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Thai Elephant Orchestra (Insolita Musica)

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Gli elefanti asiatici hanno ormai imparato a fare quasi ogni umana cosa. Addomesticabile, intelligente, più pacifico dell’indomabile e selvaggio cugino africano, l’elefante asiatico è da sempre compagno prezioso (ma anche schiavo operaio) delle popolazioni locali.

Pacifico… “Murst” a parte (che in lingua hindi significa “intossicato” “folle”), il ciclo annuale dei maschi in cui gli alti livelli di testosterone nel sangue – fino a 60 volte di più della norma – portano il pachiderma a diventare terribilmente aggressivo. Basta saperlo.

Elefanti al circo, elefanti per le battute di caccia (un tempo alla tigre), elefanti da trasporto, elefanti da fatica e ausilio nei lavori più pesanti, elefanti da guerra, elefanti al soldo dei ladri di teak, elefanti che giocano sport come la pallacanestro o il calcio, elefanti pittori, elefanti sacri (a Buddha, che prese le sue sembianze per scendere sulla Terra), ed elefanti profani e profanati, cacciati, oltraggiati…

Si può dibattere circa il senso prevaricatore o meno dell’addomesticamento e del solito antropocentrismo da baraccone, ma non si può mettere in discussione quanto meno il profondo rispetto che a loro si porta da quelle parti. In fondo anche i cani e i gatti fanno vita innaturale nei nostri appartamenti e sono innaturali quando ci deliziano con i loro accattivanti comportamenti condizionati, ma questa è un’altra storia. Infine c’è dell’affetto, una naturale intelligenza emotiva che pure ci accomuna e che ci fa incontrare su una qualche terra di mezzo, che siano cani, gatti o elefanti.

L’elefante è il simbolo stesso della Thailandia. Qui gli è stato dedicato un giorno di festa: è il Surin Elephant Roundup a Surin.

E in Thailandia, alla schiera già numerosa di elefanti tuttofare, oggi si aggiunge quella degli elefanti musicisti della Thai Elephant Orchestra. Dave Soldier e Richard Lair hanno costruito appositi strumenti musicali a corda, a percussione e a fiato e, come veri mahouts, hanno addestrato alcuni elefanti a suonarli. Sono dieci elefanti del Thai Elephant Conservation Center, maschi e femmine: Phong, Mae Kot, Aet, Jo Jo, Chapati, Prajuab, Prathida, Luuk Khang, Tao e Wanalee. Il più giovane ha 4 anni, il più anziano 18 (ma intanto il tempo passa e non posso garantire la fedeltà delle età appena riportate). Non sono escluse nuove reclute e l’introduzione di nuovi strumenti. Per ovvie ragioni, sono invece escluse le tournée. Quindi o si va ad ascoltarli sul posto a Lampang oppure si può acquistare un buon disco: Elephant rhapsodies (Mulatta records MUL 009).

www.mulatta.org

 

Lo scopo è nobile: quello di fare spettacolo e turismo per raccogliere fondi che aiutino il progetto di tutela dell’elefante thailandese, ridottosi oggi a 3000/4000 esemplari. 14.000 se ne contavano ancora negli anni Cinquanta. La gravidanza di un elefante dura dai venti ai ventidue mesi e al massimo nascono due piccoli. Si dovranno attendere quindi molti decenni prima di ristabilire un minimo di riequilibrio demografico.

Ma veniamo al disco. Vi dirò che ha un suo senso. Gli elefanti della Thai Elephant Orchestra suonano ciascuno un suo strumento, su cui sembrano essersi quindi “specializzati”. Non suonano a caso, ma ubbidendo ai comandi umani che li dirigono. Ho ascoltato molta musica d’avanguardia per percussioni e vi assicuro che questa non è poi così diversa. Il disco è diviso in tre sezioni. La prima è musica eseguita da soli elefanti, la seconda invece da uomini ed elefanti insieme. La terza parte racchiude alcune tracce di brani musicali dedicati agli elefanti e si conclude con il primo movimento della Pastorale di Beethoven suonata da orchestrali umani insieme alle percussioni degli elefanti opportunamente dirette. Qualche purista storcerà il naso, altri liquideranno lapidari il tutto come una opinabile operazione commerciale, anche un po’ kitsch. Invero la musica è affascinante, può allinearsi a molti buoni lavori d’avanguardia o di sperimentazione minimale senza scadere mai in trucchi di cattivo gusto, né altro ad effetto. Per la stessa ragione mancano barriti e altri versi pseudo-canterini (se non che qualcuno ogni tanto del tutto casuale), né sono stati fatti taglia e incolla in studio, ma è tutto rigorosamente suonato e registrato dal vivo o, come meglio si dice in gergo tecnico, in “presa diretta”. Se poi è vero, come pare sia vero, che l’elefante è l’animale più intelligente tra gli animali tutti (è capace di riconoscersi allo specchio), resta poi anche il fascino di chiedersi come percepisca la musica e quanto o meno ne se ne diletti.

Altro capitolo interessante è quello della strumentazione adottata per questa singolare orchestra. Molti strumenti sono mutuati dalla tradizione thailandese, ma hanno subito opportune trasformazioni per poter essere suonati dai grandi mammiferi. Come il “Lowboy”, una sorta di cimbalo azionabile con le zampe, il renat, che è un tipo di xilofono indigeno, l’angalung, sorta di grande balafon, campane tubolari, gong, armoniche, tamburi, piatti, flauti di canna in pvc e perfino un paio di strumenti a corde pizzicate (dalla versatile proboscide, ovviamente): una specie di contrabbasso a quattro corde e un tambura con sei corde di violoncello.

Comunque la pensiate, vale la pena di ascoltare, aiutando insieme la causa del Thai Elephant Conservation Center e, in ogni caso, meglio questa comunione artistica e creativa che molto altro.

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