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Il Guardasigilli (…e il suo Ministero)

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Che la giustizia in Italia non funzioni lo dicono soprattutto
coloro che le impediscono di funzionare.
Roberto Gervaso

Il Ministro della Giustizia italiano ha il titolo di “Guardasigilli”, in quanto custodisce il “sigillo dello Stato[1]”: egli, cioè dovendo controfirmare formalmente le leggi e i decreti, procede ad apporre il proprio “visto” sotto forma di timbro a sigillo[2].

La definizione ebbe origine dall’antico regime francese: l’ufficio del “Garde des Sceaux”, cui spettava la conservazione del sigillo del Re di Francia[3]; nel Regno di Sardegna, con legge 23 giugno 1854, n. 1731, fu stabilito che ogni legge dovesse portare la firma del Re, essere controfirmata dal Ministro proponente, e munita del visto del Guardasigilli che vi avrebbe apposto il sigillo dello Stato[4]. Oggi, in epoca repubblicana, l’iter formale prevede, abbastanza similmente, che il testo di un atto avente forza di legge (legge del Parlamento o Decreto-legge del Governo) per essere promulgato, giunga al Presidente della Repubblica per la firma, venga controfirmato dal Presidente del Consiglio e dal, o dai, Ministri interessati dalla materia argomento della norma, infine “vistato” dal “Guardasigilli” che lo “munisce” del sigillo dello Stato per poi inserirlo nella “Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana[5]”. Questa raccolta, tenuta e curata dallo stesso Ministero della Giustizia, ha valore puramente notiziale e documentale, ha lo scopo, fondamentale in un ordinamento di diritto scritto, di soddisfare l’esigenza di certezza del testo letterale delle norme.

Al di là di questi aspetti più di (necessaria) forma che di sostanza, il Ministro della Giustizia è l’unico membro del Governo, oltre al Presidente del Consiglio dei Ministri, ad essere citato espressamente nel testo della Costituzione; secondo l’art. 110, infatti:

Ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al Ministro della Giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.[6]”.

Una norma che, secondo una opinione espressa da Piercamillo Davigo, equivale a dire che il Ministro “conta meno degli altri”, non avendo nessun potere diretto sull’attività dei Magistrati, i protagonisti al centro dell’attività giudiziaria[7]. Il Ministro, in altri termini, ha necessariamente competenze separate rispetto al Consiglio Superiore della Magistratura, separazione che rispetta la suddivisione dei poteri tra ordine giudiziario, per il quale il C.S.M. è organo indipendente e deputato a garantire l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati (v. 104 Cost.), e potere esecutivo, per cui il Ministro è organo politico che appartiene al Governo (v. art.92 Cost.)[8].

Il Ministero fu previsto nella struttura del Governo italiano sin dal “Governo Cavour IV” nel 1861, quale ministero che si occupava anche degli affari del culto, ossia delle attività legate all’ambito religioso ed ecclesiastico. A partire dal 1932, Governo Mussolini, le attività ecclesiastiche e del culto passarono al Ministero dell’Interno, più legato all’esecutivo, ove sono tuttora, e il ministero assunse la denominazione “di Grazia e Giustizia”[9].

In epoca Repubblicana, il vero punto di svolta risale, appunto, al 1958 con l’istituzione del “Consiglio Superiore della Magistratura”, quando con la piena attuazione del disegno costituzionale, molte competenze furono ulteriormente sottratte al Ministro della Giustizia, in particolare tutti i poteri relativi al reclutamento, nomina, trasferimento, promozione, sanzioni disciplinari e dimissioni dei magistrati, tanto ordinari che onorari[10]. Il C.S.M. è un organo di rilevanza costituzionale, nel senso che è previsto dall’art.104 della Carta, le cui funzioni fondamentali sono previste dall’art.105, mentre il suo funzionamento particolare è disciplinato in via secondaria dalla legge ordinaria. Definito anche l’organo di “autogoverno della magistratura”, “…la squadra che compone il CSM, e che cambia ogni quattro anni, è composta – oltre che dai due membri di diritto, il procuratore generale e il primo presidente della Corte di Cassazione (i due Magistrati di vertice del sistema giudiziario nazionale) – da 16 togati eletti delle correnti della magistratura e da 8 eletti dal Parlamento, tra i quali andrà poi scelto il vicepresidente[11]. E’ quindi il massimo dell’incrocio di interessi tra magistratura e politica, le interferenze e le pressioni reciproche sono molto forti. E’ il momento in cui il potere esprime il massimo delle sue doti, nobili e meno nobili…[12]”.

Il secondo comma dell’art. 107 della Costituzione affida espressamente al Ministro della Giustizia la “facoltà di promuovere l’azione disciplinare” nei confronti dei Magistrati, anche se ogni caso sarà, poi, sottoposto alla specifica “sezione disciplinare” dello stesso C.S.M.

Il Ministero della Giustizia svolge le proprie funzioni grazie a una struttura piuttosto complessa. Agli uffici che collaborano a stretto contatto con il Ministro[13], si affianca la struttura del dicastero, articolato in quattro Dipartimenti[14]. Funzione particolare ha la DGSIA (Direzione Generale Servizi Informativi Automatizzati), che ha competenze trasversali. A capo di ciascun dipartimento è posto un dirigente generale (Capo Dipartimento), affiancato da due vice.

Caratteristica fondamentale del Ministero, che sottolinea la sua condizione “ibrida”, punto di contatto tra potere esecutivo e potere giurisdizionale, è quella di non essere dotato di un proprio personale dirigente; le funzioni amministrative più importanti sono esercitate da Magistrati collocati fuori ruolo e le mansioni d’ordine da dipendenti provenienti dai concorsi per funzionari di cancelleria. Fino ad un decennio fa, una apposita norma, ora abrogata, prevedeva che solo Magistrati potessero ricoprire funzioni apicali all’interno della organizzazione amministrativa del Ministero[15]. Attualmente il fenomeno per cui “per prassi” solo Magistrati, che sono funzionari pubblici selezionati per svolgere prevalentemente attività giurisdizionale (di interpretazione e applicazione di norme giuridiche), svolgano funzioni amministrative di vertice (Capo Dipartimento, Direttore Generale, ecc.), continua ad essere stigmatizzato periodicamente da illustri giuristi come un rilevante difetto, se non pericolo, per il buon funzionamento del sistema giudiziario[16]. Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, ancora recentemente, ha sostenuto che “la numerosa presenza dei magistrati all’interno del Ministero della Giustizia (sempre intorno ai 100) e il monopolio che essi hanno delle posizioni dirigenziali al suo interno, rappresenta una “violazione del principio della divisione dei poteri, cioè di uno dei cardini dello stato democratico”. Certo succede anche in altri Paesi dell’Europa continentale che dipendenti dello Stato centrale possano essere destinati a svolgere, nell’ambito dell’apparato statale, funzioni diverse da quelle per cui sono stati reclutati; dunque, anche in Francia, Germania, Austria. Spagna ecc. numerosi sono i magistrati che svolgono la loro attività nei vari ministeri della Giustizia, tuttavia negli altri stati i Ministri hanno, in varia misura, poteri decisori sullo status dei magistrati quantomeno per il periodo in cui sono alle loro dirette dipendenze (disciplina, valutazione di professionalità, futura destinazione alle sedi giudiziarie al termine del loro servizio presso il ministero). In Italia, invece, il Ministro della Giustizia non ha alcuna influenza nel governare lo status dei magistrati che da lui formalmente dipendono, essendo solo il C.S.M. l’organo che può assumere decisioni in materia disciplinare e di valutazione di professionalità dei magistrati anche per il periodo in cui sono addetti a funzioni ministeriali. Il particolare regime di garanzia di cui godono i Magistrati nel nostro ordinamento di fatto sottrae al Ministro la capacità di formulare e perseguire autonomamente le iniziative da prendere e quindi di sollecitare ed ottenere dai suoi dipendenti (Magistrati), comportamenti conformi alle politiche che vuole perseguire e per le quali, Lui, formalmente assume la responsabilità politica. I Magistrati del Ministero, secondo Cassese, tenderebbero a privilegiare le aspettative del C.S.M. (a sua volta composto di esponenti politici o membri rappresentanti di “correnti” in cui è suddivisa la magistratura italiana), in tutte le attività di ricerca, elaborazione delle informazioni e proposte al Ministro nella sua attività di iniziativa legislativa e operativa.

Da parte sua lo stesso C.S.M. ha continuato a ribadire, negli anni, le ragioni per le quali viene giustificata la presenza dei magistrati al Ministero, pienamente legittimata proprio dall’esigenza di tutelare l’indipendenza della magistratura dalle iniziative del Ministro che potrebbero lederla[17], senza, per altro, troppa insistenza nel rivendicarla, ma limitandosi a indicare l’immutabilità dell’attuale assetto interno del Dicastero.

In ogni caso, valutando il funzionamento del sistema giudiziario italiano, considerato nei suoi aspetti della funzionalità di norme e procedure, adeguatezza di mezzi materiali e infrastrutture, presenza di sufficienti risorse umane (sia per il personale di magistratura che degli ausiliari amministrativi), ci si chiede cosa aspetti la stessa Magistratura, o almeno quella parte capace di distaccarsi dai propri “interessi corporativi”, a chiedere che siano adottate forme diverse di “amministrazione operativa” della macchina giurisdizionale, che veda coinvolte figure di dirigenti “non magistrati”.

Si cominci, almeno, a fornire efficienza al sistema giudiziario in questo modo, riequilibrando l’esercizio dei poteri, con Magistrati addetti alla Giurisdizione e Funzionari Amministrativi addetti alla gestione, tenendo presente che la divisione dei poteri viene menomata anche dalla presenza di Magistrati in moltissimi dei gangli decisionali del nostro Stato (posizioni di rilevo in tutti i Ministeri e in Parlamento, presso la Presidenza del Consiglio e Presidenza della Repubblica, presso la Corte Costituzionale e altre ancora).

Follia è fare sempre la stessa cosa
aspettandosi risultati diversi.
Albert Einstein

[1]Secondo le definizioni correnti, un sigillo è un’impronta stampata sopra una materia malleabile per mezzo di una matrice dura e che presenta segni propri di un’autorità, sia essa una persona fisica o un ente impersonale, allo scopo di testimoniare la volontà d’intervento da parte di chi sigilla.

[2]Nell’immagine il torchio, conservato al Ministero della Giustizia di Roma, con cui, fino ad alcuni decenni or sono, si imprimeva sugli atti legislativi il “Sigillo ufficiale di Stato”. Il Grande Sigillo dello Stato porta impresso l’emblema della Repubblica con la legenda “Repubblica Italiana”. L’obbligo della sua applicazione, oggi con apparati meno ingombranti, è stabilito per le leggi, i decreti e ogni altro atto da inserirsi nella Raccolta Ufficiale ed è rammentato di volta in volta nella formula di promulgazione. Il Ministro della Giustizia, in quanto Guardasigilli, cioè “guardiano del sigillo dello Stato”, lo applica dopo il suo Visto.

[3]Ufficio affiancato, e più raramente sovrapposto, a quello di Chancelier de France, al vertice dell’ordinamento giudiziario.

[4]Al momento di proclamare l’Unità d’Italia, la legge 21 aprile 1861, n. 1 (Nuova formola per la intitolazione degli atti del Governo) e il Regio Decreto 21 aprile 1861, n. 2 (Contenente disposizioni intorno alla raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia) confermarono la funzione del Guardasigilli nella validazione degli atti normativi e nella conservazione del sigillo dello Stato. La promulgazione e la pubblicazione delle leggi furono, infine, normate dal Testo Unico approvato con Regio Decreto 24 settembre 1931, n. 1256. Al Ministro Guardasigilli veniva confermato l’ufficio della custodia degli originali delle leggi e dei decreti: essi sarebbero stati consegnati all’Archivio di Stato di Roma solo quando fosse cessata la necessità di mantenerli presso il Ministero.

[5]È la raccolta ufficiale dei provvedimenti legislativi dello Stato e di tutti gli atti del Governo. Essi vengono ivi inseriti, in ordine cronologico, dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. A tal fine sono contraddistinti da un numero progressivo che viene assegnato dal Ministro della giustizia in sede di apposizione del visto e del gran sigillo dello Stato: si tratta di adempimenti che il Guardasigilli pone in essere subito dopo la promulgazione e che comportano un controllo meramente formale del documento, relativamente alla sua certa provenienza.

[6]Costituzione – Parte II – Ordinamento della repubblica – Titolo IV – La magistratura – Sezione I – Ordinamento giurisdizionale, artt.101-110.

[7]Cfr. intervista del “magistrato a riposo” P.C. Davigo a Corrado Formigli in “Piazza pulita”, La7, 25/02/2021.

[8]Un Ministero è organo dell’amministrazione centrale dello Stato (espressione del potere esecutivo), preposto alla cura e all’attuazione delle norme emanate dal Parlamento (espressione del potere legislativo), relativamente ad un determinato settore. La Costituzione dispone che il numero, le attribuzioni e l’organizzazione di ciascun Ministero devono essere determinati con legge (art.95 Cost.).

[9]Ha assunto l’attuale denominazione di Ministero della Giustizia (più conforme al testo costituzionale), nel 1999, anticipando in parte l’entrata in vigore della Riforma Bassanini sull’organizzazione del Governo nonché la sentenza n. 200 del 2006 della Corte Costituzionale, con cui il potere di grazia è stato riservato al Presidente della Repubblica.
V. Kultunderground n.58-NOVEMBRE 1999: “Paradossi”, https://kultunderground.org/art/16036/
V. Kultunderground n.107-APRILE 2004: “Troppa Grazia… (e poca Costituzione…)”, https://kultunderground.org/art/14219/

[10]L. 24-3-1958 n. 195 “Norme sulla Costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura”.
Pubblicata nella Gazz. Uff. 27 marzo 1958, n. 75.

[11]Il CSM è presieduto dal Presidente della Repubblica, che però partecipa in casi particolari e solenni alle sedute. La presidenza, perciò, viene esercitata di fatto dal vice-presidente, un “politico” scelto fra i nominati dal Palamento (art.104, comma 5 Costituzione).

[12]Da “Il Sistema. Potere, Politica, Affari: storia segreta della magistratura italiana” Alessandro Sallusti intervista Luca Palamara, Rizzoli-Milano 2021, pagg. 32, 33.

[13]Segreteria del ministro; Gabinetto del ministro; Ufficio legislativo; Ispettorato generale; Ufficio per il coordinamento dell’attività internazionale; servizio del controllo interno; Portavoce del ministro; Ufficio stampa e informazione;

[14]Dipartimento per gli affari di giustizia strutturato in tre direzioni generali che si occupano della giustizia civile, penale e del contenzioso dei diritti umani.
Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi.
Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità da cui dipendono i centri che operano a livello territoriale attraverso i servizi minorili della giustizia.
Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che si occupa principalmente di gestire le strutture carcerarie organizzate in istituti di custodia cautelare, per l’esecuzione delle pene, per eseguire le misure di sicurezza e in centri di osservazione; alle dipendenze di questo Dipartimento opera il Corpo di Polizia Penitenziaria.

[15]Vedi art.2, R.D. 27 ottobre 1927, n. 2187, Ordinamento dei servizi del ministero della giustizia e degli affari di culto, provvedimento abrogato dal combinato disposto del comma 1 dell’art. 1 e dell’allegato 1 al D.P.R. 13 dicembre 2010, n. 248.

[16]Cfr. “100 magistrati occupano il ministero della Giustizia e fanno saltare l’equilibrio tra i poteri” di Giuseppe Di Federico, “Il Riformista.it”, 30 maggio 2020.

[17]“È opportuno che gli ampi poteri riconosciuti al ministro dagli artt. 107 e 110 Costituzione e … nei confronti del funzionamento della giustizia siano esercitati a mezzo di magistrati, anziché di funzionari amministrativi. I primi, pur se posti fuori temporaneamente dall’ordine giudiziario, sono i soggetti istituzionalmente più in grado di conciliare l’autonomia e l’indipendenza del detto ordine con l’osservanza della linea politica-ministeriale”. Dalla relazione “Proposte sulla riorganizzazione del ministero”, Associazione Nazionale Magistrati 2004.

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