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The Raveonettes – Pretty in black

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Copenaghen propone qualcosa di estraneo all’esistenzialismo, alla critica più cruda e spietata dell’umanità, dei sistemi politici, dei vezzi delle classi sociali? Copenhagen vira sul disimpegno? Con buona pace degli artisti contemporanei danesi più radicali – non voglio dare un’immagine da cartolina: abbozzo una panoramica, per intenderci, spaziando dal cinema alla letteratura: von Trier , Vinterberg , Per Fly , Sonnergaard – The Raveonettes vanno incarnando qualcosa di decisamente estraneo allo zeitgeist del loro popolo: mescolano Buddy Holly e Jesus & Mary Chain , gli Everly Brothers e i Sonic Youth – nell’estetica di Sune Rose Wagner – e Roy Orbison .

Cosa può derivarne?

Qualcosa di assai vicino all’idea di “ musica di concetto (e) di tendenza “. Confezionata con grande stile e grande intelligenza, l’uscita di un prodotto come “Pretty in Black” può – in linea teorica – sposare il gusto dei nostalgici delle sonorità pop e rock anni Cinquanta-Sessanta con lo shoegaze più accessibile e un’aggressività che non sfonda i muri, ma scalfisce i poster.

Appunto per questo, non possiamo negare che siano gradevoli: leggerotti, paraculi quanto basta, figli d’un’ambizione di mainstream e non di maelstrom, sono a un passo dal divenire teenage idols e tuttavia non possiamo chiamarli “venduti”. Non scrivo accecato dalla bellezza di Sune Wagner: ho lasciato che passasse qualche settimana dal concerto tenuto a Roma, nel Circolo degli Artisti, proprio per superare la “sbronza estetica” e accettare l’idea che abiti a qualche chilometro da qui. Non sono un groupie. Non scrivo nemmeno a pochi giorni di distanza dalla prima serie di ascolti. Ho lasciato che “Pretty in Black” mi accompagnasse in diversi contesti, e in diversi frangenti.

Prima suggestione: è difficile che non piaccia alle masse. Basta che circoli.

Prima convinzione: è un prototipo di “disco da festa”. Fossi adolescente, non mi presenterei a casa di amici senza un album come questo, aperto a un rock di superficie tutto riff assassini e sensualità ( Love in a Trashcan ) e al contempo non immune ai lenti pomiciosi ( If I Was Young ).

Cosa c’è che non va? Tutto il resto. Senza confezione, senza coscienza di volersi divertire con qualcosa di “intelligentemente facile”, senza percezione della bellezza della Wagner, questo album non ha senso: non è evoluzione, non è sperimentazione, non è ricerca: è variazione su una serie di pattern, giocattolo postmoderno e accattivante, tecnicamente decoroso senza mai scintillare. Compratelo se avete intenzione di regalarvi un po’ di piacevole cazzeggio e qualche emozionante serie di reminiscenze – in questo caso, se volete regalare qualche ora di nostalgia ai vostri genitori, il gioco è fatto.

Qualche nota sui brani. Incipit è The Heavens , che suona come fosse un vecchio 45 su un vinile a un passo dalla fossa: Sharin Foo canta più di coglioni che di gola; l’ascoltatore si trova rovesciato in un quadretto americano demodé, più country che pop: l’ascoltatrice dovrebbe battere forti e rapide le ciglia e tirare su col naso. Finisce qui. Sempre nel genere strappamutande integrerei Seductress of Bums , a un passo dall’analogia con Earth Angel di Marvin Berry: Back to the Future, part IV. Sedili reclinabili di una vecchia macchina americana: se potessero scrivere musica, sono convinto sarebbe questa. Dubbi in proposito? Ascoltate Here Comes Mary . Drive-in, popcorn, gonne al ginocchio, maglioncino bianco, giacchetta a vento, coprifuoco alle ventitre. Ecco fatto. E qualcosa di vicino ai vecchi The Ronettes: Ode to L.A. mostra molta riconoscenza nei confronti di Be my Baby .

Sleepwalking, Twilight o My Boyfriend’s Back sono adeguati esempi dell’altra anima dei Raveonettes; decisamente più rock e contemporanea, adrenalinica e talvolta shoegaze, senza mai concedere nulla all’estremismo e al punk o al postpunk, assicurano all’ascoltatore che cinquanta anni non sono passati invano. Niente di memorabile, ma nemmeno di sgradevole. Analogo discorso vale per la ballatona Uncertain Times .

Momenti migliori del disco? Al di là del singolo-traino, Love in a Trashcan , io voto per Red Tan e per You Say You Lie . Pezzi lineari e piacevoli, trascinanti e capaci di creare un’atmosfera disimpegnata e brillante. Da gran festa di marmocchi, più ormoni e buone intenzioni che altro; erotici ed evocativi, The Raveonettes sono una band da struscio compiaciuto. Con una confezione molto azzeccata. Etichetta: Columbia. Qualcosa vorrà dire.

Sintonizzatevi su mtv tra un paio di mesi e capirete al volo.

THE RAVEONETTES

Sune Rose Wagner : chitarra, voce.

Sharin Foo : basso, voce.

DISCOGRAFIA ESSENZIALE e BREVI NOTE

Pretty in Black , Columbia, 2005.

The Chain Gang of Love , Columbia, 2003.

Whip It On , Columbia, Ep, 2002.

Copenaghen, Danimarca, primi anni del nuovo secolo: nascono i Raveonettes.

Approfondimento in rete : All Music / sito ufficiale dei Raveonettes / Musical news (concerto al Circolo degli Artisti, 2005) / Pitchforkmedia .

(Foto di Fiamma Franchi . Circolo degli Artisti, 2005)

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