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Pan – Knut Hamsun

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LA NATURA (D)E(L)L’UOMO. DEI BOSCHI.

 

E la compassione le impedisce di rispondere.

Amo tre cose, dico allora. Amo il sogno d’amore di un tempo, amo te e amo quest’angolo di terra.

E cosa ami di più?

Il sogno“. (Knut Hamsun, “Pan”, capitolo XXVI)

 

Nordland, 1855. Il tenente Thomas Glahn è la nuova incarnazione di Pan, figlio del Dio della menzogna e del sogno, Ermes. Ama ninfe come Eva e pastorelle come Henriette, e s’innamora di una giovane e lunare farfalla che lo trascina nella confusione e nel disorientamento, Edvarda. È un grande e solitario cacciatore, inadatto alla vita sociale. Vive assieme al suo cane, Esopo, in una capanna nascosta tra il bosco e il mare.

Ha circa trenta anni.

 

La natura, come accadrà ne “Al Dio sconosciuto” di Steinbeck, è specchio e spettro del suo stato d’animo: il cacciatore solitario vive un panismo accecante, enfatico ed empatico, che sublima la sua nevrastenia e la sua progressiva, inarrestabile estraniazione dalla realtà. La percezione del suo improbabile adattamento alla società si fa prima coscienza e quindi orgoglio: la diversità è una condanna che trascina Glahn nell’isolata contemplazione della natura. Sul punto di ascoltare il canto delle pietre e la poesia delle foglie, il neo-Pan è richiamato alla vita solo dalla sensualità e dalla carnalità. È capace di gelosie laceranti e di passioni improvvise. Ma non ha fede in altro che non sia la Natura: non appartiene agli uomini, non conosce legami, non rispetta le consuetudini, è splendidamente e miracolosamente disadattato.

 

Un narratore fascinoso ma poco credibile.

1857. Glahn, narratore in prima persona delle sue vicende, si trova seduto a pensare e ripensare alla capanna in cui abitava anni prima. Il tempo è diventato lentissimo: Glahn non soffre particolari fastidi, eccettuato un reumatismo al piede sinistro dovuto a una vecchia ferita d’arma da fuoco, ma risente della nostalgia per gli eventi avvenuti nell’estate del 1855, quando il tempo scorreva rapidissimo. Vuole scrivere, per suo “diletto” e per “ingannare il tempo”, quel che accadde allora. Perché “qualcosa mi accadde, oppure lo sognai“. E quel reumatismo, allora, non può che derivare da quei giorni…altrimenti, perché nominarlo?

 

Ed ecco come Hamsun-Glahn dipinge l’atmosfera onirica del suo libro: “Ho dimenticato ormai molte cose che hanno a che fare con quegli avvenimenti, perché da allora non ci ho quasi più pensato, ma ricordo che le notti erano piene di luce. Tante cose, del resto, mi apparivano stravolte: l’anno aveva dodici mesi, ma la notte diveniva giorno e non si vedeva mai una stella in cielo”. E le persone erano “di natura diversa dalla gente che conoscevo prima: a volte bastava loro una notte perché, da bimbi quali erano, sbocciassero in tutto il loro splendore, maturi e adulti”.

 

Così, stiamo leggendo una storia scritta per ingannare il tempo e dilettare lo scrivente, che forse accadde o forse fu sognata: difficile prestar fede al narratore, che molto ammette d’aver dimenticato, a meno di non voler rinunciare a qualunque pretesa di “credibilità” o di “realismo”. Il patto col lettore si firma nelle prime pagine; ed è inscindibile. Che domini menzogna.

Entriamo allora in una dimensione incantata, tutta fantasia e immaginazione.

Si spengano i lamenti della lucidità. Che tutto sia febbre, e torpore.

 

Tre amori.

Tre donne, si accennava in apertura, nella disordinata stagione di Glahn: una figuretta leggera e fragile di pastorella, Henriette, che sembra esistere e apparire solo per regalare uno scorcio di totale e ferina sensualità all’altrimenti finora impeccabile isolamento del cacciatore; un’icona intrisa di segreta purezza e d’innocenza, Eva, che al primo incontro incanta per il contrasto tra il suo bianco fazzoletto e i suoi scuri capelli; un simbolo di femminilità, infine, Edvarda, contrastata e seducente, lunare e istintiva, provocante e traditrice. Ha il volto d’una adolescente, ma adolescente non è più. Giura d’amare quando non conosce altro che passione; e disprezza, come ogni Belle Dame sans Merci, chi cade vittima del sortilegio, e vede sgretolarsi ogni difesa e ogni controllo di sé. La Belle Dame sans Merci Hath Thee In Thrall.

 

Non stupisce allora che, per gelosia di uno zoppo, il cacciatore si spari un colpo al piedi; non stupiscono le infinite notti d’insonnia, addolora ma non sorprende il rancore che si rivolge addirittura contro il suo unico amico, Esopo, che avrebbe dovuto essere ultimo dono all’amata prima dell’addio. L’estenuazione è porta aperta sulla follia. Violare le regole, rinnegarsi, abiurare l’umanità.

 

Edvarda si distacca da Glahn per un nobilastro. Glahn si concede l’ultimo sprazzo di coscienza. Edvarda ricorda una delle sue stravaganze, nel bel mezzo: l’allusione alle scarpe si riferisce a uno strambo episodio avvenuto in barca. Chi è curioso, leggerà il libro e ricostruirà l’antefatto della citazione.

 

Intanto, qui credo echeggino i colori e i destini di due anime.

 

Sappiate che è tutt’altro che impossibile! dice con impeto. No, è meglio di voi, riesce a stare in una casa senza rompere tazze e bicchieri, e le mie scarpe con lui sono al sicuro. Sì. Lui sa stare in mezzo alla gente, mentre voi siete ridicolo, mi vergogno per voi, siete insopportabile, lo capite?

Le sue parole mi colpirono profondamente, chinai il capo e risposi: Avete ragione, non so stare in mezzo alla gente. Abbiate pietà, voi non mi capite, io preferisco vivere nel bosco, quella è la mia gioia. Qui, nella mia solitudine, non fa del male a nessuno che io sia come sono; ma quando mi trovo con altre persone, allora devo mettere tutto il mio impegno per essere come devo.(…)Da voi ci si può aspettare il peggio da un momento all’altro, proseguì lei. Alla lunga, ci si stanca di dovervi accudire” (Knut Hamsun, “Pan”, capitolo XXIV).

 

“Essere come devo”, e non “come sono”. La questione è tutta in questo passo.

 

Una non attesa documentazione finale racconterà poi l’epilogo dell’esistenza di Glahn. Il narratore si continua a nascondere dietro una imbarazzante prima persona. Forse è l’ultima fantasia di una mente corrosa dal sogno, e che al sogno ha deciso di appartenere, in eterno.

 

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

 

Knut Pedersen, alias Hamsun (Garmostræde, presso Lom, Gulbrandsdal, Norvegia 1859 – Nørholm, Grimstad, 1952), romanziere, poeta e drammaturgo norvegese, autodidatta. Premio Nobel per la Letteratura 1920.

 

Knut Hamsun, “Pan”, Adelphi, Milano, 2001.

Traduzione di Fulvio Ferrari.

Il libro è strutturato in due parti: la prima, “Pan”, è suddivisa in trentotto capitoli, la seconda, intitolata “La morte di Glahn. Un documento del 1861”, in cinque. Ciascun capitolo è numerato progressivamente e sprovvisto di titolo.

 

Prima edizione: “Pan”. 1894.

 

Approfondimento in rete:

Pegasos.

Nordland.

Iperborea.

Odin.

Lars Frode Larsen.

Knut Hamsun Online.

 

Bibliografia critica consigliata: fondamentali le pagine di Claudio Magris: “Fra le crepe dell’io”, in “L’anello di Clarisse”, Einaudi, Torino, 1984.

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