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Il respiro del diavolo (Whisper)

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In effetti probabilmente non c’era bisogno di un’altra recensione di questo film del 2007 del giovane regista Stewart Hendler. Il respiro del diavolo ha già sul web una nutrita schiera di commenti più o meno competenti, tutti o quasi che oscillano tra il disprezzo e l’insulto. Critiche che, confrontando questa pellicola con tante altre dello stesso genere, ne sottolineano i limiti di trama e varie scelte discutibili anche di regia o di casting. Si salva, dicono i più, giusto la fotografia di Dean Cundey, e l’interpretazione di Michael Rooker. Quindi non starò qui a sottolineare i problemi che rendono questo titolo abbastanza penoso (almeno per due terzi della durata) – perché se volete conferme in tal senso vi rimando volentieri a quanto scritto ad esempio da cinemahorror.it – ma vi dirò piuttosto perché, se avete poco meno di un paio d’ore di tempo, e un po’ di coraggio, può valere comunque la pena guardarlo.
Motivo numero uno: perché tra i protagonisti ci sono Josh Holloway e Sarah Wayne Callies, ovvero il bel Sawyer di Lost e l’improbabile Sara Tancredi di Prison Break. E, per chi è appassionato di entrambe le serie, vedere come si muovono gli attori che apprezziamo al di fuori dei loro personaggi abituali è un esperienza quantomeno curiosa. Sappiate però che Sawyer rimane così tanto Sawyer che è spesso a torso nudo, nonostante che il film sia ambientato a Natale nel Maine, e che la nostra Sara, al di là di una inutile scena sotto la doccia, ha la stessa espressione un filino tossica che ha in PB. E questo non fa ben sperare per loro futuri ruoli di primo piano – ma potrei anche sbagliarmi.
Motivo numero due: perché è davvero bello scoprire cosa può realizzare (in America) un trentenne che vuole fare il regista, dopo essersi fatto conoscere grazie ad un (bel) cortometraggio e a una pubblicità progresso. Alla fine, ok, il film ti fa continuamente esclamare “ma dai!” e non ha spesso il ritmo giusto ed è pieno di spunti che potrebbero anche essere interessanti, ma che sono proposti in un modo così forzato che non si riesce neppure a rabbrividire un secondo neanche impegnandosi. Ma poi pensi a questa cosa, e se riesci a relativizzare la situazione, dimenticandoti cioè che questo è un film uscito nelle sale, con attori “costosi”, ti rendi conto che, come opera “amatoriale” non è affatto male. Anzi. Alla fine gli effetti speciali non sono male, la fotografia (come dicono tutti) da punti, ci sono scene complesse ben girate, e qualche passaggio nella trama e nel background che può in effetti colpire. Il bambino tra l’altro è perfettamente nella parte e qualche dialogo (o almeno l’idea che ci sta intorno) lascia un buon sapore. Poi l’idea del bambino rapito, che riesce a sbilanciare le dinamiche del gruppo dei rapitori insinuando dubbi e sospetti, che si diverte a dipingere sui muri (come in Heroes…) il tragico futuro delle persone che gli stanno intorno, che è, insomma, l’angelo del male, in astratto regge. E c’è anche un discreto finale che “ribalta” la prospettiva più ovvia. E ci sono i lupi, il ghiaccio, la foresta. Insomma, qualcosa di buono c’è – comprese le immancabili stoviglie che volano per la stanza, la partita a scacchi con pezzi che non ce li ha neanche l’Hobby&Works – sì, dai, qualcosa di buono c’è.
Motivo numero tre: (lo aggiungo nel caso ancora non vi avessi convinto a dare una chance a questa pellicola) guardate in giro quanti rumors ci sono su quest’opera – non vorrete mica, alla fine, essere gli unici che non possono parlar male de Il respiro del diavolo solo perché non l’avete ancora visto, eh?

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