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Classifiche & Trappole

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Partiamo da un grafico che è praticamente una classifica. Il posizionamento medio in base a variabili sia oggettive che soggettive nei paesi a stadio 3, quelli cioè che – secondo le indicazioni del WEF (World Economic Forum) – presentano il massimo livello di sviluppo.

I dati   provengono dal WEF-Global Competitiveness Report 2005-2006 – Economia&Management Dicembre 2006.

 

 

 

La prima cosa che facciamo in questi casi è andare a guardare dove siamo posizionati, prima ancora di capire su che basi è stata stilata la classifica che stiamo osservando. In questo caso siamo lontani da tanti “grandi”, ma anche da tanti “piccoli”.

Nel grafico siamo messi male sia in base ai dati Hard, cioè quei numeri incontrovertibili quali il PIL, il deficit pubblico, la percentuale di risparmio e così via, che Soft, cioè quelli che derivano dal giudizio percettivo su un campione di business leaders.

Insomma, siamo anche un bel pò depressi!

In Qatar, anche se hanno basse performance, sono più fiduciosi di noi.

Anche se è vero che  imprese appartenenti allo stesso settore risultano concorrenti solo se fanno leva sulle stesse variabili, mentre invece non risultano tali se fanno parte di raggruppamenti strategici diversi, per cui per ora non ci sentiamo concorrenti del Qatar, quel pallino rosso posizionato proprio laggiù infastidisce. In un mondo globalizzato i raggruppamenti strategici evolvono velocemente.

Andiamo a guardare i virtuosi-fiduciosi, quelli con il pallino verde per intenderci.

Il regno Unito è messo in una buona posizione, in termini di numeri duri e crudi  meglio degli USA, ma la percezione, quei dati Soft, denotano minor fiducia.

Blair deve fare attenzione, quindi. 

E’ di poco più di un mese fa il grande annuncio sul futuro scientifico  del paese, come già aveva fatto nel 1963 Harold Wilson, spingendo fortemente per un rinnovamento che passasse attraverso la luce calda della rivoluzione tecnologica.

Blair ha aggiunto l’ambiente.

E’ già da un po’ che Blair proclama la leadership scientifica britannica, con riferimento agli studi sui cambiamenti climatici.

Hadley e Tyndall sono i centri inglesi di ricerca più importanti, ed è freschissima la pubblicazione di uno studio sul cambiamento del clima, che fornisce una proiezione su base decennale dei cambiamenti percentuali della temperatura previsti fino alla fine di questo nostro secolo.

Il cambiamento previsto nello studio per il 2099 è di dieci gradi rispetto a inizio secolo e, se pensiamo che la scomparsa dei dinosauri circa duecentocinquanta milioni di anni fa pare sia stata dovuta ad un eccezionale cambio climatico, poi stimato intorno ai sei gradi, qualche preoccupazione è legittima.

Sono partite allora una serie di discussioni per correre ai ripari velocemente, prima tra tutte la proposta di limitare le emissioni dannose degli aerei commerciali, accusati di rilasciare nella troposfera 600 milioni di tonnellate di CO2  ogni anno. Così, secondo i calcoli di Paul Wennberg del California Institute of Technology, il trasporto aereo arriva a incidere per un 10% sul totale
dell’effetto serra ed è in grande aumento, grazie ai voli low-cost.

E qui è caduto l’asino.

A fronte di una posizione interventista del ministro Ian Pearson che chiede di limitare i voli come primo atto di buona volontà (ricevendo un secco no dal Michael O’Leary a capo di Ryanair), Blair ribatte che è impossibile praticare la strada dell’autolimitazione o dell’innalzamento dei prezzi per diminuire il traffico, ma bisogna intervenire per costruire aerei che producano minori emissioni nocive, quindi incrementare la ricerca in tale direzione.

Tutta questa storia ci dice che Blair ha dovuto scegliere quali stakeholder privilegiare e la sua scelta appare ovvia.

La stabilità economica va preservata, ma in questo caso Blair è riuscito a dividere il pubblico più vasto, quello che finalmente riesce a fare vacanze lontano da casa spendendo poco ma che è anche anche attento differenziatore di spazzatura per non inquinare.

Il dibattito è ancora in corso furiosamente, in un momento in cui qualcuno parla di fine della leadership di Blair nel partito Laburista e qualche altro concorda sulla necessità di mantenere la crescita ecomica ai livelli preventivati a fronte di una paventata crescita inflazionistica. Vedi il recente intervento della Bank of England sui tassi, con un incremento dello 0,25.

Certo appare difficile la via da percorrere, ma gli obiettivi di Lisbona sono stati disattesi e quel 3% del Pil dedicato agli investimenti in R&D è ormai una chimera.

Ma quali sono le trappole allo sviluppo? Sicuramente sono molte. Qui vogliamo soffermarci su quella meno discussa: la capacità da parte dei policy maker di ascoltare gli stakeholder.

Perché Ennio Lucarelli, presidente di Aitech-Assinform ha bocciato il sistema di incentivi e interventi previsti dalla finanziaria 2007?

La domanda può essere riformulata chiedendo che peso ha avuto nella finanziaria l’interesse di tutte le PMI che operano nel settore ICT.

Altra domanda: l’innovazione passa necessariamente per l’ICT? La risposta a questa domanda condiziona ogni eventuale risposta a quella precedente.

Non credo che il problema risieda in una necessità di migliore comunicazione, come concludono le autrici dell’articolo citato all’inizio, i dati Soft non sono semplicemente legati all’aria che tira.

Parte del mondo economico sta riconsiderando le proprie teorie sulla crescita, ma soprattutto su come poter costruire delle politiche in assenza di modelli affidabili.

Per fare un esempio, uno studio di Roberto Zagha, Gobind Nakani e Indermit Gill per il Fondo Monetario Internazionale, spiega tra varie riflessioni come  le riforme debbano promuovere insieme crescita ed efficienza.

Analizzando i vari aspetti internazionali del boom and bust degli anni novanta, evidenziano come gravi problematiche macroeconomiche quali una politica fiscale pesante o un elevato indebitamento  rimasero  ad affliggere molti paesi, condizionandoli in maniera inevitabile negativamente.

Allora Tony Blair sta comunque ascoltando la voce delle sue PMI, applicando modelli macroeconomici, visto che un recente studio di AMR Research  pone le piccole e medie imprese inglesi in testa alle previsioni di spesa in IT per l’anno 2007, prima di Francia e Germania?

La crescita della spesa IT infatti dovrebbe crescere del 6,4% in Uk, contro il 4,7 della Francia e il 5,8 della Germania.

Questo significa che le PMI inglesi decidono di investire comunque e autonomamente in IT.

In che aree spenderanno? Principalmente in refresh tecnologico, mobile, e-services.

Anche il Qatar segue la strada dell’investimento tecnologico ed ha di recente dichiarato di voler spendere il 2,8% del PIL in progetti di Ricerca e Sviluppo, con l’obiettivo di posizionarsi in breve tempo ai vertici dei paesi mediorientali.

Passi importanti del programma sono stati la liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni ed è l’ormai  prossima apertura del Qatar Science and Technology Park.

Il parco avrà free zones al proprio interno e includerà un grande ospedale e centro ricerca (con un investimento previsto di un miliardo di dollari),  oltre a collaborazioni con grandi università americane e big names dell’industria quali ExxonMobil, GE, Microsoft, Rolls Royce, Shell and Total (che hanno contribuito al progetto per 225 milioni di dollari).

Un progetto ambizioso è quello di diventare entro il 2011 capitale mondiale del GTL, acronimo di Gas To Liquid, che indica un processo per ottenere combustibili liquidi a partire dal gas naturale.

Privilegiando quindi i giacimenti di gas naturale presenti nel proprio territorio, il Qatar ha in cantiere la costruzione di una serie di impianti, della capacità complessiva di circa 550.000 barili/giorno, che vede impegnate le maggiori compagnie del settore.

Il primo impianto della serie è appena partito nel nord, con una capacità di conversione di 325 milioni di piedi cubi in 34.000 barili/giorno di combustibile liquido ed un costo stimato di 900 milioni di US$.

Una delle leve dichiarate dell’investimento in questo programma è il minore livello di inquinamento prodotto dalle auto che utilizzano questo combustibile.

Con tutti questi piani in atto la crescita del Pil in Qatar nel 2006 si è attestata intorno all’8%, il paese sta crescendo velocemente, con un reddito medio pro-capite intorno a 43.000 US$.

Questo spiega la fiducia dei dati Soft, anche se il paese è molto carente a livello di servizi e infrastrutture (i dati Hard).  

Ecco cosa abbiamo capito, allora, partendo da un grafico a pallini colorati: per crescere è necessario investire e dare fiducia. Le leve da adottare sono macroeconomiche, ma i policy maker devono tener conto delle esigenze di tutti gli stakeholder. L’ambiente deve diventare un elemento costante dei piani. Gli investimenti in ICT sono un elemento strettamente connesso alla crescita, che non va considerato come mero settore, ma fondamentale strumento: le PMI non possono sottrarsi a questo paradigma, ma includerlo nei propri piani di sviluppo. E da ultimo, ma non per importanza, per dirla con una frase di Einstein: non tutto ciò che conta può essere contato e non tutto ciò che può essere contato conta.

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