L’estetica del ralenti. La cifra stilistica più intima del cinema di Wong Kar-Wai.
Il regista di “In the mood for love“, dopo lo straordinario, affascinante capolavoro del 2000, già a partire dal successivo “2046” ha suscitato lo scetticismo anche di alcuni ammiratori, per lo stile tanto ricercato da prestarsi facilmente ad esser frainteso per manierismo.
Anche in questo film, Wong Kar-Wai fa un uso quasi estenuato di alcune sue “forme” divenute tipiche. La ricercatezza e raffinatezza di inquadrature e movimenti di macchina sempre estremamente originali, discreti ed eleganti. I colori accesi e i forti contrasti cromatici di una fotografia che più incantevole non si può. La colonna sonora suadente, ipnotica, magmatica. Il ralenti, che reitera i gesti e sospende i momenti. Un lirismo visivo e uditivo che rischia di apparire fine a se stesso. Wong Kar-Wai è solo un pittore, un esteta? Se si rispondesse affermativamente a questa domanda, si giungerebbe inevitabilmente anche a ridimensionare il valore di “In the mood for love“, film che a mio giudizio è entrato nell’empireo del cinema per la capacità di raccontare l’inespresso, l’inesprimibile dei sentimenti, attraverso ellissi e un’ipnotica sospensione dei tempi, della storia e delle relazioni. I due protagonisti di quel film indimenticabile vivono una appassionante storia d’amore “che non c’è”. Non si amano espressamente, non si dichiarano, eppure la passione che li lega è evidente quanto è inespressa: e il loro amore, forse proprio perché mai concretizzato, resterà, segreto, immortale come il finale suggerisce. Una lirica elegia sull’immortalità dell’amore, quasi che il sentimento cui non si è data compiutezza sia l’unico destinato a caricare di significato tutta la vita, restando sospeso e come fuori dal tempo nella sua inespressa e inesprimibile purezza.
Wong Kar-Wai non mi pare solo un pittore. Non mi pare rimasto prigioniero della propria estetica, vittima della coazione a ripetere il suo personalissimo concetto di “bello”.
In “My blueberry nights” (tradotto con l’ignobile titolo “Un bacio romantico“), il regista di Hong Kong approda negli Stati Uniti portando all’estremo un aspetto particolare della sua estetica: il ralenti. Il film è un viaggio dentro l’anima malinconica della solitaria Elizabeth (interpretata da una esordiente Norah Jones capace di restituire con l’impaccio della sua non professionalità di attrice l’impaccio di un momento esistenziale di una donna). Un road movie di un anno attraverso le distanze dell’America e nella sospensione di un’esistenza interrotta insieme a un amore finito: una sospensione prima di un nuovo inizio. Il ralenti è usato con tale insistenza, da divenire espressione dello stato di sospensione emozionale di questa ragazza dall’animo bluesy.
Il blues, la malinconia. To be blue, esser malinconici. Il blues, la musica di Norah Jones, autrice anche di brani della colonna sonora, insieme a Cat Power, altra blues-singer. La colonna sonora è firmata anche da un altro bluesman, Ry Cooder. Non posso fare a meno di pensare che il mirtillo sia stato scelto, per la torta e per il titolo, per via del suo nome inglese che contiene il blue. “My blue(berry) nights“…
Questa estetica del ralenti veicola una poetica incentrata sulle distanze fra le solitudini individuali e sulla possibilità di colmarle, queste distanze. Sono personaggi solitari vittime di separazioni, distanti dai propri affetti, i personaggi con cui Elizabeth si confronterà lungo le tappe del suo viaggio: un viaggio scandito da un indicatore dei giorni e dei chilometri che la dividono da New York e da Jeremy, quel barista interpretato da Jude Law, che è rimasto lì ad attenderla. L’inesprimibilità della solitudine interiore, ma insieme la possibilità per le anime di trovare un soffio – inesprimibile – di contatto e comprensione: questo è al centro della poetica di Wong Kar-Wai, questo è il “suo” tema. Esso permea “In the mood for love” come le altre sue opere. “My blueberry nights” ne approfondisce l’aspetto della sospensione, soffermandosi su quel momento in cui un’esistenza si pone in stand by, attende di ricominciare, in una parentesi fra una fine e un nuovo inizio. E lì, in quella parentesi, scopre nuove prospettive sulla vita, e sulle vite degli altri: scopre le solitudini degli altri, e si pone in ascolto di esse. E tramite questo viaggio fra le distanze e le separazioni, trova la forza emozionale di ricominciare a vivere, a credere e a sperare nell’amore. Nella possibilità che due solitudini possano fondersi, come il gelato, sciogliendosi, si fonde alla marmellata di mirtilli, nel finale in cui Elizabeth bacia Jeremy. Forse è solo un altro sogno, ma è un nuovo sogno: e a differenza del vagare malinconici, regala un nuovo entusiasmo, e con esso forse un senso, alla vita.