suo passo leggero.
– Pronto?
– Annette?
– Si… sono io.
– Ciao, scusa se ti disturbo con tutte le cose che avrai da fare. Sono qui in paese per qualche giorno a trovare i miei e pensavo di passare a farti visita, ma volevo prima avvisarti… con tutto il tempo che e’ passato.
Silenzio.
– Pronto?
– Si’, pronto. Sono ancora qui.
– Annette, ti senti bene cara?
– Si, grazie. Ma chi parla?
– Ah, ah! E’ per questo che non parli. Oh, hai ragione, ti ho lasciata qua da sola per troppo tempo, senza neanche una telefonata!
– Clara?
– Si’, sono proprio io!
– Dove sei?
– Se abiti ancora dove ti ho lasciata, sono a 300 metri da li’. Allora posso venire a trovarti?
– Si’, certo.
– Ti dispiace se vengo ora?
– Mi chiedi se mi dispiace? No, affatto, non avresti potuto indovinare momento migliore.
– O.K., sto arrivando.
Click. Silenzio.
Era felice di rivedere Clara. Quanto tempo era passato dall’ultima volta… non se lo ricordava.
Ripose l’asse da stiro nello scaffale, le camice stirate nell’armadio. Poi si riassetto’ i capelli e un poco il trucco. In piedi al centro del salotto si guardo’ intorno: tutto in ordine. Cosi’ nella cucina, dalle cui tende bianche appoggiate ai vetri della finestra stretta filtrava la luce pallida di un altro pomeriggio, di un pomeriggio lontano che sapeva di ricordi, dolci di profumi persi nella memoria. Aspetto’ in piedi con le spalle un poco ricurve rivolte all’ingresso finche’ non suono’ il campanello. A passi piccoli e svelti si avvicino’ alla porta, esito’ un istante, prese un bel respiro e dolcemente apri’. Faccia a faccia. Clara non era cambiata tanto e nei suoi occhi sprizzava ancora tutta la sua allegrezza, tutta la voglia di novita’ della giovinezza, Clara ancora tutta vita. Il sorriso largo sulla faccia di Clara si schiuse in un attimo.
– Eccomi qui!
Poi all’improvviso, un abbraccio forte e caldo che avvolse sorpresa Annette.
– Clara…
La sua voce un sussurro.
– Prego, entra, non restiamo qui sulla porta.
– Certo, certo, entriamo.
– Non sei cambiata per niente, sei sempre bellissima.
– Ti ringrazio, bugie come queste fanno sempre piacere.
Clara non si fermo’ nel salotto e ando’ direttamente a sedersi in cucina sulla sedia bianca rivolta verso la luce del sole.
– La cucina rimane sempre l’ambiente piu’ intimo della casa, escludendo la stanza da letto, s’intende!
Continuo’ con una breve risata mentre scrutava l’amica che appena sorrideva, in piedi accanto ai fornelli, gli occhi fissi al pavimento.
– Posso offrirti un caffe’ e una fetta di torta? Guarda che e’ quella al cioccolato che ti piaceva tanto…
– Perbacco, oggi e’ proprio la mia giornata fortunata! Non posso rifiutare.
Si guardarono un attimo negli occhi, rividero le stesse degli anni passati e scoppiarono a ridere. Poi silenzio.
– Preferisci una birra?
– Birra? E da quando bevi? Non hai toccato un goccio nemmeno alla festa di fine anno.
– No, in non bevo. E’ Alex che ogni tanto si fa una birra la sera davanti alla TV.
Ancora silenzio.
– Perche’ non mi racconti un po’ di te e Cliff, ti va?
– Ti assicuro che non posso lamentarmi: e’ un marito magnifico.
– Avete figli?
– Quattro, per ora… Tu e Alex cosa aspettate?
Sguardo al pavimento di Annette. Silenzio.
– Va tutto bene?
– Si, certo.
– A me non la racconti…
Di nuovo gli occhi gli uni dentro quella dell’altra.
– Be’, diciamo che Alex beve un po’ piu’ di una birra a sera.
– Ti picchia?
– Qualche volta.
– E’ per questo che non te la senti di avere bambini?
– Ne aspettavo uno.
– Ti ha picchiata quando eri incinta?
– Sono scivolata sule scale. Avevo appena dato la cera
– Gia’. Posso offrirti una sigaretta?
Il fumo fitto nella piccola cucina bianca copri’ cose, persone, parole, songhiozzi, lacrime, risa e tutto quello che non si puo’ descrivere.
Tutto fumo, nessun mistero, tutto fumo.

Monica Orsini

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