KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Intervista con Ferro Solo

22 min read

Almost mine Part III: The Fernando Chronicles

Release date: 20 aprile 2024.

Formats: LP, CD, Digital Distribution.

Released by Riff Records, Hellnation Music and Fernando Dischi.

Distributed by: https://www.taigamusic.com/it/

Almost Mine part III: The Fernando Chronicles è il terzo e ultimo capitolo della trilogia di Fernando, quella specie di Ziggy Stardust dei poveri che mi sono inventato per riunire delle canzoni che raccontavano una storia piuttosto privata e personale sotto moniker più o meno immaginario.

In qualche modo qui si tratta del funerale di questo mio personaggio e in effetti non so ancora se Ferro Solo sopravvivrà a Fernando o meno: per ora sono arrivato fino a qui, poi vedremo.

Ovviamente, sia nel caso dei primi due che per questo terzo disco, non si tratta di concept album (Dio ce ne scampi e liberi!), ma più che altro di una serie di canzoni che, come mi sono accorto solo dopo averle scritte praticamente tutte, erano legate da un tema e/o affrontavano più aspetti della stessa situazione.

Nei primi due album (chiamati Almost Mine: Unexpected Rise and Sudden Demise of Fernando Pt. I & II) raccontavo la storia di Fernando più o meno dall’inizio alla fine: si trattava di due album distinti, ma che potevano benissimo formare un doppio LP. Ho deciso di pubblicarli separatamente – a distanza di meno di un anno l’uno dall’altro (ottobre 2018 e novembre 2019) – un po’ per evitare la sindrome da autocompiacimento/fatica d’ascolto che avvelena gran parte dei doppi album e un po’ per poterli mettere in vendita a un prezzo conveniente. Anche questo terzo sarebbe dovuto uscire a stretto giro rispetto agli altri due, o comunque non certo a quasi cinque anni di distanza dal secondo, ma la pandemia ci ha messo lo zampimo. E in effetti questo terzo disco riprende dove finiva il secondo, anche se in questo caso si eplorano i margini e gli anfratti di vari punti della storia di Fernando, invece di narrarla in modo più o meno lineare. A sottolineare questa appartenenza dei tre dischi a un ciclo unico c’è anche l’ordine alfabetico che demarca i lati del vinile dalla prima all’ultima parte di Almost Mine: A e B sul primo disco, C e D sul secondo, E e F sul terzo.

Per rimarcare invece la natura di “diario di bordo” di questo episodio c’è il titolo ovvero Almost Mine: The Fernando Chronicles: come si vede, una leggera variazione sul tema rispetto ai titoli dei primi due capitoli.

Si parla di Chronicles perché con questo disco raccolgo tutte queste canzoni che non avevo ancora finito di scrivere ai tempi delle session che hanno portato alla realizzazione dei primi due album, oltre a due outtake di quelle session (The Fear e The First Time). Il fatto che queste due tracce non siano finite nelle uscite precedenti non vuol dire che le ritenga all’altezza dei brani presenti in quei dischi: semplicemente si tratta di brani che in qualche modo trattavano aspetti che già affrontavo con altre canzoni e/o che non scorrevano bene nel ritmo della scaletta delle parti I e II. Qui invece hanno finalmente trovato vla loro collocazione.

This Machine Kills Heartaches – il cui titolo è un gioco di parole ispirato alla scritta che compariva sulla chitarra di Woody Guthrie che recitava “This Machine Kills Fascists” – durante le session dei primi due album era stata già registrata (ma mai pubblicata) in una versione differente: in questo caso ho voluto darle un’altra veste, più punk rock. C’è anche una cover di Prince, When you were mine dall’album Dirty Mind. È l’unico brano non mio che ha trovato posto nella trilogia di Almost Mine, ma il testo sembra scritto apposta per me e per la situazione di Fernando. The Birthday Curse era uscita in versione acustica per la compilation in cassetta All you can beat, vol. 1: qui invece è arrangiata con una full band un po’ alla Phil Spector/Shadow Morton, come l’avevo sempre immaginata. Gli altri brani erano invece bozze, strutture, scheletri e appunti di canzoni che non erano ancora pronte all’epoca dei dischi precedenti e che per questo album sono riuscito a completare…

Ferruccio Quercetti AKA Ferro Solo

Intervista

Davide

Ciao Ferruccio e ben ritrovato su queste pagine. Rimando per intanto alla lettura della precedente intervista https://kultunderground.org/art/18758/, quando parlammo del primo capitolo di “Almost Mine”. Mi sono però perso il secondo. Vuoi riassumere dunque le due precedenti parti e come questo terzo episodio si ricollega e porta a conclusione il tuo progetto di trilogia?

Ferruccio

Ciao e grazie per avermi concesso nuovamente spazio sulle colonne di Kult Underground!

I primi due episodi di Almost Mine sono se vuoi più classicamente ‘narrativi’. Nel primo disco racconto la storia che ha scatenato tutto questo e le emozioni di Fernando durante il turbolento dipanarsi della vicenda; nel secondo mi soffermo di più sulle sensazioni, i sentimenti e le riflessioni del nostro rispetto a quanto accaduto. In questa terza parte, mi muovo invece tra questi due approcci, spostandomi avanti e indietro, o se vuoi a latere, degli eventi narrati. Per questo ho deciso di cambiare leggermente il titolo di questo episodio e di battezzarlo The Fernando Chronicles: si tratta infatti di un diario di bordo che a volte approfondisce alcuni aspetti che sono stati già introdotti nei due dischi precedenti e che in altre occasioni apre invece degli spiragli su momenti della vicenda o su stati d’animo che non erano ancora stati raccontati ed esplorati. Dopo di questo ci può essere solo la conclusione, sancita da ‘Paragraph’, l’ultima canzone nonché la parola finale su questa trilogia e su tutta la storia di Fernando.

Davide

Perché, a proposito, è “quasi tuo” (“Almost Mine”)?

Ferruccio

Perché quell’illusione che Fernando ha nutrito durante la prima parte del suo innamoramento non è mai divenuta realtà, se non per un brevissimo periodo che peraltro è solo servito a far sprofondare ancora di più il nostro nel suo abisso di frustrazione e di rimpianto. A torto o a ragione, Fernando si sente privato di qualcosa che forse non si ripresenterà mai più nella sua vita e questa aspirazione fallimentare alimenta la sua sofferenza nonché la mia ispirazione.

Davide

Chi ha suonato e collaborato con te in questo tuo nuovo lavoro?

Ferruccio

Il disco è stato registrato e mixato quasi interamente da Andrea Rovacchi dei Julie’s Haircut al Sonic Temple Studio di Parma. Fanno eccezione solo i due brani che vengono dalle session dei dischi precedenti, registrati al Bunker Studio di Rubiera sempre da Andrea Rovacchi, e I Get You Things, anche questa registrata al Bunker ma da Gabriele Riccioni. Andrea ha poi contribuito a produrre il disco dal punto di vista artistico, suggerendo diverse idee, e ha suonato il piano, le tastiere e le percussioni in molti pezzi. Anche Gabriele suona in alcune canzoni, dando il suo contributo al basso. Si può dire che la maggior parte dei miei collaboratori in questo disco – inclusi i già citati Andrea e Gabriele – sono poi coloro che mi accompagnano sin dalle prime recording session della trilogia di Almost Mine. C’è sempre Sergio Carlini dei Three Second Kiss che oltre ad aver suonato la chitarra – e in un paio di casi anche il basso – in diversi brani ha anche contribuito agli arrangiamenti di quasi tutti i pezzi in cui appare. Anche Luca Giovanardi dei Julie’s Haircut ha svolto un ruolo simile a quello di Sergio, suonando la chitarra – ma non solo – in molte canzoni, registrando dei backing vocals e proponendo alcune idee di arrangiamento. Un altro Julie’s Haircut, Ulisse Tramalloni, è responsabile di gran parte delle batterie dell’album tranne che in due casi: The Fear – che è stata registrata con Francesco ‘Salo’ Salomone alla batteria – e I Get You Things in cui la batteria è suonata da Stefano Zuccato dei Chow. Anche Riccardo Frabetti – sempre dei CHOW – ha svolto un ruolo fondamentale di multistrumentista oltre che di arrangiatore. Davide Montevecchi è l’altro bassista presente nell’album in diverse canzoni: insieme al resto dei CHOW e – con l’aggiunta di Sergio Carlini – fa parte della formazione attuale dei Fernandos, la band che a volte mi accompagna dal vivo. Vorrei menzionare anche Marco Cantù, al contrabasso in Paragraph e Lorenzo Iori che ha suonato il violino su Habit. Come vedi, per realizzare tutte le idee che avevo per queste canzoni ho dovuto affidarmi a tanti amici e collaboratori che – con la consueta generosità – mi hanno messo a disposizione il loro talento e il loro impegno.

Davide

Fin dal principio avevi progettata una trilogia: si tratta dunque di tre opere connesse tematicamente e/o stilisticamente che però possono essere considerate e ascoltate anche come singole, oppure come unicum? Ma perché proprio una trilogia? Cosa, inoltre, le collega e viceversa le distingue?

Ferruccio

Prima di tutto ci tengo a dire che questi brani sono nati tutti in medias res, ovvero come reazione immediata a quello che mi succedeva e ai sentimenti che provavo giorno per giorno, evento dopo evento, durante la vicenda che racconto attraverso la maschera di Fernando. La maggior parte delle canzoni sono state completate sul momento (dal punto di vista compositivo) mentre di altre avevo buttato giù l’idea che poi ho sviluppato più avanti nel tempo, ma l’ispirazione primigenia risale tutta a quella fase.

Tuttavia, ci ho messo un po’ a capire che queste mie canzoni parlavano tutte della stessa vicenda e che, per lo più inconsapevolmente, mi ritrovavo tra le mani un diario, un mio resoconto delle cose successe e dei sentimenti provati durante quel turbolento periodo. Quando mi sono accorto del tema comune piuttosto evidente che legava i brani ho deciso di raccoglierli e organizzarli proprio seguendo questo fil rouge. È così che i brani si sono disposti praticamente tutti in successione, definendo abbastanza agevolmente quella che è la scaletta delle prime due parti (le quali, dico per inciso, sono sono state registrate insieme e solo dopo sono state divise in due album). In questo terzo episodio sono invece confluite tutte le canzoni che appartenevano per lo più a due categorie: la prima è quella dei brani che non avevo ancora ultimato al momento delle session dei primi due episodi o che non c’è stato tempo di registrare a quel tempo. Tra questi ci sono alcuni dei pezzi più ambiziosi – dal punto di vista dell’arrangiamento e della strumentazione richiesta – dell’intera trilogia ovvero Habit, The Night I Watched Myself Die, She Thinks I’m a Creep, Paragraph. Alcune invece sono canzoni che provengono dalle session delle prime due parti: parlo di The Fear e di Loved for the First Time. Il fatto che abbia escluso questi due brani dai precedenti episodi di Almost Mine non vuol dire che non li ritenessi all’altezza delle altre canzoni presenti in quei dischi, anzi! Tanto per fare un esempio, The Fear è uno dei ‘cavalli di battaglia’ della mia scaletta live sin dai miei esordi come Ferro Solo. Il motivo per cui ho deciso di tenerla da parte – insieme a Loved for the First Time – sta nel semplice fatto per qualche motivo questi due brani rendevano meno scorrevole il flow musicale e narrativo dei primi due episodi e che in qualche modo trattavano di aspetti di cui accennavo anche in altre canzoni già presenti in quei dischi. Ora, in questo terzo episodio hanno trovato la loro collocazione e funzionano benissimo anche nel contesto degli altri brani. Altri tre pezzi invece non sono finiti in nessuno degli album sempre per i motivi di cui sopra: si tratta di Irresistible e Custom Made to Hurt Me – tutte e due registrate nelle session delle parti 1 e 2 e che sono diventati il mio Christmas special del 2020, tuttora disponibile su bandcamp. Un altro brano, finito di registrare insieme agli altri brandi dell’ultimo disco è Summer Vacation che è invece diventato il mio contro-singolo dell’estate 2023. Tornando agli album, ci tengo tantissimo al fatto che tutto Almost Mine possa essere fruito e apprezzato su più livelli e in diverse modalità. Si possono ascoltare tutti e tre i dischi come se fossero un unico triplo album notando la continuità tematica che si evince dai testi ma anche dalla denominazione consecutiva dei sei lati degli album, dalla grafica, dalla titolazione, dall’uso ricorrente dei simboli per designare le singole facciate degli LP (ognuna dedicata a una fase della storia o a un tema/mood che collega i brani di quello specifico lato), oltre che dalle reprise più o meno ‘nascoste’ della title track presenti in tutti gli album. Oppure si può scegliere di ascoltare ciascun album singolarmente perché come dicevo prima, la scaletta dei singoli dischi è stata pensata per ‘funzionare’ anche nell’ascolto indipendente di ogni episodio. Infine, molta cura è stata messa nel far sì che nessuna canzone (a parte le reprise di cui sopra) suonasse come un intermezzo, come una semplice congiunzione tra due momenti della storia, ma che fossero tutte in grado di camminare da sole con le proprie gambe e di essere godute singolarmente. Ti dirò che per un certo periodo ho carezzato l’idea di pubblicare un doppio o un triplo album, ma sarebbe stato un formato troppo ingombrante, costoso e sicuramente autocompiacente. Uscire con tre episodi invece mi ha permesso di giocare con la serialità delle uscite e la continuità dei temi senza appesantire (mi auguro) l’esperienza di ascolto di ciascuna parte della trilogia. Aggiungo anche che l’idea originale era quella di pubblicare i tre episodi con un intervallo di tempo di un anno al massimo tra l’uno e l’altro disco. Per i primi due ci siamo riusciti: la parte 1 è uscita nel 2018 e la 2 appena 11 mesi dopo, ma poi la pandemia ed altri eventi degli ultimi anni ci hanno messo lo zampino e solo ora, nel 2024 riesco a completare il discorso…

Davide

Perché hai usata l’espressione “Ziggy Stardust dei poveri” nel qualificare questo tuo triplo disco? In questo tuo lavoro hai ripreso qualcosa di quel mondo sull’orlo dell’Apocalisse in cui un ragazzo è diventato una rockstar grazie a un aiuto alieno, come in una sorta di personale “fanfiction”? O cos’altro?

Ferruccio

Con quella battuta mi riferivo al fatto che, come David Bowie, ho dovuto indossare una maschera per raccontare una storia che mi riguardava molto da vicino. A differenza di Ziggy Stardust però, che era una riflessione di ampio respiro da parte di Bowie sul proprio ruolo di rockstar, una figura pubblica quindi che all’epoca incarnava un nuovo modello di popolarità e fama su scala mondiale, io mi limito a raccontare una piccola storia personale: una storia che potrebbe capitare a tutti sul posto di lavoro e nella propria vita quotidiana. Da qui la definizione Ziggy Stardust dei poveri per il mio Fernando.

Davide

Perché nella tua presentazione a questo lavoro hai scritto che Dio ci scampi e liberi dal concept album?

Ferruccio

Perché il problema di moltissimi concept album è che la storia che si vuole raccontare, il concetto che si vuole esprimere, la metafora o l’allegoria che si vogliono rappresentare spesso diventano più importanti della musica. Questo può portare a costruire parti musicali che spesso risultano goffe e pesanti solo per collegare punti diversi della storia o semplicemente per esprimere un’idea, un concetto appunto. Anche concept album molto celebrati come Tommy e Quadrophenia degli Who – che sia chiaro, si tratta di una band e di dischi che adoro – secondo me soffrono un po’ di questa sindrome. Mentre lavoravo su Almost Mine mi sono imposto di non perdere mai di vista l’aspetto musicale e di non farlo mai scivolare in secondo piano rispetto alla storia. Il mio più che un concept è un racconto per canzoni che, dopo che le avevo scritte tutte, ho avuto la cura di disporre in un ordine tale – in ciascun album e anche su tutta la durata dei tre dischi – da seguire una sorta di narrazione. Questo processo però è avvenuto senza forzare nulla, bensì lasciandomi guidare dalle canzoni stesse che come ho già detto, erano già tutte lì quando mi sono accorto che potevano raccontare una storia. La musica comunica su un piano essenzialmente emotivo e la scintilla dell’emozione deve essere ovunque. Una canzone non può nascere da un’esigenza meramente concettuale e intellettuale di organizzazione di un racconto o di spiegazione di un concetto: ci dev’essere sempre un sentimento, una sensazione ‘calda’ e istintiva alla base se si vuole comunicare qualcosa a chi ascolta. E poi, come dicevo prima, volevo che ogni parte di questo puzzle – e per questo intendo non solo ciascuno dei tre album ma anche ogni singola canzone in esso contenute – funzionasse come un insieme ma che allo stesso fosse in grado di camminare con le proprie gambe anche individualmente. Sia l’appassionato che vuole seguire tutta la trilogia, così come l’ascoltatore occasionale che butta la puntina su un brano a caso di uno di questi album deve sentire qualcosa di emotivamente intenso in ogni momento e giammai dei semplici passaggi di collegamento tra un brano e l’altro o delle narrazioni didascaliche messe in musica tanto per fare ‘raccordi di montaggio’ come si dice nel linguaggio cinematografico. Dal punto di vista strutturale, più che a un concept tradizionale, Almost Mine può essere forse paragonato – con i dovuti distinguo e senza volersi equiparare in nessun modo alla grandezza dell’uno e dell’altro – a un incrocio tra il già citato Ziggy Stardust e un album come Shoot out the Lights di Richard e Linda Thompson: un insieme di canzoni che forse non nascevano con l’intenzione di raccontare una storia ma che alla fine parlano tutte di una relazione che si sta frantumando e ne diventano una cronistoria.

Davide

Nella tua musica io vi ho sentito molto il movimento pub rock, quello delle band londinesi dei primi anni ’70 che suonavano rock’n’roll, folk rock e blues e che sarà seminale per il punk rock (insomma Elvis Costello, Brinsley Schwarz, Graham Parker, Nick Lowe, Joe Strummer, Ian Dury etc.). Quali le principali influenze musicali in questo lavoro?

Ferruccio

Grazie! Non sai quanto mi lusinghi questo paragone! Sono un grande fan di quel suono, sia dei primi dischi dei cosiddetti ‘angry young men’ (Costello, Joe Jackson e il sottovalutatissimo Graham Parker) così irruenti e immediati, che del pub rock/proto punk di Ian Dury, Dr. Feelgood – nonché del Wilko Johnson solista e di quello dei Solid Senders. Mi piacciono tantissimo anche i 101ers del Joe Strummer pre-Clash, il Nick Lowe di dischi come Jesus of Cool e Labour of Lust, i Rockpile, il Dave Edmunds solista, il songwriting candido di Wreckless Eric, il chitarrismo nervoso di un Chris Spedding nonché la versatilità minimalista dei Brinsley Schwarz. Pensa che a coloro che, durante la lavorazione, mi chiedevano che suono avesse questo terza parte dicevo ‘immagina un disco della Chiswick o della Stiff tra il 1976 e il 1979… quindi direi che questa influenza sul mio sound si sente tutta e ne vado orgoglioso!

Mi piace anche il suono nichilista e stradaiolo della Sensational Alex Harvey Band e il glam/art rock lascivo, eccentrico e malinconico dei Cockney Rebel, Be-Bop Deluxe e, ovviamente, dei Roxy Music. Poi T-Rex, Wire, i Felt di Lawrence, Robyn Hitchcock (sia con i Soft Boys che in versione solista/Egyptians), Billy Bragg…potrei continuare per ore. Dall’altra parte dell’oceano i nomi tutelari sono i Modern Lovers di Jonathan Richman, i Velvet Underground, i Feelies del primo album, Johnny Thunders sia da solo che con i Dolls e gli Heartbreakers, il mio adorato Stan Rigdway, il primo Marshall Crenshaw, i Suicide, gli Hüsker Dü, Devo, i primi R.E.M. e band come Human Switchboard, Pylon, B-52’s, Guadalcanal Diary, Plimsouls, Nerves, Big Star, Angst, Wipers, Love, i Byrds, la West Coast Pop Art Experimental Band, il Pasley Underground di Dream Syndicate, Green On Red, True West, Rain Parade e via discorrendo. Poi c’è la mia adorata Australia, sia quella di Saints, Radio Birdman e Hoodoo Gurus che quella più riflessiva e malinconica di Go-Betweens, Triffids e Died Pretty. Ultimamente sto riascoltando moltissimo una grande band neozelandese, i Chills di quel genio di Martin Phillips. Come puoi capire, a me il rock and roll piace praticamente in tutte le sue forme e derivazioni; è normale che in quello che scrivo e suono si senta un poutpourri di influenze per lo più inconsce. Spero solo di sintetizzarle bene e, soprattutto, di mettere in questo melange quanto basta del mio carattere e della mia sensibilità per farlo suonare personale e interessante.

Davide

Dopo tanto rock, tutto finisce con “Paragraph”, un jazz quasi da vaudeville o, meglio ancora, uno spettacolo di varietà. “Almost Mine” è stato infine uno spettacolo d’arte varia, fatto di attrazioni diverse senza un vero filo conduttore che li unisca, nonostante l’apparenza? Cosa vi concludi esattamente, anche testualmente? E cosa conclude ad oggi di te e del tuo percorso artistico?

Ferruccio

Come ho spiegato prima, il filo conduttore c’è eccome e si dipana dal primo brano della Part 1 fino a Paragraph, il brano a cui ho affidato i titoli di coda alla fine del terzo disco. Questa è la canzone che mette la parola fine sulla storia di Fernando: ci tenevo a salutare con una canzone che suggerisse leggerezza e ironia, almeno in apparenza. Musicalmente, con il suo andamento jazzy il brano vuole evocare l’atmosfera di un teatrino di cabaret della Berlino all’epoca della Repubblica di Weimar. Sul palcoscenico è stata appena messa in scena la storia di Fernando e poco prima che il sipario cada per sempre su questa tragicomica pièce in tre atti, l’attore principale congeda lo scarso pubblico intervenuto con questa sorta di carosello finale apparentemente spensierato che sembrerebbe voler stemperare la tensione accumulatasi in precedenza e salutare gli spettatori su una nota leggera. Il testo del brano però insinua un dubbio – che per Fernando suona però quasi come una certezza e che presenta forse l’aspetto più amaro, desolante e beffardo di tutti: quasi un elefante invisibile che rimane sospeso nell’aria alla fine di questa tragicomica rappresentazione. Io ho scritto, prodotto, suonato, registrato e pubblicato tre interi album (con le relative outtake) a proposito di una relazione con una persona che se mai dovesse scrivere la propria autobiografia molto probabilmente non dedicherebbe neppure un paragrafo alla nostra strana storia o che forse non menzionerebbe neppure il sottoscritto neanche in una nota a piè di pagina nel libro della sua vita. Questo la dice lunga su come i rapporti umani siano spesso disperatamente sbilanciati e su come spesso si ripongano speranze, desideri, aspirazioni nelle situazioni e nelle persone sbagliate. Ma è così, non c’è nulla che si possa fare al riguardo se non riflettere, e se vuoi anche ridere, di queste miserie grazie alla musica, alla letteratura, al cinema, alla poesia e a tutti gli strumenti espressivi che la natura umana ci mette a disposizione. Del resto, siamo esseri fallaci e Fernando è di gran lunga il mio lato più fallace di tutti, quello che mi fa compiere errori madornali come quello che racconto in Almost Mine. Per questo spero di aver esorcizzato, scacciato e ucciso il Fernando che è dentro di me con questa trilogia di dischi.

C’è poi anche un altro motivo importante che rende Paragraph un brano che per me rappresenta la chiusura di un cerchio di una closure, come dicono gli inglesi, sia sentimentale che artistica. Tra gli amici collaboratori di cui parlavo prima non ho citato Markus ‘Biti’ Bauck, chitarrista berlinese, nonché la persona a cui devo tutta la mia avventura di improbabile rocker. Quando abitavo ancora a Giulianova e mi nascondevo nella mia cameretta, Biti mi ha dato il coraggio di pubblicare le mie prime canzoni. Le registrammo insieme e le pubblicammo in un demo uscito a nome Clumsy Lovers nel 1993 e che finì per essere recensito sulle colonne di Rockerilla: quello è stato l’inizio di tutto per me. In Paragraph possiamo sentire Biti alla chitarra e ai cori. Dal lontano 1993 questa è la prima volta in cui figuriamo insieme in un’uscita ufficiale. Il fatto che la persona grazie alla quale è iniziato tutto per me mi accompagni anche nel brano che chiude questa trilogia per me ha un significato molto importante.

Davide

Come è cambiata secondo te la musica prima e dopo la pandemia? E cosa ne pensi della musica in Italia e del suo inesorabile illiquidirsi a cui per fortuna non tutti stanno cedendo, pubblicando ancora musica su CD o, come anche nel tuo caso, su Long Playing?

Ferruccio

Mi fai una domanda, anzi tre domande in una, di proporzioni gigantesche: posso dirti che già prima della pandemia e dei conseguenti lockdown, proprio a causa di quell’illiquidirsi e del parcellizzarsi dell’esperienza dell’ascolto della musica, le persone stavano perdendo la prossemica, la sintassi e la grammatica fisica riguardo a come partecipare a un concerto rock. La gente sembra imbarazzata, come se non sapesse che posizione fisica assumere se non quella a capo chino con lo sguardo rivolto su un cazzo di schermo di un cellulare. L’altra posizione ammessa è quella col cellulare in alto a riprendere qualcosa che sta avvenendo davanti a te, accumulando video che non verranno mai rivisti o che verranno fagocitati dal web per la vanagloria di un like. Tutto pur di non vivere un momento hinc et nunc partecipando con corpo cuore e mente a quello che sta avvenendo: troppe variabili troppe emozioni forti offre l’interazione reale con gli altri individui, molto meglio ripararsi dietro device tecnologico da cui si finge di comunicare col mondo. Con non troppa convinzione, speravo che dopo il trauma della pandemia la gente si fosse resa conto di come è facile perdere certe occasioni per vivere un evento in condivisione fisica con altri esser umani: invece mi pare che la forza dell’intrattenimento domestico (Netflix et similia) sia sempre più dilagante e che molti preferiscano morire dentro uno schermo che offre, anche quando paventa esperienze di interattività ‘social’, un surrogato dell’esperienza umana, una sua forma abbrutita e semplificata, piuttosto che recarsi in un luogo in cui potrebbe incontrare altri esseri umani in carne ossa. Chi ci comanda e gode del profitto del nostro lavoro e dai nostri consumi non può che trarre enormi vantaggi da tutto questo. Divide et impera è un detto sempre valido. Per quanto riguarda i formati per me va bene tutto se serve a diffondere e a far conoscere la musica. Sono solo preoccupato dal fatto che la tecnologia attuale praticamente azzera qualsiasi percorso di acquisizione della conoscenza: al momento quella che circola su queste piattaforme mi pare più mera informazione musicale piuttosto che conoscenza reale. Come ci si può appassionare realmente di qualcosa che è sempre lì a nostra disposizione, per cui ‘basta un click’ come dicono certe pubblicità odiose? Io credo che il motivo per cui a cinquant’anni passati sono ancora qui a dannarmi per la musica sia essenzialmente legato ai percorsi che ho dovuto fare ancora prima di suonare: percorsi, spesso anche fisici, obbligati anche anche solo per avere la possibilità ascoltare un disco o una sola canzone di una band che amavo. Questi percorsi mi hanno formato come persona, hanno definito la mia vita sociale, hanno rafforzato la mia volontà nel portare avanti la mia passione. Mi chiedo cosa possa sostituire tutto questo nel creare attaccamento alla musica nelle nuove generazioni: ma io sono un vecchio e quindi, se qualcosa di simile esiste ancora oggi, sicuramente mi sfugge. Passando ai formati, io continuo a stampare la mia musica in vinile perché ritengo che, quantomeno per quanto riguarda il rock, l’esperienza di ascolto che offrono i formati fisici a 33 e 45 giri sia quella migliore per immergersi appieno nella visione e nella poetica della band o dell’artista che si sta ascoltando: non parlo di suono e basta, parlo di esperienza di ascolto tout court. Io concepisco i miei album per il formato a 33 giri su due o più lati, sia in termini di scaletta del disco e di ordine dei brani sia per quando riguarda la grafica e l’estetica del progetto.

La mia visione, la comunicazione che voglio stabilire con gli ascoltatori passa anche attraverso l’artwork del disco, l’ordine in cui sono disposti i brani, le note di copertina: per questo e mille altri motivi le altre forme di condivisione della mia musica mi appaiono incomplete rispetto a quella in LP. Incoraggio quindi chi è interessato alla mia musica ad ascoltarla, anzi ad esperirla, su vinile. Tutti gli altri formati vanno benissimo per ‘spargere la voce’ ma se mi chiedi qual è il mio preferito e quello in cui la mia idea può essere recepita meglio da chi mi volesse seguire non ho dubbi ecco: probabilmente è solo un fatto generazionale, ma è così. Detto questo, odio chi specula sugli appassionati e su questo reale o presunto ‘ritorno del vinile’, mettendo in vendita i propri dischi a prezzi insensatamente alti: a fronte di queste operazioni, fanno bene quelli che scaricano tutto gratis. Nel mio piccolo, mi sforzo da sempre di tenere i prezzi del vinile al pubblico molto contenuti proprio per far sì che la mia musica rimanga accessibile a più persone possibili anche in questo formato che ritengo perfetto per il rock and roll.

Davide

Cosa seguirà?

Ferruccio

Anche a me piacerebbe saperlo. Al momento, l’unica cosa di cui sono certo è che questo disco rappresenta l’uscita di scena di Fernando e la conclusione della sua storia: nel prossimo futuro svelerò qualche outtake o alternate version dei tanti brani registrati durante le session di questi tre dischi, ma per l’appunto si tratterà solo di uscite collaterali rispetto alla trilogia. Poi ovviamente cercherò di suonare dal vivo per far conoscere Almost Mine a più persone possibili, ma non sono ancora in grado di dire se Ferro Solo sopravviverà a Fernando. Qualora in futuro dovessi sentire la stessa impellente necessità di scrivere e condividere le mie canzoni che ho provato quando è iniziato tutto questo lo farò di certo. Tuttavia, se questo non dovesse accadere potrei anche fermarmi qui con Ferro Solo. Vedremo.

Davide

Grazie e à suivre…

Ferruccio

Grazie a te e ai tuoi lettori!

Find Almost Mine by Ferro Solo at:

https://riffrecords.bandcamp.com/music

https://www.facebook.com/hellnationmusic

https://ferrosolo.bandcamp.com/

 

Commenta