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La luna adesso – Pierluigi Mele

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Kurumuny (Lecce, 2022)

pag. 146

euro 15.00

“Il cielo smonta tardi anche stanotte, lavora su chi dorme e chi lo insegue. Non c’è una stella libera, guarda. Ora sposto il ramo, e le foglie”. Più lirico perfino delle poetiche porzioni di romanzo in ‘salentino’ e in siciliano, i due dialetti più fratelli di tutti, l’incipit di “La luna adesso” è da marcare. Una citazione facile, d’altronde. Quasi scontata. Eppure l’attacco dell’ultimo romanzo dello scrittore, poeta e drammaturgo Pierluigi Mele – che già avevamo apprezzato (per esempio) ai tempi di “Da qui tutto è lontano” -, per la nuova edizione presso Kurumuny che segue quella dall’editore Lupo del 2018, spiega tutto il libro. Ma procediamo con un poco d’ordine. Ché con Giuseppe Montesano dovremmo aver capito finalmente in che misura e in che maniera il “lettore selvaggio” è chiamato a entrare nell’opera con la quale si confronta. Per superare l’analfabetismo funzionale ed emozionale, sentimentale insomma. “L’analfabetismo delle emozioni è inseparabile dall’analfabetismo dei pensieri, e ogni anfalfabetismo passa attraverso l’incapacità di leggere le parole che cercano di dire il mondo e noi nel mondo”, scrive Montesano in “Come diventare vivi. Un vadevecum per lettori selvaggi” (Bompiani, Milano, 2017, nuova edizione 2022); dove l’autore napoletano c’invita a uscire dalla selva della “chiacchiera”. Lo spazio giusto nel quale rintracciamo, di sicuro, la scrittura di Mele. Di nuovo, infatti, Pierluigi Mele ci fa sentire il piacere della sua opera attraverso un congegno che fa di contenuti, trama e lingua un’unica sensazione di mondo da conoscere. Il protagonista del romanzo, Mimmo, è un editore, sconfitto e visionario, che con la madre trascorre una notte ai piedi del mare. L’approccio al luogo assoluto è una sfera, una bolla anzi che produce una lettura, ancora, della memoria. Salento e Sicilia, dicevamo all’inizio. Epperò con quell’odore dell’Africa a rimare altri ricordi. La madre di Mimmo, Rita, come per paradosso, è malata di Alzheimer. E qui siamo solamente a un abbozzo banalmente descrittivo di trama. Il luogo dei contenuti è poi nelle parole, e il suo contrario. Nel senso che dentro questa semplice costruzione scenica spunta evidentemente la necessità del solito quanto imprescindibile dialogo fra un figlio fatto di dubbi e vicissitudine e una madre consegnata alla vicissitudine estrema della malattia insieme a tutto il suo amore per l’amore. Lo stile: 1) “Ordinavi ogni suo capriccio come il cambio abiti in armadio”; 2) “Il nocciolo, quello è. Nella tua testa c’è un nocciolo indifeso che resiste al tempo. Il nocciolo è la sfera dell’amore nel cervello, secondo la pescatrice. Lo dicevi durante le sedute, che sedute non erano”; 3) “Senza il mondo tinciuto, tutto nenti è. Astanotti volevo cuntarti la pioggia che scese sempre a casa mia, anche se una casa non ce l’ho più e non era mia neppure apprima”. Esempi di esempi, si potrebbe dire. In fondo la sfida di questo libro con la lingua è quella di tenere il salentino in lingua italiana e nel siculo di madre. Un azzardo che premiante il testo. E che con tutte le iniezioni sublimi di levigato lirismo ci dice d’aderire alle pagine sue. Da lettori selvaggi.

 

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