“Sì, non avevo più speranza di salvarmi.” – dice la maschera vuota. Un faro di luce la illumina e al solo nominare dei bombardamenti della guerra il batterista incalza sempre più velocemente fino a quando… la storia di un Pulcinella ormai passato si interrompe: il “Signor Barone è ormai lontano”, l’attore si mette la maschera ed ecco che inizia una nuova storia, la storia di Ernesto: vittima di una Napoli corrotta, dove la xxmorra si gioca tutti i giorni e la giocano i più bari.
Il racconto ricamato di lazzi e sberleffi è un’elegante ring composition (composizione ad anello) all’interno della quale una storia amara viene resa famigliare alle nostre orecchie dalle citazioni della stampa. L’attore: Roberto Capaldo, accompagnato da suggestivi ritmi percussivi di Simone Di Bartolomeo, si muove con precisione su ogni singola pulsazione ritmica, il movimento è diviso in gesti frammentari e pantomimici, tutto il corpo partecipa all’azione e segue linee precise di estensione. Ma non è mai troppo scomposto, al contrario è armonico e partecipa pienamente ai movimenti tradizionali della maschera di cui si fa portatore: Pulcinella. Pirotecnico, snodato e disarticolato cade e si rialza, piroetta e salta ed esce anche da se stesso: Capaldo ci propone la sua immagina riflessa in altri e ancora altri personaggi senza mai compiacersi del suo essere attore, bensì lasciando che le drammatis personae siano al centro di ogni finzione e dell’immaginario dello spettacolo: a partire da Pulcinella, per passare al “Professore” (così detto Raffaele Cutolo, ideatore e firmatario del manifesto della Camorra) per finire con l’immagine più suggestiva di tutta la rappresentazione, quella della “Vecchierella” ovvero la cara è vecchia Morte… Questo personaggio, che ci viene presentato alla fine dello spettacolo quando Pulcinella lo incontra per la sua strada, è la rivelazione più sconvolgente perché sembra venire fuori da un mondo lontanissimo, una tradizione persa nei secoli: arriva nel profondo dell’immaginario psichico. E per farlo Capaldo si è servito della solita maschera messa però sul capo coperto da una bandana nera. Muovendo la testa ci da l’impressione che la maschera sia viva, e grazie alla compostezza delle mani che descrivono però degli atteggiamenti fantastici, ricalcando movenze mimiche anti-naturalistiche, ci presenta una Morte con la testa incassata nelle spalle, le mani aperte a ventaglio di fianco le orecchie o – sempre a ventaglio – sopra un mobile o ancora snodatissime si intrecciano tra loro, costruendo un personaggio che va al di là dell’essere umano e che è caratterizzato da un antropomorfismo mostruoso e deforme. Mozzafiato.
Ed è allora che l’attore conclude questo spettacolo-denuncia. Denuncia di associazioni a delinquere internazionali dure a morire e spietate nello spargere sangue a volte innocente, e denuncia dell’imprenditoria edilizia assecondata dal laissez faire corrotto dei politici di turno (Scampia è la località più nominata con i suoi “modernissimi complessi residenziali”: “Le Vele di Napoli”, “Le case dei Puffi”… e lì vicino la zona di Secondigliano). La scenografia è minima e descrittiva: esplicazione visiva delle parole di Pulcinella e in questo e non solo (per esempio anche nel disegno luci) la regia di Fabrizio Di Stante è coinvolgente e emozionante.
Poi lo spettacolo finisce “e allora capisci che questa è una guerra e dove c’è guerra non c’è speranza”.
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