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Intervista con Vittorio De Angelis

8 min read

Vittorio De Angelis – Pespective – il nuovo album tra soul e nu jazz del sassofonista romano 

in CD e digitale dal 30 aprile 2022 – edizioni musicali New Model Label

Questo nuovo lavoro di Vittorio de Angelis, il secondo in studio dal titolo programmatico “Perspective” sembra porsi esattamente al centro di più direttrici. A seconda dei punti di vista però. Invenzione e tradizione che provocano cortocircuiti spazio temporali. Se si guarda in una direzione o in un’altra. Dalla scena moderna inglese ai suoni metropolitani newyorkesi ai ritmi afrobeat. E attorno a queste atmosfere ampiamente battute Vittorio De Angelis costruisce il suo mondo musicale altrettanto codificato, perché rispettoso della storia, dei maestri e dei classici ridistribuendo, nel suo personalissimo modo e stile, gli elementi nello spazio. Elementi noti, tributi ed influenze dichiarate che riescono ad essere sorprendentemente, nello stesso tempo, omaggi e riconoscenze quanto espressioni profonde della propria originalità.

Evidente ad esempio in “Gap”, la prima traccia del disco, l’incontro tra sonorità elettroacustiche e una sorta di anima hip hop come specchio della contemporaneità, che ricorda Glasper. “Sankara”, dal ritmo afrobeat, è dedicato al leader rivoluzionario del Burkina Faso la cui voce si può riconoscere nella parte finale del brano. “Rose” è una composizione del compianto leggendario sassofonista Larry Nocella, estratto dal suo ormai introvabile disco “Everything Happens To Me” del 1980, per la quale lo stesso Vittorio De Angelis ha scritto e adattato il testo cantato da Leo Pesci. “Saharian Dance Hall” è un brano dalle sonorità medio-orientali con un ritmo afrobeat magistralmente eseguito dal batterista Federico Scettri. Evidente già da questa prima lettura superficiale della track-list l’eterogeneità e la generosità musicale di Vittorio De Angelis. In un continuo scambio di registri e generi si passa rapidamente a sonorità elettriche vintage, influenze post-rock e suggestioni cinematografiche. È il caso, ad esempio, di  “Deep” cantata da Gabriella Di Capua, una ballad che alterna sapientemente momenti delicati ad altri dal sound poliziesco anni 70. “Perspective” allora ci sembra evidente che abbia un significato che trasborda il perimetro di questa singola opera e rappresenti, la chiave di lettura per avventurarci fiduciosi nel mondo di Vittorio De Angelis negli anni a venire.

Corrado Catenacci 

Il disco è stato registrato presso lo Snoaked Room Studio di Seby Burgio da:

Vittorio de Angelis – Sax, flauto, synth

Seby Burgio – piano  e synth

Francesco Fratini – Tromba

Federico Scettri – Drums

Daniele Sorrentino – Basso e contrabbasso

Leo Pesci, Gabriella Di Capua – voci

Biografia

Sassofonista e compositore napoletano residente a Roma. Laureato al Dams di Bologna e poi al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma dove attualmente risiede, con una tesi sul leggendario sassofonista Steve Grossman con cui ha studiato durante la sua permanenza a Bologna.

Inoltre ha studiato con Rosario Giuliani e svolto seminari con Lee Konitz, Jerry Bergonzi e Benny Golson.

Ha alle spalle un bel bagaglio di live nei jazz club in città europee, in vari festival italiani, sia in formazioni da leader, che con orchestre e registrato dischi come turnista. Il primo disco a suo nome si chiama “Believe not belong” in formazione ‘double trio’ (due batterie, due tastiere e due fiati) e ha come ospite il trombettista Takuya Kuroda (Blue note records). L’album ha ricevuto ottimi riscontri dalla critica

‘’La musica di Vittorio de Angelis  mescola in modo equilibrato il jazz, il soul, spunti del miglior beat africani e il funk, tanto da farne un originale melting pot di notevole fascino e grande piacevolezza. Le coordinate del sound del sassofonista napoletano sono completamente ascrivibili all’universo afroamericano, un prodotto con visione internazionale che guarda alla storia e al meglio della scena contemporanea, in una sintesi stilistica convincente. È un salto indietro con lo sguardo in avanti suonando con un piede tra le terre di Rollins e l’altro tra i grovigli ritmici e armonici di Kamasi Washington.

Intervista

Davide

Ciao Vittorio. Partiamo dal titolo, “Prospettiva”. Nel senso di una tua visione panoramica su qualcosa in particolare, magari sul tuo percorso musicale fino ad oggi e così riassunto?

Vittorio

Il concetto deriva più da una visione di insieme sulla musica che amo e che ho ascoltato in questi anni soffermandomi su come cambiano le cose e le intenzioni, se spostiamo il nostro punto di vista, in questo caso come cambia il sound di uno stile se lo guardiamo da un angolazione diversa.

Davide

Come sono nate queste tue nuove composizioni? Nel comporre e suonare questo nuovo lavoro avevi delle idee precise (o magari anche delle “ossessioni” da cui liberarti), delle tematiche, delle parole-chiave?

Vittorio

Il percorso per le composizioni è stato diverso, in alcuni casi ho fatto una ricerca armonica, in altri puramente melodica e in altre partivo invece da delle ambientazioni geografiche immaginandomi di vivere in un certo posto, sviluppando le mie idee secondo la prospettiva di un abitante di quel posto, come in ‘Saharian dance hall’ in cui mi sono immerso nel mondo arabo immaginando una sala da ballo e un gruppo che suona nel mezzo del deserto, o di “Gap” in cui mi sono visto in un loft newyorkese a comporre.

Davide

Tue le composizioni tranne due del sassofonista Larry Nocella (Rose) e di Giuseppe Diodato (My own way). Larry Nocella, che suonò anche con Pino Daniele, mancò a Torino a soli 39 anni e, tra l’altro qui a Torino, mia città, gli è stato dedicato il Larry’s Club. Perché la scelta di questi due brani in particolare? Cosa deve avere la musica di un altro autore per farti sentire la voglia di interpretarlo e farlo anche tuo?

Vittorio

Giuseppe Diodato ha scritto un testo che legava benissimo con questa composizione e provandolo con la sua voce ci siamo resi conto che era perfetto. Per quanto riguarda L. Nocella è un musicista di cui sono un grande estimatore e ricercatore, ho collezionato tutti i suoi dischi, ho raccolto informazioni dalle persone che lo hanno conosciuto e ottenuto dei materiali inediti dagli archivi della Rai. Inizialmente avevo l’idea di realizzare un documentario su di lui, poi l’idea si è arenata ed allora ho deciso di fargli comunque un omaggio suonando forse l’unica sua composizione che risulta dai dischi cioè “Rose”.

Davide

Lo scrittore e umorista Arthur Bloch ha scritto che il lavoro di gruppo è essenziale… Ti permette di dare la colpa a qualcun altro. Scherzi a parte, ci racconti la formazione che ha preso parte alle registrazioni? Come avete lavorato insieme e quali meriti invece riconosci in particolare a questa formazione?

Vittorio

Spesso le cose non vanno nella direzione che hai previsto inizialmente, ma spesso ti rendi anche conto che forse sono migliori e più interessanti di come le avevi pensate. Questo si verifica grazie al contributo di altri musicisti che con la personale “prospettiva’’ arricchiscono un progetto, aggiungendone elementi migliorativi. Oggi c’è la tendenza a creare musica in totale isolamento pensando che gli strumenti possono essere sostituiti da quelli virtuali e che anche il processo creativo lo possa svolgere una sola persona. Il mio modo di pensare la musica è quello di tracciare un canovaccio melodico, armonico e ritmico che può subire modificazioni in corso d’opera grazie all’apporto dei musicisti che lo realizzano. Per questo per registrare i miei brani mi piace scegliere musicisti con una personalità ben definita, che vengano dal jazz ma con una totale apertura verso altri linguaggi musicali. I musicisti di questo disco erano vecchi amici con cui ho lavorato spesso sia nei live che in studio e mi è sembrato naturale contattarli visto la stima reciproca e l’intesa già consolidata nel tempo.

Davide

Come ti sei avvicinato al jazz e al sassofono?

Vittorio

Mi innamorai del sax negli anni ’90 in un periodo d’oro per la musica dal vivo in cui mi capitava spesso di ascoltare sassofonisti jazz nei locali di Napoli. Esiste una stradina fantastica nel centro storico che si chiama Via San Sebastiano nei pressi del Conservatorio, che all’epoca era piena di negozi di strumenti musicali. A volte invece di entrare a scuola con alcuni compagni andavamo lì ad ammirarne le vetrine e spesso incontravamo anche qualche musicista famoso che era venuto a provare qualche strumento. C’era un’atmosfera bellissima, entravamo ed uscivamo dai negozi come in un parco dei divertimenti, poi in fondo alla strada finivamo il tour con un pizza a ‘portafoglio’, e magari erano le 10.30. Mi decisi a comprare il sax con i soldi risparmiati facendo vari lavori in giro, dopodiché mi iscrissi ad una scuola di musica gestita da jazzisti noti nel circuito napoletano e lì ebbi modo di avvicinarmi all’ascolto del jazz e ad appassionarmi ai grandi nomi come Rollins, Coltrane, Gordon.

Davide

Hai avuto molti maestri importanti e seguito seminari con grandi sassofonisti come Lee Konitz, Jerry Bergonzi e Benny Golson. Qual è la cosa più preziosa o illuminante che ti sia mai stata insegnata sulla musica e sul tuo strumento e da parte di chi?

Vittorio

Sono veramente molte le cose che mi hanno insegnato questi grandi nomi e quelle più importanti logicamente non sono legate all’aspetto tecnico dello strumento ma alla predisposizione d’animo di un musicista jazz e al modo di concepire il momento dell’improvvisazione. Il jazz ti permette di scavare dentro al tuo animo e ti chiede di essere più onesto e sincero possibile quando suoni. A chi ascolta deve arrivare nella maniera più verosimile possibile chi sei e cosa vuoi comunicare. Lo studio della tecnica deve solo aiutarti in questo processo ma deve esserci di base la consapevolezza di cosa vuoi dire, altrimenti risulta tutto stucchevole e noioso. Quando studiavo con Steve Grossman mi scriveva delle frasi melodiche da imparare, ma la cosa più bella che mi entusiasmava di più erano i suoi racconti e le sue storie di quando suonava con Miles Davis o con Elvin Jones nella New York di quegli anni. Mi si apriva un mondo fatto di sogni che mi faceva immergere totalmente nello spirito del jazz e concentrare su quello che facevo con dedizione ed impegno.

Davide

Cioran scrisse: “Perché frequentare Platone, quando un sassofono può farci intravedere altrettanto bene un altro mondo”? Cos’è per te il sassofono oltre che uno strumento musicale?

Vittorio

Potremmo dire che come tutte le grandi passioni anche il sassofono può cambiarti la vita e in alcuni casi salvartela, ma io direi che è semplicemente uno ‘strumento’ nella accezione più naturale del termine, cioè un mezzo utile e funzionale all’uomo per produrre arte e bellezza

Davide

Grazie e à suivre…

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