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Intervista con Michele Perruggini

13 min read

Ogni nuova vita germoglia prorompente. Splende di luce ed energia primordiale, predisposta a gioia, curiosità, entusiasmo, amore… Con meraviglia e disarmante naturalezza, ci mostra il volto del divino in terra.

Ma sin da bambini, per proteggerci, ci viene raccontato un mondo che non c’è. E nel frattempo, la società ci nutre di ulteriori menzogne, cinismo, pensieri socialmente corretti ma eticamente e biologicamenre corrotti. E così, la verità del comportamenmto emozionale lascia spazio al comportamento socialmente accettabile, che ci fa sentire più sicuri e meno “sbagliati”.

Vengono disattese aspettative e speranze, e siamo spinti ad un’esistenza frenetica, contro natura, caratterizzata da narcisismo, competizione e disuguaglianza. Cadono una ad una le certezze dell’infanzia, mentre la magia e l’assonanza vibrazionale lasciano sempre più spazio alla cruda realtà, così diversa da ciò che ci avevano raccontato…

Il dolore è profondo, indescrivibile. Guerrieri senza scelta, in silenzio, pariamo colpi proteggendo quella luce che, inevitabilmente, si affievolisce. A volte resiste, in misura individualmente diversa. Altre volte la si può persino perdere del tutto, lasciando spazio all’oscurità e all’insaziabile bestia che è, comunque, parte di noi.

Pur disillusi, perseveriamo strenuamente alla ricerca della luce poiché questo portiamo dentro per natura. E ciò che è inevitabilmente più tenace di qualunque oscurità.

Michele Perruggini

(Note in copertina)

Bio in sintesi.

Nasce a Bari il 21 giugno del 1969 e prende le prime lezioni di batteria nel 1986 a circa 17 anni, studiando privatamente. Dopo pochi mesi inizia suonare in vari gruppi locali tra cui i Mother Shame (rock progressivo), con cui realizza lavori in studio e dal vivo recensiti in Italia e all’estero da diverse riviste specializzate. Nel’91 accompagna il cantautore barese Maurizio Grondona e lavora al primo cd degli Indigo Blue. Nel ’92 è al seguito del cantautore tarantino Mimmo Cavallo e, attratto dal Jazz, comincia a collaborare con diversi musicisti locali. In seguito si dedica ad alcuni progetti musicali di vario genere tra cui: Castalia (new age), F.M.P.S. (fusion), Mercato Nero (funk), Nabelladì (world music).

Nel ’96 suona in due gruppi della scena acid jazz barese: Guido Orsini Group e Complanare Ovest, come pure nei Moving Clouds (etnojazz), nei Funambolici Vargas (musica d’autore), collaborando inoltre, con il bluesman americano Doug Duffey. Nel periodo ’97-’98 suona fondamentalmente nella Latin Jazz Ensemble e con i gruppi di cui sopra in diversi festival, concorsi e rassegne nazionali e internazionali. Lavora poi al primo disco dei Moving Clouds “Oltre confine” e dei Funambolici Vargas “Canzoniere Copernicano”, quest’ultimo in collaborazione con Antonio Marangolo e “Lilli” Greco, pubblicato dalla EMI.

Ha partecipato ad alcune produzioni Mediaset e Rai e ha suonato inoltre fino al 2001, in Italia e all’estero, con: X Darawish (etno-rock), con il cantante Kostis Maraveyas, No Man’s Land (celtica), Blue Devils (blues), Metropolitan Sound (jazz-fusion). Dal 2003 ha collaborato fondamentalmente con il gruppo di musica d’autore Radiobunker, con alcuni membri dei Folkabbestia in un progetto di musica popolare irlandese Four Dunken Nights, con il chitarrista Dino Plasmati, con il pianista Mirko Signorile, con i Pommodors, con gli attori: Totò Onnis, Ilaria Failini, Giusy Frallonardo e tra gli altri, per circa tre anni, con il “cantante neomelodico” Luca Medici (Checco Zalone).

Nel 2010 collabora con i cantautori: Daniele Di Maglie, Matteo Marolla, Alessio Lega, Giorgio Consoli, Lorenzo Mannarini, Andrea Epifani, Angelo Ruggiero e Luca Basso, per lo spettacolo dedicato a Fabrizio De Andrè “Le Canzoni Della Collina”.

Negli ultimi anni, oltre a suonare nei contesti più disparati, si è dedicato molto alla didattica in diversi progetti per scuole private e pubbliche, realizzando inoltre un metodo scritto per lo studio della batteria pubblicato nel 2009 dal titolo “Professione Batterista” (Florestano Edizioni). Nel 2013 pubblica “Prof Drum”, una “App” didattica per tablets e smart phones scaricabile sull’App Store e Google Play.

http://www.micheleperruggini.it/

Intervista

Davide

Buongiorno Michele. Ultima uscita, “Disillusion” segue altri lavori quali “In volo” del 2019 e “Attraverso la nebbia” del 2015, entrambi pubblicati con la Abeat. Come nascono queste nuove composizioni, cosa mantengono in continuità con i precedenti, cosa invece introducono di nuovo o diverso?

Michele

Buongiorno a te e grazie per la domanda. Le mie composizioni nascono sempre da un momento in cui mi viene voglia di sedermi al pianoforte per esplorare la tastiera con curiosità, al fine di cercare qualcosa che rifletta il mio stato d’animo, o che mi conduca da qualche parte che mi coinvolga emotivamente. Se devo trovare qualcosa in comune con le precedenti composizioni, tutte sono il risultato di armonie e melodie che mi emozionano intensamente. Sicuramente hanno in comune la liricità, le influenze di Classica, Jazz e dei colori del Mediterraneo. Di nuovo c’è che si tratta di un lavoro in cui tutti i brani sono collegati armonicamente, come fosse un unico viaggio in cui si affrontano tante esperienze e immagini diversissime, che comunque fanno parte di un unico percorso. In realtà, persino la sequenza dei titoli ne esprime il “racconto”. Poi c’è sicuramente più spazio alle percussioni, che ho voluto molto presenti. Mentre gli archi hanno un ruolo minore rispetto al passato.

Davide

Negli anni hai suonato quasi ogni genere musicale. Mutuando un paragone dalla fisica, qual è oggi la tua personale equazione di sintesi e unificazione dei diversi generi; qual è, dunque, la tua visione totale della musica?

Michele

Si! Ho avuto la fortuna di fare tante esperienze diverse. Penso che la musica fondamentalmente sia una. Se ti emoziona, va bene. Altrimenti, no. Certo, per apprezzarla davvero profondamente credo sia importante conoscere da dove veniamo, i vari generi che si sono succeduti nel tempo, i grandi nomi che ne hanno fatto la storia. Bisogna ascoltare di tutto, senza preconcetti, cercando di capire le caratteristiche e le motivazioni sociali che ci sono state dietro la nascita di un fenomeno musicale. Oggi, in un mondo ormai estremamente collegato, penso sia di fondamentale importanza lasciare spazio alle contaminazioni che possono arricchire l’esperienza musicale di musicisti e ascoltatori. Non capisco, invece, la rigidità dei cosiddetti “puristi”. Se pensiamo al passato, i generi musicali più importanti e persino la nascita di strumenti come la batteria, sono il risultato dell’incontro tra culture diverse.

Davide

Puoi presentarci i musicisti e ospiti che hanno suonato con te in questo disco?

Michele

Con piacere. La base fondamentale della band è formata da: Roberto Olzer, che è un pianista meraviglioso, estremamente aperto, sensibile ed espressivo. Poi al contrabbasso c’è il grande Yuri Goloubev, che ha una grande energia ritmica, creatività, e la capacità di arricchire molto senza mai risultare invadente. Al sax soprano e clarinetto c’è Guido Bombardieri, che per me è un fenomeno assoluto di virtuosismo (mai fine a se stesso), lirismo ed espressività. Alle percussioni Gilson Silveira, un grande, che ha la capacità di far suonare qualunque oggetto. Poi ho avuto la gioia di ospitare in alcuni brani altri grandi musicisti. Alla fisarmonica, ad esempio, un fuoriclasse assoluto: Fausto Beccalossi. Quando l’ho sentito in studio mi sono emozionato profondamente e sono rimasto impressionato dalla sua intensità espressiva e di quanto sia una cosa sola con il proprio strumento. Poi, alle chitarre elettriche c’è il carissimo Pino Mazzarano, che ha saputo immergersi con grande feeling nel clima dei brani. Alla chitarra classica Peo Alfonsi, che ha dato energia e ulteriore sapore mediterraneo. Infine, l’ottimo quartetto d’archi composto da: Cesare Carretta al violino, Silvia Maffeis al secondo violino, Vincenzo Starace alla viola e Nicolò Nigel Nigrelli al violoncello. Ospite speciale nell’ultimo brano, il mio grande amico e mentore Agostino Marangolo, musicista straordinario, di una musicalità innata e prorompente. Mi sento davvero onorato e privilegiato per aver ricevuto il supporto da questa squadra di super musicisti e persone umanamente squisite.

Davide

Perché hai raccolto questi tuoi brani intorno al tema della disillusione? La musica è anch’essa una illusione rispetto alla realtà, una suscitatrice di illusioni, oppure un’arte che può darci ancora, con una accezione più positiva, delle possibilità di illuderci? Cos’è per te la musica rispetto a illusione o disillusione?

Michele

Non saprei dirti se reputo la musica esattamente un’illusione. Anzi, personalmente la vivo come energia ed esperienza molto reale, tangibile, che ti porta inevitabilmente a vibrare e vivere intensamente il “qui e ora”. Certo, se invece parliamo di canzoni, invece, si apre un mondo totalmente diverso perché ci sono i testi, attraverso cui il racconto dell’autore si fa più specifico e può condurti in luoghi precisi… Relativamente al perché, quando pubblico un album mi piace che ci sia un’idea di fondo e non si tratti semplicemente di una successione di brani. Il primo album ha come tema le difficoltà, rappresentate metaforicamente dalla nebbia. Il secondo, la fugacità della vita e la percezione del tempo durante l’esperienza umana. Il terzo è incentrato sulla disillusione perché mi ha colpito profondamente l’esperienza che, più o meno, tutti noi viviamo durante la crescita, quando vengono meno le aspettative dell’infanzia, rispetto alla vita reale, a se stessi, ai rapporti con il prossimo, al sistema sociale in cui siamo immersi…

Davide

“Disillusion” è un lavoro colmo di quieta e dolce malinconia mai disperata, piuttosto introspettiva, anche nei brani più mossi. E, di sottofondo, è sempre presente una luce calda ad accompagnare nell’ascolto. Qualcosa che mi ha ricordato una frase di Victor Hugo, che la “malinconia è la gioia di sentirsi tristi”. Che ruolo ha avuto per te la musica nella vita, fin dalla sua scoperta? Quale, più in particolare, la musica di “Disillusion” nel tuo ultimo periodo?

Michele

Mi piace molto la tua analisi e ti ringrazio. Se penso a quando ho scoperto la musica direi che mi ha rapito fin dal primo istante. Conservo un ricordo di quando ero bambino, mentre mi trovavo al matrimonio di mio zio, rimasi totalmente incantato a guardare la band che suonava. Poi, crescendo, sono sempre stato affascinato dalle colonne sonore dei film dell’epoca. A un certo punto, avvenne in casa mia una specie di rivoluzione: i miei fratelli maggiori, che già lavoravano, acquistarono un impianto stereo con tanto di mobiletto, come si usava allora, e mi innamorai definitivamente della musica che cominciai a conoscere: i cantautori italiani, il rock, il progressive… ero adolescente. Direi che la musica nella mia vita ha un ruolo fondamentale. Penso sia la compagna più fedele e preziosa che possiamo avere accanto nei momenti più importanti della vita. Poi, l’attività musicale mi ha permesso anche di viaggiare tanto e conoscere molte persone interessanti, culture diverse; il che mi ha aiutato sicuramente ad allargare la prospettiva. La musica di Disillusion rappresenta una foto precisa e vera del mio sentire più profondo nel momento storico in cui l’ho scritta.

Davide

Quali sono stati i compositori e musicisti più importanti, soprattutto quelli che ti hanno spronato a diventare tu stesso autore?

Michele

Mi riesce difficile dire chi siano i più importanti, perché ne ho amato così tanti e di generi diversi. Sicuramente ho subito il fascino dei grandi artisti della classica: Chopin, Mozart, Stravinskij, Debussy, Puccini, Vivaldi, Verdi… Poi, i giganti del progressive: Pink Floyd, King Crimson, Genesis, Yes… Relativamente al Jazz: Chet Baker, Bill Evans, Dave Brubeck, Herbie Hancock, Miles Davis, Keith Jarrett, Pat Metheny, i Weather Report… Ma anche della grande musica tradizionale napoletana, le colonne sonore di Morricone… Non so neppure io in realtà come mi sono ritrovato ad essere autore. Posso dirti che ho sempre avuto l’esigenza di esternare i miei sentimenti. Già da ragazzo scrivevo riflessioni, poesie… Poi, dopo tanti anni di musica, ho iniziato a scrivere e a “vomitare” istintivamente ciò che avevo dentro, attraverso le note. Mi è capitato di vivere emozioni talmente forti che spesso ho pianto mentre componevo, per cui decisi di far ascoltare i miei primi brani, per capire se valesse la pena pubblicarli, ad alcuni cari amici musicisti (Mirko Signorile, Giorgio Vendola, Leo Gadaleta, Alex Milella), i quali mi hanno apprezzato e incoraggiato, e così ho trovato la forza per proseguire.

Davide

Sei un batterista, ma probabilmente ti servi del pianoforte per la composizione. Suoni anche altri strumenti musicali? Ma, soprattutto, come procedi nella composizione combinando idealmente le possibilità di uno strumento percussivo a intonazione indeterminata (che poi sarà anche il tuo strumento d’esecuzione) e del principe degli strumenti a suono determinato, il pianoforte, che in “Disillusion” ha invece suonato Roberto Olzer?

Michele

Si, uso il pianoforte per comporre, ma non sono assolutamente un pianista. Non l’ho mai studiato, ma mi ci approccio con curiosità e cerco di catturare le emozioni che mi trasmette mentre esploro la tastiera. Non ho regole. Se qualcosa mi emoziona va bene, altrimenti desisto. Di solito c’è qualcosa che inizialmente mi colpisce e poi la sviluppo grazie al programma Logic. Parto da un tema di piano, con la relativa armonia, poi ci metto il basso e via via gli altri strumenti fino ad ottenere un provino abbastanza dettagliato su ciò che intendo realizzare. Successivamente stampo le partiture e le sottopongo ai colleghi in studio di registrazione. Non scrivo mai pensando alla batteria. È davvero l’ultimo dei miei problemi, perché l’emozione deve nascere libera e tale deve rimanere. Poi mi dico che in qualche modo accompagnerò la musica che ho scritto, mettendomi al suo servizio, come faccio da sempre. Non mi piace per niente l’idea che un musicista usi la musica per il proprio ego di strumentista, perché credo che, in tal caso, sia la musica stessa a essere mortificata. Relativamente ad altri strumenti, strimpello un minimo anche la chitarra.

Davide

Come nascono anche le altri parti strumentali? Sono state già scritte da te in partitura o sono state pensate e composte dagli altri musicisti? Quanta improvvisazione c’è nel tuo fare musica e cosa ne pensi della frase di Miles Davis che nell’improvvisazione non ci sono errori?

Michele

Come dicevo prima, scrivo già tutto prima realizzando i provini con Logic. È un processo graduale che avviene in tempi indefiniti, perché non ho fretta. Soprattutto le note di pianoforte e le parti tematiche sono stabilite con precisione. Mentre per il basso scrivo semplicemente una linea di base, come riferimento fondamentale per completare l’armonia. Accenno le percussioni e anche diverse parti di archi, che poi integrerà e arrangerà magistralmente il grande Leo Gadaleta. Naturalmente, quando ci si ritrova in studio di registrazione si fanno comunque delle valutazioni insieme, e se ciò che propone un mio collega mi piace, non esito ad accettare. È importante avere la mente aperta per poter cogliere la naturale capacità di bravissimi musicisti di impreziosire il lavoro con la propria forza artistica. Quando si crea un clima di grande empatia, tutto funziona facilmente… Nella mia musica c’è tanta scrittura, a cui associo alcuni spazi improvvisativi. Mi piace poi che l’improvvisazione non sia necessariamente sull’armonia del tema. Ritengo che cambiando gli accordi si possano aprire nuove immagini rendendo tutto meno monotono e più interessante. Condivido il pensiero di Davis, a condizione che l’improvvisazione sia davvero sentita, libera e che rispetti il clima in cui si è immersi. Non sopporto i patterns e le improvvisazioni che rivelano passaggi preconfezionati a casa…

Davide

Mi colpisce ogni volta l’ascolto di un lavoro pubblicato dalla Abeat Records, per la qualità degli autori, dei musicisti e delle composizioni. Dev’essere una soddisfazione pubblicare ancora una volta per una etichetta che ha un così valido e pregiato catalogo…

Michele

Ti ringrazio per l’apprezzamento. Si, sono molto felice della collaborazione con la Abeat Records. Mario Caccia mi ha sempre appoggiato e incoraggiato. Parliamo insieme di tanti argomenti in cui ci riconosciamo, il che mi dà grande soddisfazione artistica e umana.

Davide

Cosa pensi della situazione musicale oggi in Italia e cosa vorresti che cambiasse?

Michele

Un disastro! Tutto dovrebbe cambiare. Tanto per iniziare, la musica andrebbe fatta conoscere e studiare sin dalla tenera età in maniera più moderna, dedicando più ore, laboratori dopo scuola, l’ascolto di concerti. Altro che quattro note in croce di flauto dolce! Oltre alla musica classica, si dovrebbero conoscere ed esaminare tutti gli altri generi di ogni parte del mondo. Fare guida all’ascolto, musica d’insieme… Si dovrebbe dare giusta dignità e importanza alla figura del musicista; incentivare e sovvenzionare la musica inedita e i locali dove si fa musica dal vivo. Si dovrebbe tornare a fare cultura fuori dalle logiche di mercato. Alzando il livello di competenza dei fruitori, si alzerebbe inevitabilmente quello delle proposte. Peccato però, che nel nostro grande Paese, che ha avuto un ruolo importantissimo nella storia di questa forma d’arte meravigliosa, ci sia tanta ignoranza e superficialità. Se pensiamo che il massimo dell’attenzione la riceve un carrozzone vetusto e sterile come il festival di Sanremo, abbiamo già la risposta.

Davide

Cosa seguirà?

Michele

Sto scrivendo due nuovi album. Uno in cui la chitarra ha un ruolo maggiore e uno per pianoforte e orchestra. Quest’ultimo è un mio sogno che spero prima o poi di riuscire a realizzare.

Davide

Grazie e à suivre…

 

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