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23Adri- II capitolo

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23Adri- II capitolo

La luminescenza dello schermo s’attenua e ridiviene tutto azzurro chiaro, un logo per un istante appare, è una rosa dei venti con scritto sotto "university" e altre parole che non riesco ad afferrare. Lo schermo poi si spegne e non solo quello, anche la tastiera cessa d’esser luminescente e diviene grigia, mentre lo schermo si ritira in se stesso e sul pavimento resta solo un sottile filo metallico. Rimango fermo nella stanza ora illuminata solo dalla luce d’emergenza e guardo attentamente ciò che rimane del computer: un filo, una tastiera metalli che ora sembra rinsecchita, e basta! Osservo ancora a lungo quelle due misere cose ripensando a quanto è successo nell’ultima mezzora. Mi rendo conto solo adesso che a parte le prime righe non ho più battuto sulla tastiera, la conversazione s’è svolta telepaticamente, o qualcosa del genere, e tra l’altro fin dall’inizio abbiamo parlato in italiano, ma chi comunicava era convinto d’essere a New York pertanto forse la comunicazione inizialmente è stata in inglese probabilmente, oppure mi ha comunicato inizialmente in inglese e ha proseguito scrivendo in italiano perché l’ha individuato come mia lingua originale.Ma il vero problema non sta qui, il computer è più ologramma che materia solida, sono sempre maggiormente perplesso, non mi sarò mica immaginato tutto? Uno studente che vuol fare la tesi. Devo proprio fidarmi d’uno studente? Viene poi dal futuro o da chissà quale dimensione più o meno parallela o trasversale, insomma di questo non m’ha detto proprio niente. Quando io ero studente ero totalmente inaffidabile e anche i miei compagni d’università lo erano quanto me e qualcuno ancor di più, se è per quello. E se mi fossi inventato tutto e questa fosse un’allucinazione dovuta alla neococa, talvolta le da, o se fosse uno scherzo dei nuovi tecnocrati che m’hanno ridotto alla fame? Non mi resta altro da fare che aspettare domani, così vedrò se questo cazzo di computer tornerà a funzionare e se lo studentello rispetterà le promesse, già deve portarmi i numeri, e se uscissero davvero? Rimugino a lungo questi pensieri e mi butto sul pagliericcio, ordino ad alta voce alla luce d’emergenza di spegnersi e resto al buio a fantasticare ad occhi aperti. Al mattino mi risveglio di buon’ora, sono incredulo su quanto è successo, guardo ciò che stamani resta del computer: un piccolo ammasso metallico con frammenti di resine fenoliche, la vista di queste povere cose mi fa pensare d’essermi sognato tutto. Lascio però stare i frammenti così come sono ed esco in strada ove tutti mi evitano come fossi un barbone, ma forse almeno nell’aspetto lo sono proprio diventato.Mi siedo su una panchina in un giardino pubblico che si trova nel mio quartiere e che è divenuto la mia meta preferita. Guardo nel cestino se c’è qualche residuo di merendine di qualche bimbo, ma stamani, almeno per ora il cestino è pulito, peccato, niente colazione e poi mi sento uno schifo, la bocca è amara e i morsi della fame attanagliano il mio stomaco. Cerco d’ignorare i crampi e chiudo gli occhi. Un signore di mezza età ben vestito, senza dare nell’occhio sta avvicinandosi alla panchina ove sono seduto. Passa davanti senza guardarmi e lascia cadere una banconota accanto ai miei piedi, indifferente prosegue. Non riesco a ricordare chi sia ma sono sicuro di conoscerlo, o quanto meno d’averlo già visto più volte, forse sarà anche lui del quartiere. Mi chino per raccogliere la banconota e resto esterrefatto nel vedere che è da mille crediti. Altro che vicino o del quartiere, questo dev’essere un amico del passato Tiranno, m’ha riconosciuto e ha voluto aiutarmi. Forse qualcosa comincia a girar bene per me, prima quell’inaffidabile studente con quel computer che sembrava una figata e invece ora è un rottame, poi questa donazione. M’è tornato il buonumore dopo mesi di sconforto, entro in un bar e faccio un’abbondante colazione. Compro dei vestiti puliti, mi reco in un bagno pubblico, mi lavo, mi rado barba e capelli, mi rivesto sul pulito e getto nell’inceneritore le mie cose passate. Mi guardo allo specchio, sono di nuovo presentabile, non ho proprio l’aspetto del consigliere come un tempo, sembro di più uno di quei giovani irrequieti. Esco e torno nel mio appartamento e guardo sconsolato ciò che ne rimane, praticamente quasi nulla, il computer è sempre un rottame e pensare che poche ore fa era brillante e vivo come mai ne avevo visto. Esco nuovamente e questa volta richiudo la porta d’ingresso, all’edicola acquisto una rivista di racconti, è in formato e-book leggi e getta, torno alla panchina e m’immergo nella lettura. Il giorno scorre veloce, mi sono alzato dalla panchina solo tre volte: per prendere un caffè, per comprarmi un pacchetto di sigarette, per orinare dietro ad un cespuglio. Intorno a me genitori con figli piccoli si sono alternati per tutto il pomeriggio, alcuni pensionati hanno chiacchierato per ore seduti sull’erba, due coppie si sono scambiate effusioni. È il momento del rientro, se non sono impazzito del tutto lo studente dovrebbe comunicare con me attraverso quello strano computer. Entro in casa e questa volta neppure s’accendono le luci d’emergenza, hanno staccato anche queste, nel salotto c’è una luminosità verdognola, il computer è di nuovo attivo, sembra di plastica viva con riflessi intermittenti, anche lo schermo oggi e verde e stelline oro roteanti si muovono lentamente sul desktop. Mi siedo per terra di fronte allo schermo e scorgo una piccola freccia, il puntatore. Muovo lentamente, ma con decisione lo sguardo e vedo che la freccia segue i miei movimenti, ho capito come funziona, era semplice! La mando sopra una delle stelle dorate scelta a caso e penso di ciccarci su. S’apre una pagina, vi sono delle immagini di macchinari che non ho mai visto e sconosciute listate di lettere in cirillico. Nella mia mente risuona una voce decisamente femminile stavolta e parla in una lingua che non conosco. Si ferma su una frase interrogativa, alla quale non so come rispondere e la ripete più volte. C’è una barra dei comandi in fondo al desktop, spingo la freccia su un’icona che sembra un libro aperto, clicco. Lo schermo si fa interamente nero e la voce con l’insistente domanda svanisce dalla mia testa, appare la scritta:
Ti stai esercitando?
Sì.
Vedo che oggi riesci a muovere il cursore.
È facile, ieri forse ero troppo sconcertato, o non credevo fino in fondo che tutto questo fosse reale.
Ti ho portato i numeri della lotteria.
I numeri di settembre?
Li ho trovati in memoria all’Università.
E se veramente escono, cosa vuoi in cambio?
Usciranno, vai tranquillo. In cambio devi raccontarmi tutta la tua vita.
Affare fatto.
I numeri sono: 2 – 41 – 73 – 75 – 80 – 90.
Aspetta che li appunto, fammi trovare qualcosa per scrivere.
Te li scrivo io.
E da sotto lo schermo appare una sottile striscia di carta ma che al tatto sembra metallo coi sei numeri stampati sopra.
Adesso ti racconterò tutta la mia vita.
Mi metto così a narrare un po’ tutte le cose più o meno importanti che mi sono capitate nella vita cominciando da quando ero un ragazzo fino ad oggi e ci metto qualche ora, tra l’altro lo studente non m’interrompe neppure una volta.
Ecco, avrei finito.
Elaborerò ciò che mi hai detto, dopo che avrai riscosso la tua vincita ci risentiremo e ti farò delle domande per approfondire la tua narrazione nei punti che riterrò più interessanti.

Vittorio Baccelli (continua)

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