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La Dichiarazione di Roma: risposta del G20 alla pandemia

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«Le generazioni future non ci perdoneranno mai la nostra incapacità di fare la scelta giusta»

(Matamela Cyril Ramaphosa, presidente del Sudafrica)

Si è tenuto a Roma il Vertice Mondiale sulla Salute del G20 che aveva come tema centrale la risposta comune che i grandi della Terra devono concordare per contrastare l’emergenza da Covid 19.

La Dichiarazione[1] congiunta di chiusura, però, già ribattezzata Dichiarazione di Roma, a parere di molti osservatori internazionali non è riuscita a infrangere i grandi interessi economici propri del settore farmaceutico limitandosi a ribadire generali enunciazioni di principio con scarsa effettività sul piano concreto.

Il Global Health Summit del G20

In questo difficile momento storico, con la pandemia da Covid 19 ancora in corso, si è tenuto a Roma il Global Health Summit del G20 sotto la presidenza congiunta di Italia e Commissione Europea.

Presenti[2], in modalità virtuale, molti Capi di Stato e di Governo, nonché Ministri, del G20 e di altri Paesi ospiti, i leader di alcune organizzazioni internazionali e regionali e i rappresentanti degli attori sanitari globali, per confrontarsi sulla attuale situazione e le possibili e necessarie strategie da adottare per continuare la lotta al virus.

L’incontro ha rappresentato un’opportunità per una rilevante parte della comunità internazionale di condividere le esperienze maturate nel corso di questi mesi di emergenza globale e di iniziare a concordare una nuova e più efficace strategia comune.

Il Vertice ha preso le mosse dalla Coronavirus Global Response[3], la maratona di donazioni che lo scorso anno ha raccolto quasi 16 miliardi di euro da donatori di tutto il mondo per l’accesso universale a trattamenti, test e vaccini contro il coronavirus, dal lavoro tuttora in corso nelle istituzioni e nei consessi multilaterali, e in particolare in ambito di Organizzazione Mondiale della Sanità, così come da ulteriori iniziative in materia di salute.

La nuova strategia, che rappresenterà un punto di riferimento fondamentale per il rafforzamento della cooperazione multilaterale e le azioni congiunte finalizzate oggi a continuare il contrasto al coronavirus e domani a prevenire future crisi sanitarie, è stata formalizzata nella Dichiarazione finale: la Dichiarazione di Roma.

Ma esaminiamone insieme i contenuti e cerchiamo di capirne la reale portata.

La Dichiarazione di Roma

Il documento si compone di un’ampia premessa seguita da 16 principi che fissano le linee guida per affrontare questa emergenza e le eventuali prossime.

Diciamo subito però che la Dichiarazione non è un atto giuridico vincolante per le alte parti che l’hanno sottoscritta ma ha per loro una portata unicamente politica, aspetto da tenere in considerazione per valutare quanto realizzeranno poi i G20.

Nei considerando iniziali incontriamo le affermazioni più forti che hanno acceso molte aspettative poi ridimensionate nei dispositivi che seguono.

Si inizia col riconoscere che il covid 19 rappresenta una crisi sanitaria e socio-economica globale senza precedenti, con effetti diretti e indiretti sproporzionati in particolare sulle categorie più vulnerabili e che si potrà considerare superata solo quando tutti i Paesi l’avranno posta sotto controllo garantendo una «vaccinazione su larga scala, globale, sicura, efficace ed equa in combinazione con altre misure appropriate di salute pubblica», insieme ad una «crescita forte, sostenibile, equilibrata e inclusiva».

A seguire si ricorda che le risorse destinate a garantire la copertura sanitaria universale devono considerarsi investimenti in beni pubblici globali, e che il costo dell’inazione sarebbe comunque di ordine sicuramente maggiore.

La Dichiarazione accenna quindi al comune impegno al perseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, in particolare nel settore della salute, e alla «necessità di intensificare gli sforzi, anche attraverso sinergie tra il settore pubblico e privato» per migliorare l’accesso tempestivo, globale ed equo a farmaci, vaccini, dispositivi.

Inoltre, si definisce «bene pubblico globale» il raggiungimento dell’immunizzazione da covid 19 e se ne riafferma il sostegno invitando a potenziare i finanziamenti.

Altro fondamentale impegno che trova posto nei considerando iniziali è quello alla condivisione globale di vaccini sicuri, efficaci, di qualità e accessibili.

Accanto a questo, e logicamente preordinato, vi è il tema della disponibilità di principi attivi e della possibilità/capacità di produzione diffusa dei vaccini al fine di aumentarne la disponibilità, anche attraverso la promozione di accordi volontari di licenza della proprietà intellettuale, trasferimenti volontari di tecnologia e know-how, o la condivisione di brevetti a condizioni reciprocamente concordate.

Come accennavo sopra, le premesse lasciavano ben sperare ma, passando ai 16 principi, gli stessi estensori precisano voler offrire solo un «orientamento volontario per l’azione attuale e futura per la salute globale» pur precisando che tutti i principi «si rafforzano a vicenda» e «riconfermano il nostro impegno per la solidarietà globale, l’equità e la cooperazione multilaterale».

Al n.1, i G20 ribadiscono la volontà di sostenere e rafforzare l’architettura sanitaria multilaterale per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e la promozione di «una ripresa sostenibile, inclusiva e resiliente».

Importante risulta il principio n.3 che invita tutti i settori della società civile e dei governi ad adottare un approccio improntato alla responsabilità.

I principi 4 e 5 portano in primo piano la promozione di un sistema commerciale multilaterale con catene di approvvigionamento globali aperte, resilienti, diversificate, sicure, efficienti e affidabili e la possibilità di accedere in maniera equo, economica, tempestiva e globale agli strumenti e ai sistemi sanitari.

Oggetto di molte aspettative è il sesto principio che suggerisce di «sostenere i paesi a basso e medio reddito per costruire competenze e sviluppare capacità produttive locali e regionali» e il settimo con il quale si desidera facilitare la condivisione dei dati, lo sviluppo delle capacità, gli accordi di licenza e i trasferimenti volontari di tecnologia e know-how a condizioni reciprocamente concordate.

Al n.8 troviamo un altro impegno di portata universale con un forte valore simbolico «contro le malattie prevenibili da vaccino», «tra cui l’HIV/AIDS, la tubercolosi, la malaria e altre […] garantendo che nessuno venga lasciato indietro». Impegno che confidiamo potrà fungere da base per ulteriori campagne sanitarie a livello globale.

Un forte invito agli investimenti è contenuto nei successivi principi: per il personale sanitario (n.9), i laboratori diagnostici (n.10), i sistemi di informazione, allarme, sorveglianza e attivazione (n.11), la cooperazione nazionale, internazionale e multilaterale (n.12).

Gli ultimi richiami della Dichiarazione sono improntati a garantire il necessario coordinamento delle misure di emergenza nel contesto di una ripresa sostenibile ed equa (n.13) per aumentarne l’efficacia attraverso un dialogo significativo e inclusivo (n.14), affrontando la necessità di meccanismi rafforzati, semplificati, sostenibili e prevedibili per finanziare la preparazione, la prevenzione, l’individuazione e la risposta alle pandemie a lungo termine (n.15).

Cercare di assicurare l’efficacia dei meccanismi di finanziamento è invece quanto prevede l’ultimo principio (n.16).

Oltre la Dichiarazione

Se gli impegni dei paesi del G20 formalizzati nella Dichiarazione di Roma, come abbiamo visto, si concentrano molto sugli aspetti economici e le modalità di efficientamento dei meccanismi esistenti, i temi della produzione dei vaccini al di là degli stretti vincoli brevettuali e della loro libera fruizione tornano in primo piano nelle discussioni sviluppate a margine del Summit.

In particolare, i Paesi del Sud del mondo hanno cercato di far sentire la loro voce per sensibilizzare l’adozione di misure che possano sospendere i diritti brevettuali per consentire la produzione e distribuzione di vaccini senza gravami economici nelle regioni più povere o, in alternativa, avviare una larga alleanza tra il G20 e le multinazionali farmaceutiche per forniture a prezzo calmierato.

Da più parti si è cercato di promuovere l’uso di strumenti quali gli accordi di licenza volontaria e di condivisione dei brevetti e la stessa Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, ha dichiarato che l’UE «farà una proposta all’Organizzazione mondiale del commercio per una sorta di terza via sulla condivisione dei brevetti».

Da parte sua, Mario Draghi, Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, ha preso posizione sul tema sostenendo la possibilità di addivenire ad una sospensione dei brevetti limitata nel tempo che, però, non garantirebbe ai Paesi a basso reddito il completo soddisfacimento del loro bisogno.

A tal fine, difatti, si riconosce la necessità di un impegno organico congiunto di pubblico e privato, organizzazioni internazionali e regionali, governi e grandi donors, oltre alle big pharma.

Gli impegni finora assunti sono di dimensioni abbastanza risibili: per il 2021, Pfizer/BioNTech ha promesso di fornire un miliardo di dosi ai Paesi a basso e medio reddito, Johnson & Johnsons 200 milioni e Moderna 100 milioni, valori che arriveranno a 3,5 miliardi entro il 2022, a fronte di una popolazione complessiva di circa 3 miliardi di persone con un fabbisogno quindi di almeno 6 miliardi di dosi.

Non sembra però che vi siano al momento attuale alternative percorribili: i Paesi dell’Africa hanno ricevuto solo l’1% dei vaccini mondiali e le disponibilità di Sud Africa e Algeria di avviare in proprio una produzione su concessione è rimasta senza risposta.

Alla stessa stregua l’appello lanciato da diversi governi del Sud-Est asiatico, con l’Indonesia in testa, di creare un hub regionale di produzione e distribuzione non ha sortito alcun effetto.

Di diverso tenore sono gli annunci lanciati da Paesi come Messico, Brasile e Turchia, i cui governi hanno comunicato di essere ormai alle ultime fasi per un vaccino proprio che parrebbe avere la stessa efficacia dei vaccini più conosciuti già disponibili. Se la notizia fosse confermata, si verrebbero a creare ulteriori poli di produzione a livello subregionale.

Per quanto riguarda, invece, Washington e Mosca, le due superpotenze non hanno preso posizione in tema di brevetti nonostante le numerose iniziative annunciate a sostegno della diffusione dei vaccini.

In conclusione, la Dichiarazione di Roma può forse rappresentare una piattaforma per un primo impegno condiviso dei Paesi più sviluppati del mondo a fronteggiare l’attuale pandemia e le eventuali future ma se non si compirà il fondamentale passo avanti verso l’assunzione di un’altrettanto condivisa responsabilità nei confronti della salute pubblica da considerare come bene comune, con l’adozione delle necessarie e conseguenti misure diplomatiche, normative, economiche e tecniche, allora rimarrà l’ennesimo esercizio di stile, inutile perché inefficace e offensivo nei confronti delle reali necessità del genere umano.

[1]Cfr. il testo finale della Dichiarazione di Roma nel sito del Governo italiano, https://www.governo.it/sites/governo.it/files/documenti/documenti/Approfondimenti/GlobalHealthSummit/GlobalHealthSummit_RomeDeclaration.pdf .

[2]Hanno partecipato al Vertice:
i membri del G20: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Repubblica di Corea, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sud Africa, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti e l’Unione Europea. Singapore, Spagna e Paesi Bassi sono paesi ospiti;
i Capi di Stato e di governo del Portogallo (in qualità di Presidenza del Consiglio dell’UE), Norvegia (in qualità di Co-Presidente di ACT-Accelerator) e Svizzera;
i leader delle organizzazioni internazionali e regionali come le Nazioni Unite (ONU), l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), l’Unione Africana, l’Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico (ASEAN), il Nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa (NEPAD), l’Organizzazione mondiale per la salute animale (OIE), l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO);
i rappresentanti degli attori sanitari globali come l’Alleanza globale per i vaccini (GAVI), il Global Fund e la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI).

[3]Cfr. https://global-response.europa.eu/index_it .

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