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Intervista con Marco Colonna

9 min read

OFFERING
Playing the music of John Coltrane
(Niafunken – Setola di Maiale, 2021)

Song of Praise
My favourite things
Ogunde
Giant Steps
Offering
Naima
Wise One

All music by John Coltrane
except “My favourite things” by Oscar Hammerstein II / Richard Rodgers
Marco Colonna: clarinetto basso e sax sopranino
Registrato dal vivo nella Chiesetta di Santa Maria delle Grazie
a Castions di Strada (Udine)
il 4 ottobre 2020

https://marcocolonna.bandcamp.com/album/offering-playing-the-music-of-john-coltrane

www.marcocolonnamusic.com

www.marcocolonna.bandcamp.com

https://www.patreon.com/marcocolonna

Precedente intervista: https://kultunderground.org/art/38653/

Intervista

Davide 

Ciao Marco e ben ritrovato su queste pagine. Perché dunque John Coltrane?

Marco 

Rocambolescamente. Pare che il progetto su Coltrane abbia una vita legata alle “commissioni”. Nel 2018 un piccolo spazio di Roma mi aveva commissionato un concerto dedicatogli, e nel 2020 Gabriella Ceccoti (direttore artistico di Musica in Villa) ha voluto riproporlo. Molto differenti i programmi, in questo concerto del 2020 il lavoro su Coltrane è stato più profondo e meditato. 

Davide

Come hai scelto il materiale per questo tuo lavoro, per seguire quale percorso ideale e nondimeno più tuo personale?

Marco

Per questo concerto ho lavorato molto. Ho scelto i brani privilegiando quelli che stimolavano la mia immaginazione creativa, cercando anche il pericolo di approcciare brani associati a linguaggi molto distanti dai miei. Ma nel materiale di Coltrane ho trovato talmente tanto su cui riflettere che non ho faticato a trovare una chiave vicina alla mia sensibilità. Alcuni brani sono nel mio repertorio da anni, altri aspettavano da tempo di trovare una chiave per essere interpretati. Giant Steps è stato una sfida ponderata e che ha coinvolto molto la mia idea di elaborazione e trasformazione.

Davide

C’è una ragione per non avervi incluso anche qualcosa di “A love supreme”, ritenuto il suo capolavoro e un caposaldo del jazz, nonché il suo disco più venduto?

Marco

Sono cresciuto ascoltando A love Supreme. Lo considero una delle punte assolute della musica di tutti i tempi. Ma non riesco a pensare quel materiale senza il suono di quel gruppo. E non credo ci sia bisogno di reinterpretare un lavoro tanto “sintetico”. Ogni suono di quella registrazione è necessario e assoluto. Non trovo stimoli nell’interpretarlo, ma ne trovo infiniti ogni volta che lo riascolto.  A volte, credo, ci sia bisogno di non pretendere di poter fare tutto, e credo che non ci fosse assolutamente il bisogno di toccare A Love Supreme. 

Davide

Coltrane è stato considerato il più grande sax tenore. In che modo hai lavorato con il sax sopranino e con il clarinetto basso sulle note pensate e suonate da Coltrane invece con un sax tenore, quindi sulle sue sonorità e sul suo stile peculiari con quel preciso strumento? Suonare Coltrane ha aggiunto qualcosa di nuovo per te nell’esplorazione dei tuoi strumenti?

Marco

Ho sempre considerato Coltrane il più grande musicista che il jazz abbia saputo produrre. Come suono è assolutamente peculiare il suo stile, ma la cosa che mi affascina da sempre, è il suo rigore, la sua continua ricerca di esprimere, attraverso l’eccellenza, una visione più alta della musica.
È ovvio che ci siano delle risonanze strumentali fra il clarinetto basso ed il sax tenore e fra il sax sopranino ed il soprano. Come ci sono anni di studio del suo stile nella memoria fisica delle mie mani. Lavorare a fondo sui brani però ha creato una forte emancipazione da tutto quello che è stato il mio rapporto con Coltrane. Ho sentito un legame forte e saldo con la sua musica, ma anche molta libertà e “identità”.

Davide

I famosi Coltrane Changes eccetera… Coltrane è stata una pietra miliare anche nella storia dell’improvvisazione del jazz, soprattutto modale. C’è una tua parte di improvvisazione in queste riletture? Quanto hanno contribuito la sua ricerca e il suo metodo in questo senso nel tuo approccio all’improvvisazione più in generale?

Marco 

Io sono un improvvisatore. Totalmente e senza compromessi. Sono convinto che l’improvvisazione sia uno strumento compositivo potente. E agire attraverso di essa nell’interpretazione del repertorio altrui è un attingere a delle risorse che sono mutevoli e vivono nel momento. Questo approccio si lega agli spazi performativi, al contatto con il pubblico, alla relazione fisica con gli altri. 
In questo mi sento distante anni luce da Coltrane. Leggendo le sue interviste ritorna perennemente la sua necessità di controllo dei materiali, il suo intendere i percorsi di emancipazione dagli schemi ritmici e armonici del Jazz a lui contemporaneo come “esplosione” degli spazi a quel punto incapaci di contenere le sue idee. Per me l’improvvisazione riguarda l’accettare il fatto che non si può controllare niente. Si riferisce all’accogliere, all’essere inclusivi, al sorprendersi, al fallire. Trovo in questa fragilità lo strumento più potente con cui mantenere un legame fra la musica e lo spirito, fra l’agire ed il sentire e soprattutto fra il senso ed il suono. Mettere questo a servizio della musica di Coltrane è stata la sfida principale che sta alla base di Offering.

Davide

Naturalmente, parlando di Coltrane, non si può prescindere dalla sua spiritualità. Ci sono diversi modi di intendere la musica e diversi modi di intendere la spiritualità, quindi il rapporto tra musica e spiritualità: qual è il tuo più personale? Come hai affrontato questo aspetto così pregnante e intenso in Coltrane e con i suoi motivi ispiratori?

Marco

La mia è una spiritualità legata al rito della musica. Al dare al pubblico qualcosa su cui trovarsi, interrogarsi, andare in crisi, lavorare insieme per edificare una visione comune. 
Dare il peso a questo legame e a quello che tutto questo ha con l’ambiente, penso sia la base anche della spiritualità di Coltrane. Che da questo punto di vista rimane un faro nella storia degli esseri umani, non solo della musica. “Offrire” agli altri qualcosa che va oltre le proprie esperienze, ma che riguardi il senso stesso dell’arte, è l’unica strada per poter alimentare l’umanità, intesa come valore su cui costruire e fondare le visioni future.

Davide

Perché hai scelto una chiesa per il tuo concerto? Magari la risposta potrebbe essere semplicemente che a ottobre del 2020 suonare nei teatri non era possibile… Ma suonare Coltrane in una chiesa ha tuttavia il suo senso, specialmente da quando è stato canonizzato dalla African Orthodox Church, che gli ha intitolato la Saint John William Coltrane African Orthodox Church a San Francisco…

Marco

La risposta semplice potrebbe essere anche un’altra… Chi ha organizzato il concerto ha pensato che la chiesa di Castions di Strada fosse perfetta per omaggiare Coltrane. E devo dire che non posso che essere d’accordo. Le chiese sono casse di risonanze perfette per il suono acustico. Scopro possibilità di percezione del mio suonare che mi sorprendono e stimolano in maniere sempre nuove. E sono il contesto perfetto per l’ascolto, dove le persone sono abituate ad andare per “ascoltare” per ricevere senso e conoscenza. Un ascolto così distante da quello che spesso si trova nei teatri, dove spesso si va per ricevere un modo per passare il tempo, o per farsi affascinare  da preziosismi superficiali e di maniera o addirittura per assistere alla dimostrazione dei livelli di testosterone di chi sta sul palco.

Davide

Tra l’altro… C’è una possibilità che il tuo sarà e resterà uno dei pochissimi dischi registrati dal vivo nello sciagurato 2020… Guccini ha detto di recente che “Non saremo migliori quando si tornerà alla normalità. Gli uomini non imparano, dimenticano”. Cosa è stato per te questo periodo e che visione hai delle sue prossime conseguenze?

Marco

La normalità… a me non piaceva la normalità. E trovo che alcune cose non siano cambiate minimamente. La gente viene sfruttata, ai lati delle strade continuano ad esserci prostitute, si muore sul lavoro, l’arte è l’ultima delle priorità dei sistemi nazionali. Questo non è cambiato ed era la normalità. E lo è ancora. Oggi lo stato di emergenza è usato a nostra tutela, ma anche come strumento di controllo. La salvaguardia della nostra salute ci impone di non vivere. E questo non vivere sta segnando solchi profondi.  Solchi da cui sarà difficile uscire senza riportare ferite le cui cicatrici saranno visibili per anni. Io ho vissuto varie fasi in questa pandemia, la prima di enorme concentrazione sul lavoro e la pratica, poi ho avuto il Covid. E sebbene in maniera paucisintomatica, ha influito su molte cose. La mia relazione con gli altri, la mia relazione con il respiro e la “forza” , il mio ruolo in tutto questo. Ora vivo la fase di profonda attenzione sulla mia materia. Studio, penso, produco, ma con un’energia ed una chiarezza del tutto nuova per me. Sono entusiasta, ma assolutamente critico nei confronti di varie realtà che si stanno delineando. Sicuramente sono affranto per il numero di spazi indipendenti che non riapriranno. una perdita incalcolabile per i territori più lontani dai grandi centri. 

Davide

“Il mio compito di musicista è trasformare gli schemi tradizionali del jazz, rinnovarli e soprattutto migliorarli. In questo senso la musica può essere un mezzo capace di cambiare le idee della gente.” Così in Coltrane. La musica può per te essere un mezzo per cambiare qualcosa nelle persone o in una società? Quali valori cerchi di trasmettere attraverso la musica, il suono?

Marco

Credo che la musica sia importante. Mette insieme il canto delle nostre origini con le architetture intellettuali più raffinate. Anima il momento e costruisce una ritualizzazione che coinvolge musicisti e pubblico. Nella musica improvvisata si accoglie il contesto, la casualità, si professa l’ascolto e il rispetto dell’altro. Trova, nella particolarità di ogni singolo, alimento per un percorso comune sempre nuovo e votato alla costruzione, alla trasformazione e al movimento. Rifiuta il limite del tempo, trasformando ogni singolo istante in una possibilità. Più di questo per cambiare una società, io non so fare.

Davide

Cosa seguirà?

Marco

Ho registrato un lavoro dedicato alle Città Invisibili di Italo Calvino. Un nonetto. Sarà un libro, un lavoro musicale, un lavoro fotografico, qualcosa di pretenzioso ma in cui molto del mio essere attuale sarà testimoniato. Un lavoro di interpretazione di Treatise di Cornelius Cardew insieme a LEG (coppia di video maker che hanno a loro volta interpretato la partitura) e continuano le mie collaborazioni e cerco di stimolare incontri sempre nuovi, o approfondire quelli che sono stati fin qui. Qualche concerto in vista, la ripresa di un lavoro teatrale dedicato a La Rosa Bianca che finalmente riesce a debuttare in Italia dopo un anno e mezzo dalla prima messa in scena a Cracovia, e la speranza di poter ricominciare ad “abitare il transito”. Il viaggiare, l’incontrare, il parlare e suonare per le persone, mi manca. Manca alla mia quotidianità. Ma il futuro è pieno di possibilità. E dove non ce ne sono, verranno costruite.

Davide

Grazie e à suivre…

Marco

Grazie a te

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