Intervista con Joy Grifoni
12 min readPURE JOY
EARTHINGS
Abeat Records, 2024
Il nostro viaggio come progetto Pure Joy inizia nel 2016 e negli anni la nostra giovane famiglia musicale è cresciuta in fretta arricchendosi di nuovi colori e linguaggi da tutto il mondo. Nel 2018 esce il nostro primo album per Abeat intitolato “Spirit of the wood” e con esso diamo il via a un percorso di ricerca creativa dedicato alla forza e alla bellezza della natura (ispirati dalla filosofia cinese del Wu-Xing).
Meno di un paio d’anni più tardi, alle soglie del 2020 esce il nostro secondo lavoro “Firedance”, e in pochi anni, grazie alla nostra musica, abbiamo avuto la possibilità di collaborare con importanti artisti del panorama italiano quali Stefano D’Anna, Fausto Beccalossi, Guido Bombardieri, Giovanni Amato ed Emanuele Cisi.
Abbiamo compiuto insieme molti viaggi, suonato in rassegne e locali di ogni genere. Abbiamo riso, sognato, lottato e crteduto, sempre insieme. Appena uscito il nostro secondo album, tuttavia, è scoppiata la grande pandemia che ha fermato tutto il mondo. Questo evento inaspettato ci ha colpiti duramente, separandoci territorialmente e segnando le nostre vite con molkte perdite importanti.
Per me che scrivoi queste poche note introduttive è importante dire che il disco che state ascoltando è il frutto di due anni di silenzio forzato che ha rappresentato moltissimo per me, sia artisticamente che umanamente. La totale impossibilità di fare concerti mi ha dato occasione di scrivere molta musica e anche di riflettere profondamente sul mondo, nuovamente osservare la natura e trovare alcune delle risposte che cercavo.
Ho capito quanto è importante che tutto abbia le sue stagioni, come ogni elemento della natura altro non è che un percorso per arrivare alla consapevolezza che tutto è fortemente interconnesso. Connessi gli alberi con le loro foglie e radici, connessi gli animali nel ciclo della vita, connessi gli uomini di ogni cultura, connesso ciò che è e con ciò che è stato e ciò che sarà. Tutto il resto sono solo nomi portati dal vento.
Tutti siamo migranti su questa terra, terra che è elemento di vita, di forza, di speranza. Il nostro grande viaggio continua e la nostra grande nave è una dimensione artistica in cui è necessario che viga la massima accoglienza del diverso, dal quale possiamo apprendere un importante pezzo mancante.
Joy Grifoni
Nota introduttiva dal booklet
Intervista
Davide
Buongiorno Joy. Cominciamo dal titolo: sembrerebbe un calembour tra la parola “earthling” (terrestre) e “ear” e “things” (cose dell’orecchio), oppure un invito a udire le cose.
Cosa vuol dire esattamente nel presentare e racchiudervi le otto composizioni di questo disco?
Joy
Buongiorno Davide, il titolo nasce esattamente da questo gioco di parole fra “ear” ed “earth” perché l’ascolto è ciò che crea comunicazione, comunanza, comunità, umanità terrestre. Per completare questo disco sono stati necessari quattro anni dato che dalla prima registrazione alla fase finale di lavorazione l’umanità (dunque noi stessi come band in fermo forzato dalle contingenze) ha attraversato una pandemia globale e sfiorato un conflitto mondiale. Tutto ciò che si è verificato in conseguenza a questi due eventi ha comportato un grosso cambiamento dell’economia, delle identità, della natura, della scienza, dell’arte e dunque dell’intera società. I rapporti sociali si sono inariditi, i sogni incupiditi, l’arte si è fatta intrattenimento, le identità si sono infragilite fino a restare un fragile guscio estetico. Tutto è molto veloce e superficiale, fatto in serie, buono per tutti, già visto. Il messaggio che amerebbe comunicare quest’opera è una necessità di ritorno alle radici (che affondano appunto nel grembo terrestre, origine della vita), alla poesia, alla parola, al suono, alla percezione dell’altro, all’autenticità. La terra ha bisogno di fertilità per manifestare il grande atto che ne contraddistingue la natura elementale: il creare.
Vorrei aggiungere inoltre che, tecnicamente, un “earthing system” è il sistema di scarico a terra di un circuito elettrico. In medicina olistica la pratica di earthing è una tecnica antichissima di riequilibrio dei sistemi vitali (nervoso, immunitario, endocrino, etc.) grazie al contatto diretto dei piedi (uno dei poli del sistema nervoso) con la terra. Curioso notare come il polo opposto sia il sistema nervoso centrale il quale orienta le sue polarità mediante il sistema auditivo. Mi sono sembrate delle coincidenze interessanti sulle quali ho voluto riflettere attraverso vari linguaggi creativi.
Davide
“Earthings”, fin dai titoli, mutuati da diversi idiomi africani e ognuno tale da esprimere un certo concetto (terra madre, umanità, ospitalità, libertà ecc.), è un lavoro che include anche il mondo sonoro, soprattutto ritmico, africano? Sono per altro presenti alcuni strumenti musicali africani quali la kora e percussioni quali djembé e kalabassa o calabash. Quanta Africa è, dunque, presente in “Pure Joy” anche musicalmente e come l’avete intrecciata al linguaggio del jazz?
Joy
Onestamente non so se le mie scritture sono scritture jazz, sono melodie che rubo alla natura spesso ascoltando gli uccelli, il vento, l’erba dei campi. Forse si trasformano in un certo idioma per colpa degli studi che ho compiuto fra la classica e vari linguaggi contemporanei. Posso dirti che il concetto di jazz mi piace molto perché ci vedo il guizzo vitale, lo slancio, il gesto fatto di getto dietro al quale c’è una lunga digestione di tante idee provenienti da tante culture diverse. Pollock nei sui schizzi era molto jazz, era puro inconscio. Nel jazz c’è molto inconscio ed evidentemente nel mio inconscio c’è stata una volontà di ritorno al grembo, alla natura primigenia. Non è un caso che questa ricerca d’Africa mi sia venuta fuori dopo tanti anni vissuti in grandi metropoli chiassose.
Tornando alla pace della campagna ho ritrovato dei suoni d’infanzia che ho sentito necessario ripercorrere. Dopo quasi vent’anni ho ricercato il mio maestro Pap Kanoute che quando ero ragazzina mi insegnava le canzoni e le leggende del Senegal e del Mali. Devo molto a quell’uomo, mi ha insegnato a sognare. Questo disco è un pò dedicato a lui, gli volevo dire che ho capito, che ho sentito, che porto con me i suoi insegnamenti.
Davide
La copertina è una tua pittura astratta e apparentemente materica. Potrebbe rimandare a dei segni di pittura facciale tribale, magari anche a quelli delle cicatrizzazioni ornamentali, o magari qui cicatrici di qualche altro significato non puramente estetico. Cosa esprime?
Joy
Sono felice che alle mie opere si possono attribuire molti significati, questo è davvero un bene perché significa che sono opere di libertà. In realtà i colori sono quasi sempre un pretesto, il vero significato sta nella sensazione tattile, nascono come altorilievi da toccare. Quando creo un quadro non mi domando mai cosa voglio raffigurare ma accade sempre il contrario. Il colore va dove vuole e poi col tempo l’opera mi dice il suo nome. Ho commesso più volte l’errore di voler raffigurare qualcosa, anche con l’intenzione di riflettere sui concetti base di questo album. Ho tracciato molti cerchi pensando di raffigurare la terra ma era tutto vuoto, didascalico e dimostrativo. Mentre dipingevo uno di questi quadri terrestri avevo una tela appoggiata sul bancone sulla quale avevo già preparato un bel fondale indaco. La mia mano è andata da sola e sono venute fuori queste “cicatrici”. Ci sono voluti diversi giorni per capire che nella mia testa erano i solchi dell’aratro, inizio delle culture stanziali e dunque delle scritture. La radice della radice, il momento in cui si apre la terra per farvi cadere il seme.
Davide
Quali differenze e quale continuità sono presenti in “Earthings” rispetto al vostro primo lavoro, “Spirit of the wood” e al successivo “Firedance”?
Joy
Si tratta di tre viaggi davvero molto differenti. Il primo disco era dedicato al legno, l’elemento vivo per eccellenza. Un elemento giovane, primaverile, il germoglio di una ricerca. C’era dentro tanto Mediterraneo grazie alla fisarmonica di Beccalossi, al sax del siciliano D’Anna. Mi interessava parlare delle foreste ma anche della macchia, di quella sensazione che si prova uscendo dal fogliame incontrando con la vista il mare. L’odore del sale che si mischia con la resina ed il ginepro. Ma anche il fresco del sottobosco e l’odore di terra dei miei adorati boschi umbri, così ricchi di acque e di vita. Spirit racconta delle sensazioni fisiche più pure della mia infanzia.
Firedance è un viaggio nelle tinte forti e probabilmente parla della mia adolescenza e della prima gioventù, della volontà di potenza, di riscatto. La copertina di Firedance si intitola “Prometheus” mito molto vicino a quello più antico della fenice. Dalla porta della foresta si scende nelle viscere ignee della vita (l’inferno) dove si incontrano la codardia, la delusione, l’ira ma anche la voglia di rinascere e risalire. Ho pensato all’America e alle sue contraddizioni, ho pensato all’oceano Atlantico e dei drammatici viaggi dei nostri nonni sperando un riscatto sociale. Ho pensato al fuoco delle streghe e degli schiavi, fuoco razzista e oltranzista che ancora oggi non è estinto e che si potrà addomesticare solo grazie all’arte e alla scienza, divenendo luce, calore, purificazione.
Sono tre tappe di un viaggio più lungo, un viaggio che per forza di cose sarà almeno decennale perché vorrei raccontasse le mie maggiori scoperte nella vita, le mie ricerche, gli errori e possibilmente le soluzioni insperate che mi auguro possano rendersi utili anche dopo di me in qualche modo affinché il viaggio stesso abbia un significato sincero.
Davide
Wu Xing, che significa ordine dei cinque elementi, è un concetto tipico della cultura cinese che viene utilizzato in svariati campi, dalla medicina tradizionale cinese alle arti marziali. Come ti ispiri o vi ispirate fin da “Spirit of the wood” a questa dottrina della filosofia cinese, e in che modo, applicandola invece alla musica? Si può dire, tra l’altro, che con i precedenti lavori hai/avete percorso gli elementi legno e fuoco e ora, con l’Africa, è stato il turno della terra?
Joy
Wu Xing è una ruota, un eterno ritorno. Come le stagioni, come la materia stessa che continuamente si trasforma. Credo che la medesima energia vitale funzioni allo stesso modo, e così anche l’arte, la musica. I suoni, in fondo, non sono infiniti e così neppure le loro combinazioni, eppure… Io sono alla ricerca della gioia pura. Il mio nome stesso, Joy, viene dall’indeuropeo “gehw” che significa semplicemente “energia”. Attravero le arti e la scienza sto studiando le varie declinazioni dell’energia in tutte le sue meravigliose forme. Credo che quando potremo dimostrare che davvero nulla si crea e nulla si distrugge finalmente capiremo che ogni essere vivente (dotato di energia) non è che un pezzetto di un unicum più grande e finalmente ci sarà la speranza di ottenere una coscienza grazie alla quale non ci sentiremo più disgiunti dal temuto’”altro”, estraneo che sia pesce, uccello, cane, albero, essere umano con altri colori e altre idee.
Davide
Descrivi il progetto di Pure Joy come una famiglia musicale. Cosa intendi per famiglia musicale invece che più semplicemente un gruppo?
Joy
Forse sarebbe più corretto dire che il progetto è una stanza, una casa, una dimensione in cui possiamo transitare e incontrarci per scambiare le nostre idee sulla vita. I compagni di viaggio con cui ho iniziato questo percorso erano all’epoca il mio compagno e due cari amici, con i quali ho condiviso tante esperienze dai concerti più bizzarri alle vacanze. Mi sarebbe piaciuto portare avanti il concetto di band proprio come quelle del rock che provano assiduamente nel garage per cercare un’identità insieme, un sound. Questo nel mondo del jazz manca un pò, sono piuttosto rare le formazioni “longeve”, ma resto convinta che per fare una ricerca sul suono sia importante creare dei legami umani e artistici duraturi. Questo non significa che le persone non siano comunque libere di entrare e uscire dalla stanza per curiosare, per dire la propria o per congedasi quando non c’è altro da aggiungere. Ognuno ha lasciato e lascerà qualcosa di sé, da questo nascono altre idee. Come in una famiglia ci si si tramanda un gamete, un germe identitario.
Davide
“Ubuntu”, termine bantu Ngui che significa umanità e sta a significare “io sono perché noi siamo”, è dedicato a John Coltrane, uno degli artisti più omaggiati di sempre. Cosa gli tributate o attribuite in particolare attraverso questo omaggio? Quale pensi sia state il suo più importante lascito?
Joy
Coltrane ci ha lasciato moltissimo, è stato un vero profeta. La sua meravigliosa visione resta quasi un mistero ancora oggi. Partito dal rhythm and blues e arrivato ad Ascension ha trasformato la musica in preghiera, scoprendo il potere della meditazione. Sono davvero profondamente appassionata della sua ricerca, non solo musicale ma anche umana, filosofica. Coltrane ha trasformato il dolore psicofisico in energia. E questo è il miracolo che noi tutti possiamo fare se togliamo tutto ciò che non serve, arrivando all’essenza più pura della vita, ovvero l’unità ancestrale.
Davide
Al jazz come linguaggio musicale che ha avuto un ruolo significativo nei processi di costruzione sociale della realtà e dell’immaginario collettivo ne ha scritto Gildo De Stefano nel suo saggio “Una storia sociale del jazz, dai canti della schiavitù al jazz liquido”. Qual è oggi, dal tuo punto di vista il ruolo del jazz nella nostra società?
Joy
Un mio caro amico che oggi non c’è più scrisse un bellissimo libretto sulla storia sociale del jazz, lui si chiamava Carlo Acreman e il libro “L’oca grigia”. Quando lo lessi avevo dodici anni e non capii molto, ma mi rimase impresso e cercai di proseguire la sua riflessione dopo di lui; per questo faccio arte e ricerca nel modo che vedi oggi. L’arte è un importantissimo strumento politico e sociale. O meglio, lo era. Oggi mi pare che l’arte sia un sottobosco spesso manierista in cui si indulge più che scardinare, che poi sarebbe lo scopo della ricerca (l’innovazione, intendo). Fare qualcosa di nuovo non produce commercio, le persone acquistano ciò che è rassicurante in quanto già noto. In tal modo rinforzano quella che pensano possa essere la loro identità. Questo mi fa pensare che siamo molto confusi. Se avessimo le idee ben chiare su chi siamo, probabilmente saremmo tutti più curiosi, alla ricerca di cose nuove. Ma produrre cose nuove ha un costo enorme: al mercato conviene create un prodotto unico che vada bene per tutti. Oggi il jazz è televisivo e credo che questo sia davvero il canto del cigno. Quando qualcuno mi chiede perché non ho la televisione, io rispondo sempre che questo è il mio modo di votare. Nei prossimi dischi del progetto ho davvero un’estrema urgenza di innovazione, e ne conosco bene i costi, ma il guadagno è impareggiabile: la libertà.
Davide
Ancora un disco con la Abeat Records. C’è dunque e continua la giusta intesa con l’etichetta di Mario Caccia?
Joy
Come ti raccontavo, con Earthings siamo arrivati alla metà del viaggio. Siamo entrati nella selva, scesi nell’inferno e poi risaliti sulla terra. D’ora in poi si sale e sarà di estrema importanza alleggerire tutto. Prima di tutto credo che ridurrò le note e gli accordi, ridurrò l’organico, le aspettative di riscontro, i legami col denaro, tutto. A Mario devo molto in termini di incoraggiamento inconsapevole di questa pervicacia nel viaggio. Quando ho mosso i primi passi con il progetto ero una giovane musicista con molti vagheggiamenti di successo, in quanto donna in un mondo maschile (spesso sessista) come quello del jazz italiano, volevo essere vista, riconosciuta come “idonea”. Poi ho rischiato di morire e ho capito quanto fosse importante il mio tempo, tutti questi concetti hanno smesso di importarmi totalmente. Molte cose di me sono cambiate nel frattempo, soprattutto la mia visione sullo scopo dell’arte e del mondo. Ho un sentimento di gratitudine per tutto quello che ho vissuto perché tutto ha contribuito a questo meraviglioso viaggio. Ora questa musica ha bisogno di libertà, di uscire dalla plastica dei cd, dalle logiche del mercato. Vorrei trovare un sistema affinché l’ultima tappa sia un’opera addirittura irriproducibile affichè si possa finalmente superare la materia per capire meglio l’energia. Non voglio dirti nulla di più su questo, ma sono certa che se proseguirete nell’osservazione del nostro itinerario sapremo stupirvi.
Davide
Grazie e à suivre…
Joy
Grazie a voi per avermi dato modo di spiegare meglio qualche mia riflessione creativa, spero davvero potremo rincontrarci per condividere dal vivo qualcosa di vivo, un’arte di pura energia