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L’uomo di vetro

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L’uomo di vetro è Leonardo Vitale. La storia è quella dei suoi arresti, delle sue rivelazioni sulla Mafia e soprattutto della sua follia. Un percorso che lo porterà ad andare contro tutti, nel quale denuncerà amici e conoscenti, firmando così la propria condanna a morte.

I pentiti di Mafia sono persone ambigue. Nella maggior parte dei casi il pentimento avviene solo quando si è stati arrestati. Non esiste una presa di coscienza anteriore che porta a riflettere sulle proprie colpe. Queste vengono alla luce solo quando si è davanti alla legge dello Stato. Ma fino a quando si rimane all’interno di quella della Mafia, il pentimento non sfiora la mente di nessuno. Lo stesso è valido per Leonardo Vitale. Il suo crollo avviene dentro un commissariato. I nomi che fa servono per scagionarlo (giustamente) dalla sua presunta partecipazione al sequestro Cassina. Leonardo dopo 43 giorni di cella torna a casa, la giustizia italiana dichiara che è innocente.

Dopo questa prima detenzione iniziano i problemi mentali di Leonardo. Aumentano le sue fobie, i suoi scatti d’ira , le sue paranoie. Inizia anche una trasformazione religiosa che lo porta in uno stato di fervente misticismo. E in queste condizioni avviene poi il “vero” pentimento, quando entrando in questura dichiara di avere ucciso due uomini e si mette a fare i nomi di tutti i mafiosi che conosce e spiega alle autorità il funzionamento della “cupola”.

I dubbi che accompagnano la visione del film sono molteplici. Prima di tutto non risulta ben chiara la finalità di un’operazione di questo tipo. Di sicuro non è una denuncia nei confronti della Mafia e neanche un’analisi dei suoi funzionamenti e dei suoi meccanismi. Stefano Incerti, il regista, sembra a tutti i costi voler costruire il ritratto di un santo (in una scena in cui la madre di Leonardo, in ospedale, lo deterge con un panno, i rimandi all’iconografia cattolica della Madonna e del Cristo sono fortissimi), di un uomo che in nome della verità conosce la pazzia e il dolore, la paura e infine la morte. Insomma la vicenda di Leonardo Vitale viene letta come un sacrificio fatto in nome di qualcosa di più alto, di un ideale. E allora tutta la vicenda deve assumere per forza i toni del calvario. Vengono sistematicamente mostrate tutte le tappe della follia di Vitale, dove l’interpretazione di Davide Coco sfiora purtroppo, in alcuni momenti, i limiti della parodia. L’attore sembra incapace di tratteggiare in maniera autonoma il proprio personaggio e allora si aggrappa a tutti gli stereotipi che una parte del genere mette a disposizione.

L’Uomo di vetro è un’operazione anacronistica (i fatti sono degli anni settanta) e poco coraggiosa. Dove non solo Davide Coco, ma anche gli altri attori cercano di apparire, prima di tutto, come “mafiosi”, appoggiandosi alla codificazione che il cinema ha fatto di questi comportamenti. Non è un caso che lo zio di Leonardo sia interpretato proprio da Tony Sperandeo, l’attore che forse detiene il record mondiale di ruoli da mafioso.

Il calvario di Leonardo diventa così il debito pagato dalla realtà alla sua rielaborazione narrativa. Si trasforma un uomo in un martire e poi in un personaggio, lo si immerge dentro un ambiente ormai finzionale (quello della Mafia), lo si riveste di tutti quegli atteggiamenti che da un folle, al cinema, si richiedono e alla fine si crede di stare rendendo giustizia alla sua figura oppure di denunciare l’ambiente mafioso.

Certe realtà vanno conosciute dall’interno per essere descritte in maniera coerente, altrimenti si rischia di non sapere di cosa si sta parlando. L’uomo di vetro è uno di questi casi.

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