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Il risveglio del dormiente

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STAR TREK
THE NEXT GENERATION
Il risveglio del dormiente

Capitolo Nove

Il mattino seguente il campanello dell’alloggio del consigliere Troi risuonò numerose volte prima che lei si decidesse ad aprire la porta.
Temeva che Worf fosse lì per convincerla ad eseguire il rito della separazione, e dato lo stato emotivo nel quale versava, una discussione con lui non era certamente ciò che in quel momento si sentiva d’affrontare.
Rimase alquanto sorpresa nel vedere invece una donna sull’uscio che sorridendo le domandò.
"Consigliere, posso entrare? Mi chiamo Jadzia Dax, un’amica di Worf."
"Si accomodi." rispose la Betazoide facendosi a lato.
Le grandi occhiaie rosse sotto gli occhi indicavano chiaramente che quella notte l’empatica non avesse dormito. Dax fece finta di nulla e si sedette accavallando le gambe.
"Lei è una Trill, non è vero?" domandò Deanna osservando le lunga fila di macchie che le incorniciavano il volto scomparendo sotto il colletto dell’uniforme.
"Esatto, sono l’ufficiale scientifico della stazione, e come le dicevo precedentemente, una buona amica di Worf."
"Quanto amica?" ribatté involontariamente Troi con invadenza.
"Abbastanza per domandarle perché abbia rinunciato ad acconsentire al Khit’hagh."
"Se ben ricordo i Trill possono vivere diverse vite, noi Betazoidi invece ne abbiamo una sola, e non ho alcuna intenzione di sprecarla per fare contento Worf, e adesso, se vuole andare gliene sarei molto grata; sono piuttosto stanca." rispose Deanna senza curarsi della reazione della sua ospite.
Aprì la porta aspettando che Dax uscisse, ma lei non si mosse, si limitò invece ad osservarla a braccia conserte.
"Le dispiacerebbe andarsene?" insistette Troi indicando con un dito l’uscita dell’alloggio.
"Effettivamente sì. Prima vorrei spiegarle perché è importante che lei accetti il rito del Khit’hagh, quando mi avrà ascoltato non la disturberò più, stia tranquilla."
Esasperata da quella situazione assurda Deanna richiuse la porta, si versò da bere del cioccolato caldo e riprese posto a fianco di Jadzia.
Iniziando ad assaporare la bevanda sentenziò brevemente "Mi dica quello che deve dirmi, e poi mi lasci in pace."
Dax annuì e le si avvicinò.
"Da quello che Worf mi ha raccontato lei non è ben a conoscenza delle usanze Klingon, diversamente saprebbe che per un Klingon l’onore è sopra ogni altra cosa."
"Le devo forse ricordare che ho prestato servizio a fianco di Worf per ben sette anni? E che per alcuni mesi sono stata la sua compagna?" esclamò ironicamente Deanna non accettando per nulla la teoria della Trill.
"Questo lo so consigliere, tuttavia non penso che lei sappia che il disonore che Worf dovrà sopportare coinvolgerà anche tutta la sua famiglia, suo figlio Alexander ed i genitori adottivi sulla Terra. Dal suo sguardo perplesso capisco che non lo sapeva, del resto per molti popoli i Klingon rimangono ancora oggi un mistero, la prego di rivedere la sua decisione."
Troi scosse il capo ed appoggiò nervosamente la tazza sul tavolo, poi con uno sguardo diabolico esordì.
"Una soluzione ci sarebbe…Worf potrebbe rinunciare a sposarsi, magari potrebbe entrare in un monastero Klingon e consumare con i suoi simili i rituali che gli stanno così a cuore. Non pensi che io sia una sciocca, percepisco chiaramente le sue emozioni, lei è ovviamente la nuova donna di Worf; mi risulta difficile credere che l’abbia inviata per convincermi."
"Invece si sta sbagliando, io sono qui di mia spontanea volontà, Worf non sa nulla della mia iniziativa, in effetti in questo momento è molto impegnato in un altro rituale Klingon."
"Non ne sono per nulla sorpresa." sottolineò ironicamente Troi.
"Temo che Worf voglia commettere qualcosa d’irrimediabile per non incorrere nel disonore, forse anche il suicidio." ipotizzò Dax cambiando completamente espressione.
"Worf vorrebbe suicidarsi per una sciocchezza simile?"
Pazientemente Jadzia la corresse.
"Per un Klingon queste non sono sciocchezze. Restando al suo fianco lei si è assunto un vincolo d’onore, deve acconsentire al Khit’hagh per liberarsene, diversamente la vendetta della famiglia potrebbe raggiungerla anche a bordo dell’Enterprise. E’ un circolo vizioso al quale è molto difficile sottrarsi. Mi creda consigliere, io vorrei esserle amica, e sarei disposta ad allenarla per aiutarla a superare senza pericoli il rituale."
Deanna rifletté ripensando alle parole della Trill, in fondo aveva ragione, le vendette Klingon erano famose per essere senza termine e particolarmente cruente, non avrebbe avuto più pace in qualsiasi posto avesse deciso di nascondersi, avendo sulla coscienza perfino l’eventuale suicidio del suo ex compagno.
"Lei è veramente disposta ad aiutarmi?" balbettò infine con un filo di voce.
"Si, se vuole possiamo iniziare gli esercizi anche domani."
Troi girò intorno alla stanza nervosamente, rivalutò tutti i possibili rischi giungendo alla conclusione che Jadzia fosse nel giusto, afferrò l’accappatoio ed aprì la porta.
"D’accordo, faremo a modo suo, ma se non le rincresce vorrei iniziare immediatamente l’addestramento, ho molto da imparare prima di poter sopravvivere ad un rituale Klingon, e non mi dica che non è vero!"
Jadzia sorrise e non aggiunse nulla, in fondo anche lei la pensava allo stesso modo.



Il comandante Riker si sollevò con estrema difficoltà dal pavimento.
La testa gli girava senza sosta mentre tutt’intorno le console della navetta emettevano delle scintille multicolori.
Incontrare una depressione subspaziale era un evento alquanto raro, ma non del tutto impossibile.
Non si rese nemmeno conto di quello che stava succedendo prima che lo shuttle iniziasse a girare su se stesso perdendo stabilità e rotta.
Massaggiandosi la fonte sanguinante domandò.
"Computer, analisi dei danni."
"Il nucleo a curvatura è fuori fase, rottura del contenimento fra due minuti e trentadue secondi."
Riker imprecò sollevandosi da terra, si sedette barcollando ai comandi sperando che ci fosse ancora qualcosa che funzionasse.
Effettuò un controllo diagnostico di primo livello prima di spegnere definitivamente il nucleo, accese i motori ad impulso e cercò di stabilire la sua posizione.
"Computer, a normale velocità d’impulso quanto dista la stazione Deep Space Nine?"
"Venti ore e quindici minuti."
"Maledizione, è un’eternità!" commentò con rabbia battendo entrambe le mani sui comandi semi distrutti.
"Computer, inserisci il pilota automatico, rotta per la stazione a massima velocità d’impulso." ordinò sconsolato afferrando il medikit sotto la paratia.
Si fasciò la testa stringendo le bende sulle tempie e si sedette sulla poltrona, osservando le stelle che si muovevano pigramente ripensò a Deanna ed al pericolo che probabilmente stava per affrontare in quel momento.
Imprecò nuovamente contro il destino avverso ed iniziò a contare i minuti che scorrevano, venti ore erano tante, forse troppe per impedire che succedesse l’irrimediabile, incrociò le dita sperando che la sua Imzadi non commettesse qualche sciocchezza prima del suo arrivo.

Capitolo Dieci

Immagini distorte di figure filiformi si avvicinavano emettendo gridi ed insulti.
Tutt’intorno, si accalcavano per toccarlo, percuoterlo, maledirlo.
I loro volti erano sconosciuti, eppure familiari al tempo stesso, tentò di tirare fiato cercando di farsi spazio, ma la marea vivente non lo lasciò allontanare, lo spinse contro una parete colpendolo con sempre maggiore violenza fino a farlo crollare al suolo esanime.
S’inginocchiò, alzò il capo, e colse lo sguardo colmo d’odio di uno di loro, non intravide nessun segno di pietà, stava urlando come gli altri allungando gli artigli per lacerargli le carni.
"Lasciatemi andare, non ho fatto nulla." singhiozzò ranicchiandosi come un embrione, strisciò sul pavimento costeggiando il muro nella speranza che presto tutto avesse termine.
Aveva ormai perso la sensibilità del proprio corpo, le immagini si fecero ancora più indistinte mentre l’aria improvvisamente gli venne a mancare nei polmoni.
Poi il dolore cessò e venne sostituito da un senso di torpore, di placida calma, prima d’esalare l’ultimo respiro riuscì a comprendere il significato delle loro parole.
"Maledetto, ci hai abbandonato."
Il Dormiente si svegliò di soprassalto con la fronte imperlata di sudore freddo, agitandosi come un ossesso gridò a squarciagola la sua innocenza.
"Perdonatemi fratelli, avrei dovuto risvegliarvi dal letargo…ma l’ho fatto per voi, l’ho fatto per tutti i Kendas."
Lo stato d’agitazione era tale che non si rese conto della lama affilata che stava pendendo sulla propria testa.
"Un altro incubo!" esclamò parando il colpo istintivamente con il braccio.
Il coltello lo colpì di striscio conficcandosi nel legno della scrivania fra gli zampilli di materiale biancastro che fuoriuscivano dalla ferita.
Si schiarì la vista strofinandosi gli occhi con il palmo della mano, comprendendo che quello non era la visione mostruosa dalla quale era appena uscito, era la cruda realtà.
Il nuovo attendente Borg era lì al suo fianco con l’elsa del pugnale spezzato ancora fra le mani, nessuna emozione trapelava dal suo volto cadaverico.
Il Dormiente ci mise solo pochi istanti a realizzare quello che era successo, poi con una frazione del suo potere prosciugò con rabbia furiosa la mente del drone osservandolo crollare al suolo privo di vita.
"Cosa pensavi di fare? Di uccidere il tuo padrone?" ringhiò al cadavere steso sul pavimento, poi un dubbio lo assalì, quel tentativo d’omicidio poteva essere un fatto non isolato, da quando era stato trasformato in un Borg i suoi riflessi non rispondevano più come un tempo, costringendolo a prendersi numerose pause per rigenerare il suo corpo cibernetico.
Si diresse come un lampo verso l’uscita, aprì il portale e vide l’esercito che lo osservava dalla parte ribassata della struttura.
Il loro atteggiamento era chiaramente ostile, si mossero simultaneamente verso di lui agitando le loro protesi elettroniche nel tentativo di ghermirlo.
Qualcosa di strano era successo, qualcosa che in quel momento il Dormiente preferì non approfondire, si concentrò facendo cadere come birilli la prima fila degli attaccanti, poi la seconda ed anche la terza, niente sembrava fermare la loro avanzata ed a nulla sarebbe servito ucciderli tutti, colto dal panico ritornò all’interno sperando di guadagnare un po’ di tempo.
Passando sopra i corpi dei propri fratelli i droni si mossero all’unisono come uno sciame di vespe inferocite.
Il Dormiente sentì frantumarsi l’ingresso sotto la spinta dall’orda, suo malgrado si vide costretto a fare l’unica cosa possibile, tentò di mettersi in contatto con la mente collettiva nella speranza di trarre qualche informazione utile.
Non udì nulla, nemmeno un labile rumore di fondo, non c’era più un nemico da combattere, eppure i Borg erano lì a pochi metri da lui, si rintanò sotto la scrivania e liberò la mente dalla paura e dai dubbi, si concentrò sentendo fremere con forza le vene delle tempie, isolando i proprio pensieri emanò una scarica telepatica di tale potenza che fece rimbalzare gli attaccanti contro le pareti della sala.
In tutto il cubo i droni persero conoscenza simultaneamente facendo risuonare la struttura con un suono sordo, ne seguì un silenzio assoluto, interrotto periodicamente dal rumore delle apparecchiature automatiche.
Confuso il Dormiente uscì dal rifugio ed analizzò la memoria centrale del computer, la rotta era corretta, il territorio della Federazione distava ormai poche ore dall’attuale posizione, eppure il suo esercito si era rivoltato contro di lui.
Per quale motivo? Si domandò nuovamente.
Prese posto ad una seconda postazione e con calma iniziò a valutare ogni possibilità, giunse infine ad una conclusione: i Borg avevano scelto di seguirlo non per la sua superiorità, ma solo perché era in grado d’impartire loro delle direttive, ovviamente durante il periodo di rigenerazione questa attività cessava lasciandoli nell’oblio più completo.
Non ebbe difficoltà ad immaginare il caos che doveva essersi diffuso a bordo dell’astronave e la conseguente reazione aggressiva nei suoi riguardi, pose alcune domande al calcolatore il quale confermò la sua teoria.
"Da questo momento non mi sottoporrò più alla rigenerazione, mi terrò costantemente in contatto mantenendo un controllo costante, in teoria, tutto dovrebbe tornare a posto." mormorò camminando fra i corpi privi di sensi che si ammassavano lungo i corridoi.
Uscì dallo studio e batté le mani.
"Coraggio, svegliatevi!"
Le marionette ubbidienti si alzarono da terra riprendendo immediatamente i loro compiti, lo ignorarono passandogli a lato senza nemmeno sfiorarlo.
Con estrema efficienza in pochi minuti l’astronave riprese il solito aspetto di sempre, ogni segno di rivolta era stata cancellata ed i droni apparivano pienamente soddisfatti di poter tornare ai loro compiti.
Guardandoli il Dormiente tirò un profondo respiro di sollievo.
"Sono degli idioti," concluse con disprezzo, "quando la missione sarà terminata faremo scomparire per sempre la loro razza dal Quadrante."
Galvanizzato di essere nuovamente al comando fermò un cyborg e gli gridò a squarciagola.
"Mi hai capito? Tu sei un perfetto imbecille."
Il cyborg non reagì, attese pazientemente che il tiranno lo lasciasse libero e poi riprese i suoi doveri come non avesse udito nulla.
Il Dormiente scoppiò in una fragorosa risata, si rilassò stirando il corpo anchilosato e si diresse in sala controllo, ormai mancava poco alla battaglia e voleva essere ben certo che tutto fosse pronto.
In effetti, con simili creature, non c’era troppo da fidarsi.
Con apprensione inserì lo scanner diagnostico alla ricerca della primo vascello federale che transitasse nei pressi dell’uscita del tunnel, sperò vivamente che fosse proprio la nave stellare Enterprise, questo gli avrebbe evitato la noia di andarla a cercare per tutto il settore.
Freneticamente inizializzò il conto alla rovescia impartendo l’ordine di prendere posto alle stazioni di combattimento.



Le informazioni ottenute dal Borg richiuso in cella d’isolamento non piacquero per nulla al capitano Picard.
In realtà il drone cercava con tutte le sue forze di comunicare con il collettivo nella speranza che venissero a riprenderlo e non sembrava per nulla interessato agli umani che continuavano a porgli delle domande incomprensibili.
Picard si avvicinò alla struttura che lo imprigionava facendo in modo che il prigioniero lo vedesse bene in volto.
"E’ inutile che continui a contattare i tuoi simili, sei circondato da un campo di smorzamento e nessuna trasmissione potrà lasciare questa stanza, quindi, rassegnati e dacci le informazioni che ti stiamo chiedendo. La resistenza è futile, io sono Locutus dei Borg." recitò Picard sentendo un vuoto allo stomaco solo a pronunciare quel nome.
Il Borg lo guardò con una strana smorfia, si calmò e si sporse in avanti sentendo fremere la giuntura che lo tratteneva alla paratia.
"Locutus, tu sei cambiato, non sento più i tuoi pensieri. Le informazioni che mi richiedi riguardano tutto il collettivo e non un drone in particolare. In realtà non mi sembri diverso da quell’umano che si divertì a torturarmi, probabilmente anche tu presto adotterai quel sistema sperando che possa rivelarti quello che non conosco."
"Invece ti sbagli, " lo interruppe Picard, "non ho intenzione di farti del male, ma se non collaborerai, sarò costretto ad interfacciarmi con il tuo cervello cibernetico, e credimi, questa è una prospettiva che non mi attira per nulla. In ogni caso saprò cosa sta succedendo nel settore Oregon…non mi sembri uno stupido, dimmi ciò che voglio sapere e ti lasceremo in pace."
Il Borg osservò il cavo di connessione nelle mani di Picard, poi emettendo un lamento sottile aprì il diaframma del monocolo di puntamento e fece una cosa che nessun essere umano aveva mai visto precedentemente: si sforzò di sorridere.
"Va bene Locutus, come desideri, ascolta attentamente. Il settore Oregon sarà il luogo dove irromperemo concentrando le nostre forze, non conosco le esatte coordinate, ma sarà da lì che inizieremo l’invasione del Quadrante Alpha. Se lo desideri puoi unirti all’impresa, il collettivo si ricorda ancora di te, malgrado il tuo tradimento potrai tornare ad essere uno di noi. Torna, te ne prego, siamo ancora addolorati per la tua fuga, e noi sappiamo essere clementi, dopo averti assimilato insieme a questi esseri che vivono con te, assumerai nuovamente il ruolo di portavoce dei Borg. Rifletti con attenzione, ti ho dato queste informazioni perché ti rivogliamo con noi, noi ti amiamo ed abbiamo bisogno delle tue capacità come tu di sentirti parte della nostra collettività. Non respingerci."
Picard rimase impietrito cercando involontariamente la mano del drone, stringendogliela vigorosamente comprese che il legame che aveva avuto con loro in un certo senso assomigliava ad un rapporto di simbiosi, una parte del suo animo sentiva effettivamente la mancanza della voce che lo rincuorava nei momenti di sconforto, anche se ciò a livello cosciente non l’avrebbe mai ammesso.
Fu la dottoressa Crusher a riportarlo alla realtà.
"Capitano? Jean-Luc, riesci a sentirmi?"
Scuotendosi di soprassalto Picard lasciò il drone e si allontanò visibilmente turbato.
"Si dottoressa, tutto è a posto, ho avuto un momento di debolezza, ma adesso è passato."
"Preferirei visitarla in infermeria." precisò il medico per nulla convinto della risposta del capitano.
"Non ne vedo il motivo dottoressa."
"Capitano Picard in plancia, stiamo entrando in questo momento nel settore Oregon." riferì il navigatore dalla plancia.
Ritornando sul ponte Picard non poté fare a meno di ripensare alle parole del Borg, non chiese consiglio alla dottoressa al suo fianco poiché sapeva che non avrebbe potuto esprime correttamente le sue sensazioni.
Affetto? Possibile che i Borg sentissero veramente dell’affetto nei suoi riguardi?
Le porte del turboelevatore si spalancarono facendo scemare le sue riflessioni, la situazione era grave, e quello non era certo il momento per porsi delle domande sulla natura del nemico.
Prese posto sulla poltrona di comando e domandò.
"Situazione, tenente Harrison."
"Nulla da segnalare capitano, i sensori stanno scandagliando l’intero settore alla ricerca di qualsiasi anomalia, ma fino a questo momento non stanno rilevando niente di strano." rispose l’ufficiale tattico controllando per l’ennesima volta il monitor.
"Allarme giallo, stato di preallarme su tutti i ponti." ordinò Picard mentre le luci della plancia mutavano simultaneamente colore.
Trascorsero diverse ore, l’Enterprise pattugliava la zona senza sosta alla ricerca di un segnale che indicasse l’arrivo della forza d’invasione Borg.
Picard non abbandonò mai la sua postazione, controllò e ricontrollò i rilevamenti nella speranza che il drone in cella d’isolamento non gli avesse fornito delle false informazioni.
Una labile distorsione iniziò a formarsi nei pressi di una stella rossa, era simile ad un mulinello d’energia che avvolgeva la zona facendolo risplendere l’astro di una luce irreale.
I sensori dell’Enterprise la localizzarono immediatamente, dopo una correzione di rotta sullo schermo principale il gorgo iniziò a tramutarsi in un pozzo gravitazionale sempre più esteso.
"Rapporto." ordinò Picard affascinato da quel fenomeno sinistro ed seducente.
"Sembrerebbe una frattura subspaziale, i sensori stanno scandagliando il suo interno e…capitano, in questo momento stiamo ricevendo delle nuove letture, indubbiamente si tratta di un tunnel ed al suo interno…si esatto, un cubo Borg sta per uscire dall’insenatura." rispose concitatamente l’ufficiale riportando i dati della telemetria.
"Una sola nave?" esclamò incredulo Picard.
"Si capitano, un solo cubo, sarà a portata visiva fra quindici minuti."
"Allarme rosso, tutti ai posti di combattimento! Tenente, chieda rinforzi alla Base Stellare e li informi delle nostre scoperte." precisò Picard non fidandosi per nulla di quella strana strategia d’attacco.
Girò la poltrona verso il navigatore ed incrociò lo sguardo inespressivo del giovane tenente Vulcaniano.
"Signor Solok, inserisca una rotta a spirale intorno all’apertura e ci mantenga ad una distanza costante di trecento chilometri, pronto ad eseguire una manovra evasiva al mio comando."
Mentre riceveva conferma dal navigatore invidiò la sua impassibilità di fronte al pericolo imminente, in effetti la logica natura Vulcaniana in quella circostanza gli sarebbe stata molto utile, evitando di sentirsi così a disagio al solo pensiero di dover affrontare nuovamente i Borg in battaglia.

Claudio Caridi
(continua)

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