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Torino 2007 – L’anno di Moretti

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È indiscutibile che quest’anno ci fosse molta curiosità nel vedere all’opera Nanni Moretti come direttore di questo XXV Torino Film Festival, e probabilmente molti suoi detrattori lo aspettavano al varco pronti alle critiche più pungenti. Al di là di quello che ognuno di noi può pensare, il Festival 2007 è risultato vincente, con molti momenti di ottimo cinema.
È stata sicuramente fra le migliori edizioni cui io personalmente abbia assistito, e quella necessità di rinnovamento che dopo le ultime due edizioni era parsa inevitabile, per proiettare il Festival di Torino sempre più in alto a livello nazionale, ha superato ogni aspettativa. Ovviamente Moretti non ha fatto tutto da solo, la struttura delle precedenti edizioni è rimasta tale, ma la “presenza romana”, quest’anno, più che in passato, si è fatta sentire.
L’immagine degli ultimi anni del Festival di Torino era quella di una preziosa stanza, ricca, nobile ed intellettuale, ma un po’ polverosa, in disordine e decadente. Moretti ha avuto il merito di aprire la finestra di questa stanza, e di liberarsi di oggetti ormai ingombranti che ne limitavano l’aria e la luce. Io credo che tutta la metafora del rinnovamento avvenuto in questa XXV edizione, possa essere visualizzata nel cambio della sigla di apertura delle pellicole proiettate.
La precedente analizzava i fotogrammi di una pellicola bruciata e rovinata che si apriva, con un sinistro rumore di “morte” e di irrimediabile recupero, l’odierna è un susseguirsi di ricordi cinematografici, un tripudio di colori e immagini anche psicadeliche, dove curiosamente la prima sequenza rappresenta la figura storica del Nosferatu di Murnau che si dissolve alla luce del sole aprendo una finestra. Ovviamente, non è stato eliminato tutto quel che di buono le edizioni passate hanno saputo offrire. Le retrospettive rimangono saldamente un punto imprescindibile del Festival Cinematografico di Torino, quest’anno ancora più ricche con la presenza di Wim Wenders che ha introdotto ed accompagnato la rassegna a lui dedicata. L’altra, egualmente importante, è stata dedicata a John Cassavetes.
Anche lo spirito giovane, che da sempre ha contraddistinto questo Festival, è stato rispettato, con le inalterate sezioni “Italiana.Doc”, “Italiana.Corti”, “Spazio Torino”, pronte ad ospitare le idee di chi getta uno sguardo fresco verso i problemi che ci circondano. Sono state tagliate quelle sezioni, che per la loro specificità, o rappresentavano un genere di nicchia (cinema horror) troppo ingombrante per un Festival proiettato a livello nazionale con esigenze cinematografiche a 360°, oppure limitavano lo sguardo solamente in un area cinematografica geograficamente limitata, come la storica “Americana”, dove però il carattere nazionale costringeva a selezioni a volte con caratteristiche di puro riempitivo. Nell’edizione 2007, aver proposto sezioni aperte, dai nomi fin troppo evocativi, “Lo Stato delle Cose”, “La Zona”, ha sicuramente imposto meno vincoli, praticamente nessuno, ricercando solamente cinematografie di qualità, in forme espressive anche molto differenti. Ma al di là della differente organizzazione del Festival, quello che si è osservato notevolmente quest’anno, è la qualità dei lavori proposti, con “Anteprime” nazionali provenienti dai maggiori Festival Internazionali (Wong Kar Wai e David Cronenberg su tutti), un “Panorama Italiano” di pregio con quattro anteprime mondiali, dodici “Fuori Concorso” provenienti dalle più differenti cinematografie mondiali e con linguaggi stilistici di grande modernità, un concorso ufficiale (“Torino 25”) composto da quindici pellicole di cui ben nove opere prime.
Nello specifico, prima di addentrarmi nel segnalare le pellicole migliori da me visionate, concludo con una premessa e con un augurio. La premessa è da collocare alla presentazione del programma di questo XXV Torino Film Festival. Era subito apparso chiaro che la selezione di quest’anno sarebbe stata molto importante, al di là della presenza di Moretti come direttore, che, nota a margine, è stato molto bravo, nonostante tutti lo sapessero, a far comparire il proprio nome pochissimo e la propria presenza marginale (narciso anche nella volontà di non apparire…). È per questo che quest’anno ho scelto di prolungare il mio soggiorno al Festival, solitamente circoscritto al primo weekend, ma comunque con il grande rimpianto di non aver potuto assistere all’intera settimana. L’augurio è, soprattutto per questa edizione, di poter vedere molte di queste pellicole, soprattutto minori, nelle sale, meritorie di essere condivise da un pubblico più ampio, e nella speranza che le anteprime proposte trovino presto collocazione nei circuiti ufficiali.
A questo punto, entrando nello specifico dei lavori visionati, inizierei a segnalare tre film inseriti nel concorso ufficiale di “Torino XXV”, che hanno curiosamente in comune il tema della malattia e della disabilità.
The Savages” di Tamara Jenkins (USA, 2007, 35mm, 114′), è una storia familiare, piacevolmente in equilibrio fra ironia ed amarezza. I protagonisti sono un fratello ed una sorella, che dopo un’infanzia difficile fatta di abbandoni, sono ora costretti a gestire la situazione del padre, ammalatosi ed incapace di badare a sé stesso, dopo la morte della compagna con cui conviveva da vent’anni. La pellicola descrive, con sfumature che vanno dal comico al drammatico, il rapporto intenso ed i reciproci contrasti che si creano fra i due fratelli, ma soprattutto con il padre, alla ricerca del luogo migliore in cui fargli passare i suoi ultimi giorni di vita. Bella pellicola, ben girata, con un cast di attori di grande spessore.
Il tema della malattia e della vecchiaia è stato riproposto anche in “Away From Her” di Sarah Polley (Canada, 2006, 35mm, 110′), giovane e già famosa attrice canadese protagonista di alcune importanti pellicole, come “Il Dolce Domani” di Atom Egoyan. Probabilmente proprio il lavoro con Egoyan ha influenzato questa sua pellicola, di cui ricorda lo stile (produttore tra l’altro del film). Forse proprio la visione di una donna, addolcisce un tema “fastidioso” come quello dell’alzheimer, malattia che travolge prepotentemente l’esistenza della felice coppia protagonista del film. È un percorso scandito dalla drammatica e progressiva perdita del mondo che loro apparteneva, la malattia che colpisce la moglie, ma di riflesso anche le certezze del marito, del loro rapporto veramente perfetto(?) di una vita. Atmosfere sospese, per una pellicola di grande bellezza ed umanità. Il terzo film, “Kunsten Å Tenke Negativt/ The Art Of Negative Thinking” di Bård Breien (Norvegia, 2007, 35mm, 79′) è stato una vera sorpresa, come spesso ci capita di assistere con le cinematografie nord europee. È la storia di un gruppo di appoggio, sovvenzionato dallo stato, che ha lo scopo di recuperare psicologicamente chi ha subito gravi incidenti, che li ha costretti alla sedia a rotelle od a parziali menomazioni. La guarigione, secondo la psicologa a capo del gruppo, può avvenire solamente perseguendo la strada del pensiero positivo, porsi cioè dei piccoli obbiettivi quotidiani da raggiungere e mantenere costantemente un atteggiamento ottimista, rigettando i pensieri negativi. Un giorno il gruppo viene chiamato da una ragazza il cui marito in seguito ad un incidente stradale è rimasto disabile, e non accettando la sua condizione, sta mettendo a dura prova la convivenza della coppia. La sua forte personalità, però, distruggerà le convinzioni e le certezze fino ad allora maturate dal gruppo, facendo nascere una nuova consapevolezza della loro situazione. La pellicola risulta essere geniale, comica, drammatica, ma soprattutto politicamente scorretta ed assolutamente da vedere. Così come andrebbero viste queste tre ulteriori pellicole inserite nelle altre sezioni.
Charlie Bartlett” di Jon Poll (USA, 2007, 35mm, 96′) è una brillante commedia americana sul mondo della scuola. L’argomento di per sé non è particolarmente originale, commedie scolastiche che analizzano i turbamenti adolescenziali, ne sono state girate molte. Questa è interessante perché la si può inserire in quel genere “cattivo”, dove la durezza della “società” scolastica è quasi sempre causa di traumi irreversibili e la frattura verso il modo adulto, oggetto di una satira feroce, diventa insanabile. Charlie Bartlett è l’adolescente protagonista della pellicola, ricco, di ottima famiglia, colto, intelligente, ma nevrotico e spesso infelice, costretto ora ad iscriversi ad una scuola pubblica perché cacciato per l’ennesima volta da un istituto privato. Il film ne narra le avventure nel nuovo contesto, le nuovi amicizie, i nuovi guai, insomma la propria vita. Buona pellicola, divertente ma anche riflessiva, lavoro decisamente riuscito.
Con “The Tracey Fragments” del regista canadese Bruce McDonald (Canada, 2007, 35mm, 80′), ci troviamo di fronte ad un film sperimentale, girato totalmente con la tecnica del multi-frame. La scelta, utilizzata per risparmiare denaro, ma anche per rendere il film più interessante, risulta vincente. Nonostante possa rappresentare un approccio difficile, in realtà la storia intrigante ed il montaggio perfetto, rendono la trama molto chiara e comprensibile. Protagonista anche in questo film è un’adolescente, la quindicenne Tracey, con una situazione familiare tormentata. La sua vita cambia quando il suo fratellino più piccolo scompare, e lei decide di andare a cercarlo. Coinvolgente la trama ed il personaggio di Tracey, con la variante di un approccio visivo differente dal solito.
L’ultimo film è anch’esso canadese, “Manufacturing Dissent” della coppia Debbie Melnyk e Rick Caine (Canada, 2007, Digital Betacam, 74′), anche sceneggiatori e produttori. È un documentario alla Michael Moore contro Michael Moore, dove viene analizzato il cinema del regista americano premio Oscar, accusato di omettere, nei suoi documentari, dei particolare rilevanti e di rimontare gli eventi al fine di giustificare le tesi che lui propone. Interessante e differente punto di vista da parte di chi (i canadesi), proprio il regista americano celebra in ogni sua pellicola.
Insomma Torino XXV è un’edizione da ricordare, e nell’augurio di continuare su questa strada, si auspica anche un rinnovamento delle strutture e dei luoghi del Festival, apparse proprio quest’anno inadeguate ad accogliere la massa imponente di persone (per gli standard abituali di Torino), richiamate dalla buona qualità cinematografica mostrata.

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