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Venezia 2007 Il festival definitivo di Muller

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L’edizione 2007 della Mostra del cinema di Venezia è stata l’ultima del quadriennio di direzione di Marco Muller (che potrebbe però essere anche riconfermato). Ha rappresentato perciò la messa a sintesi definitiva del modello di festival portato avanti in questi anni: nonostante retrospettive e rassegne collaterali, orizzonti e notti veneziani, al centro di tutto c’è sempre la passerella, il tappeto rosso, la comunicazione centrata sui divi e le divine, più che e ben oltre gli stessi film in cui i suddetti recitano. Ormai infatti i film sembrano esser solo un contenitore per far transitare corpi scintillanti e farli splendere sotto i riflettori. Stesso modello di Cannes e Roma, ma nella sua applicazione Muller è forse il migliore. Salvo verificare gli incassi effettivi dei “film da tappeto rosso”, che poi in fondo è la cosa che più interessa alle grandi case di produzione e allo stesso Muller per rimanere sulla cresta dell’onda: quest’anno le prime avvisaglie non sono state tanto positive, forse perché questi film erano piuttosto modesti…

Negli anfratti di questi supermarket che sono oggi i festival, dove in evidenza ci sono solo molti prodotti hollywoodiani e qualche articolo nostrale, gli appassionati possono certo trovare molte altre cose, anche interessanti, messe lì per puro contorno.

In questo mio reportage, che arriva colpevolmente in ritardo rispetto a quello di Leo, trovate le impressioni rimaste dall’esplorazione soprattutto dei bassifondi di Venezia 2007.

Leone d’oro : chi se ne importa di quello ad Ang Lee; invece il Leone assegnato a Tim Burton mai fu più meritato!

Il mio film preferito : Io non sono qui di Todd Haynes. Probabilmente lo avrete già visto, perché è uscito e oramai, ahimè, quasi scomparso dalle sale. Opera mondo, si potrebbe dire, perché parla di una nazione, gli Usa, e della sua storia tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso, del pluralismo e dell’ansia di cambiamento, attraverso la musica e le molte vite di Bob Dylan. Complesso nella costruzione ad incastro, geniale nel far interpretare il cantante da 6 attori diversi, tra cui un ragazzo di colore e una donna, quella che più gli assomiglia, Cate Blanchett, di fronte alla quale si può esprimere solo una enorme ammirazione. Todd Haynes si conferma uno dei migliori registi Usa indipendenti, da Velvet goldmine a Lontano dal paradiso: colto, eclettico, innovativo, spregiudicato.

Il cinema-cous cous: La graine et le mulet (cioè gli ingredienti del cous cous di pesce) di Abdellatif Kechiche è un esempio dei benefici effetti che gli innesti di culture altre possono apportare ai più o meno asfittici immaginari europei. Già il precedente film di Kechiche, La schivata, era molto bello: la scoperta di un autore. La graine et le mulet conferma una grande capacità di narrare storie, sempre all’interno della comunità maghrebina in Francia, in questo caso il tentativo di riscatto sociale tra umanità, razzismo latente, famiglie allargate, solidarietà e meschinità. Azzeccata la scelta di non costruire una storia chiusa, tra un inizio e una fine tradizionali, ma di lasciar immaginare la vita che continua anche oltre lo schermo. Grandi interpreti, soprattutto femminili, che sono un flusso incessante di parole e balli. Quando nascerà un Kechiche italiano? e se ci fosse, troverebbe gli strumenti per raccontare le sue storie sul nostro paese? Il film fa venire una gran voglia di mangiare arabo; suggerimento: abbinare film + cena a tema, sarebbe un successone.

Cinema italiano : calma piatta con i film in concorso (delusione per Vincenzo Marra); cose interessanti nelle altre sezioni: La ragazza del lago di Andrea Molaioli, giallo con richiami alla Durrematt e la presenza del grande Toni Servillo; Madri di Barbara Cupisti, per come racconta la cosa che unisce le madri israeliane e quelle palestinesi, il dolore per la morte dei loro figli e il desiderio che non ci siano più innocenti a pagare per colpe non loro; Il passaggio della linea di Pietro Marcello, doc notturno girato sui viaggiatori che vivono nei treni e sui loro spostamenti, Le ragioni dell’aragosta di Sabina Guzzanti, malincomico falso documentario sulla dimensione politica dell’autore satirico, quando i politici fanno i comici. Senza speranza.

Vecchi buoni autori: In questo mondo libero… di Ken Loach, che ritorna nel cuore dell’Inghilterra di oggi, tra ingiustizie, lavoro precario, globalizzazione e immigrazione, con lo sguardo rivolto agli sfruttatori più che alle vittime. La protagonista è un personaggio dei nostri tempi, energica e ambiziosa ma anche passionale e generosa. E’ il sistema economico che è spietato, la ragazza si adatta con onestà brutale al mondo in cui viviamo, dove lo sfruttamento del lavoro invade ogni aspetto della nostra vita e più di cento anni di lotte sindacali sembrano passati invano. Lei fa il lavoro sporco, anche per noi, che possiamo così uscire dal cinema con la sensazione di non essere così carogne. Magari per andarcene a vedere Gli amori di Astrea e Celadon di Eric Romher, esteta ironico e raffinato. Per un’ora e mezza si rimane con gli occhi aperti solo immaginando oltre lo schermo, che rimanda duetti in rima tra panorami bucolici. Poi Celadon si traveste da fanciulla per avvicinare l’amata Astrea e il film diventa una pochade queer scatenata. Con i vecchi autori europei non si può mai stare tranquilli e sereni. Infatti La fille coupée en deux di Claude Chabrol continua il viaggio nella provincia (francese ma potrebbe essere anche la nostra) tra ambizione, successo, potere. Ci scappa il morto ma questa volta non è la ragazza, tagliata in due dalla vita ma resistente con la flessibilità necessaria a sopravvivere nella giungla sociale contemporanea.

Americana : The Darjeeling Limited di Wes Anderson, viaggio surreale e lisergico di tre fratelli in treno alla ricerca di spiritualità in India. Con tono agrodolce, il film si situa tra Sgt Pepper’s dei Beatles e Una notte all’opera dei fratelli Marx. Si ha l’impressione che gli attori si siano divertiti un mondo durante le riprese: gli spettatori non so, forse un pò meno. Cassandra’s dream di Woody Allen, ancora a Londra, dalle parti di Match point con richiami a Crimini e misfatti: il caso premia e punisce senza giustizia, ovvero i bravi ragazzi che provano a fare gli squali cattivi finiscono male.

Contro la guerra : In the valley of Elah di Paul Haggis: cinema classico nello stile di Clint Eastwood (di cui Haggis è sceneggiatore, ma ha anche vinto un Oscar come regista con Crash) sulla disillusione Usa per la guerra in Iraq: quello che la guerra può fare alla gente che viene mandata a combattere e quanto può essere pericoloso il patriottismo cieco. Disangagement di Amos Gitai è stato uno dei film più sottovalutati e più intensi della mostra: viaggio tra le contraddizioni della storia tra Israele e Palestina, nei giorni dello sgombero da Gaza, una madre una figlia si ritrovano e poi si perdono nuovamente. Il film sembra aprire un percorso verso una qualche forma di riconciliazione, che sarà possibile solo quando tutti si lasceranno dietro le spalle rabbia e rivendicazioni.

Arrivederci a Venezia 2008

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