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Una storia ai delfini – Maria Giovanna Luini

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Maria Giovanna Luini esordisce con un romanzo breve, “Una storia ai delfini”, ed. Creativa, e decide di farlo confrontandosi faccia a faccia coi temi “grossi”, quelli davvero rischiosi, quelli che incutono timore a ogni scrittore, perché è tremendamente facile fare della retorica quando si decide di toccarli. L’amore, la morte. Il dolore, la malattia. La scrittura.
La via praticata dalla Luini attraverso queste terre pericolose è nitida, nuda, scarna. L’autrice sceglie come strumento una lingua lineare, che nomina i fatti senza eccessi, una lingua dai toni “timidi e discreti”, come efficacemente nota Umberto Veronesi nella sua  intensa empatica introduzione.
La storia di Lucia, voce narrante protagonista, ci viene raccontata con intensità trattenuta, compressa, come filtrata attraverso il cristallo spesso di una boccia di vetro. La trama intreccia alcuni snodi con la vicenda autobiografica dell’autrice (l’amore per il mare, la professione contemporanea di chirurgo e scrittrice, la morte della cara amica scultrice), e questo ci fa immaginare una grande densità emotiva della materia che la Luini tratta. Eppure la lingua riesce a rimanere fedele a questa rigorosa castità stilistica e lessicale, nell’intento di aderire il più possibile al ritratto che Lucia dipinge di se stessa: prima bambina precocissima ma quasi autistica, capace di leggere i Promessi sposi in prima elementare ma anche dedita a “trascorrere le ore di ricreazione a riflettere sull’esistenza mentre il resto del mondo si divertiva a giocare”, poi adulta dalla emotività intensa ma interrotta, bloccata prima di riuscire a manifestarsi verso il mondo, prigioniera di “un’identità che non solo non avevo chiesto ma che per troppo tempo è stata solo il riflesso di ciò che gli altri volevano da me” . L’itinerario di iniziazione attraverso cui Lucia dovrà passare, e che la vedrà spogliarsi piano piano di ogni possesso, anche quello fondamentale connesso con gli affetti più profondi, la porterà infine a trovare nella scrittura il mezzo che le permette di forare il cristallo della boccia di vetro, per portare fuori quel che dentro la infuoca: “Il taccuino è rimasto l’unico modo accettabile per comunicare: non so più parlare, e anche quando ascolto è difficile che sia capace di intervenire nella conversazione, ma scrivere recupera come per magia i miei contatti con il mondo. Condivido più oggi di quanto abbia mai fatto prima.”
E, sullo sfondo di tutto, il mare. Un mare che Lucia ha scelto come casa, dopo avere abbandonato ogni altra cosa al mondo. Un mare che l’autrice ama intensamente, e che, unico e solo, la costringe a rompere il voto di castità che ha stretto con le parole, per versare nel testo nudo onde di emozione finalmente libera di scorrere: “Ogni volta che l’ancora cade sul fondo sabbioso di questo tratto di meraviglia i miei occhi cercano i segni dei crolli più recenti della parete rocciosa: questo gigante bianco che delimita da secoli il ricordo di un vulcano si sgretola sotto il peso del fluire del tempo e non è mai uguale a se stesso. (…) L’impermanenza del paesaggio, la sua trascurata perfezione sono il sedativo più efficace per i ricordi che scuotono la mia vita.”
 
Bibliografia:
 
“Una storia ai delfini”, ed. Creativa, 2007
 
“Essere grandi è una fiaba”, Lampi di Stampa editore, 2007
 
MariaGiovanna Luini sul web:
 

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