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Intervista con Alessandro Bertozzi

7 min read

TRAIT D’UNION

Level 49 – 2020

L’Africa mi ha sempre appassionato molto. I suoni, i colori e i ritmi tribali africani mi hanno sempre trasmesso delle forti emozioni. In questo disco ho provato ad unire queste cose con la musica che amo da sempre cioè il blues, il jazz, il funky. Il risultato è una sonorità particolare nella quale mi sento a mio agio, perché c’è un po’ tutto quello che mi piace e spero di riuscire a trasmettere a chi ascolta le stesse emozioni che dà a me. La musica deve unire le cose e le persone, non differenziarle, solitamente ci riesce più di tanti discorsi.
I brani dell’album sono scaricabili da tutte le piattaforme in distribuzione digitale a cura di Artist First. 

A. Bertozzi.

Videoclip: GIULA

Videoclip: SAMAWAY

Fin da giovanissimo frequenta corsi di clarinetto e sassofono iniziando precocemente l’attività dal vivo, dai concerti bandistici alle serate danzanti popolari. S’iscrive e frequenta la Scuola Internazionale di Liuteria “Antonio Stradivari” di Cremona dove si diploma maestro liutaio e realizza, nel laboratorio di Roncole Verdi, diversi strumenti classici e moderni per musicisti italiani e stranieri. Contemporaneamente agli studi musicali, inizia l’attività di turnista che lo porterà a lavorare in vari studi di registrazione per tanti artisti, registrando il suo sax in circa 300 Cd (Enrico Ruggeri, Gianni Bella, Marcella Bella, Marina Fiordaliso, Marco Masini, Drupi, Andrea Mingardi, Franco Bagutti e tanti altri artisti). Nel frattempo si dedica alla composizione e agli arrangiamenti di centinaia di brani di vario genere musicale.
Il suo primo disco come solista è Big city dreamer (1998), registrato in Italia con la collaborazione di Alberto Tafuri, Lorenzo Poli, Enzo Zirilli, Franco Cristaldi e Alberto Venturini.
Sempre alla ricerca di nuove collaborazioni, si accosta al panorama musicale latino-americano studiando con Paquito D’Rivera.
Nasce a New York Talkin’back (2003), il suo secondo progetto discografico, che vede la presenza di importanti ospiti americani come Bob James e Hiram Bullock. L’album presenta due brani vocali interpretati da Paola Folli; il brano Eyes è realizzato a Los Angeles con la produzione di Joe Vannelli, pianista e arrangiatore. Dal disco prende il via il Talkin’back Tour (dal 2004 al 2007), che porta Alessandro Bertozzi sul palco del Blue Note a New York.
Crystals (2009) rappresenta la naturale evoluzione dell’artista: nel disco Alessandro duetta con alcuni grandi della musica internazionale tra i quali John Patitucci, Andrea Braido, Randy Brecker e Hiram Bullock, prematuramente scomparso il 25 luglio 2008, che è interprete dell’unico brano cantato del disco. L’anteprima di Crystals si è svolta a Berlino in occasione del JazzKomm 2010.
Successivamente pubblica Into the strings (2014), un progetto particolare dove si uniscono la sonorità di un’orchestra d’archi e un trio jazz-funky, con la collaborazione del quartetto Archimia.
Funky Party (2017) è un Ep di 4 brani con la partecipazione di Dr.West dove si fondono insieme funky e rap. I musicisti sono Lorenzo Poli, Alfredo Golino, Andrea Carpena, Alberto Gurrisi, Alberto Venturini, Davide Ghidoni, Beppe Carnevale.

Discografia parziale

1998 – Big city dreamer
2003 – Talkin’back
2009 – Crystals
2014 – Into the strings
2017 – Funky Party
2020 – Trait d’union

Tracce: Giula / Samaway / Kalmte / Suuf / Reguit Pad / Tuuba / Jambar / Melodies Beweging.

Intervista

Davide

Ciao Alessandro. Cominciamo dal “trait d’union” tra questo tuo ultimo lavoro e quelli che lo hanno preceduto: cosa ancora li collega e verso quale punto oggi del tuo percorso?

Alessandro

Che collega gli ultimi miei lavori è la ricerca di un suono nuovo, originale. E mi piace farlo accostando sonorità molto diverse tra loro, come in questo ultimo lavoro ho fatto mettendo insieme sonorità africane con il jazz/funky che suono da una vita. È stato molto stimolante.

Davide

Perché l’Africa e perché la lingua wolof del Senegal?

Alessandro

I suoni, i colori e i ritmi tribali africani mi hanno sempre trasmesso delle forti emozioni, mi hanno sempre dato un senso di spaziosità e in questo Cd ho cercato di mettere meglio a fuoco queste sensazioni. La lingua Wolof mi piace per il suono rotondo che ha e soprattutto la sento adatta per dire quello che dicono i testi, che vogliono essere un messaggio di speranza e di unione tra le persone.

Davide

Ci presenti i musicisti che hanno preso parte a “Trait d’Union”?

Alessandro

Due dei musicisti vengono dalla scuola musicale africana e cioè Pap Yeri Samb alla voce e alle percussioni tribali e Ernesto Nanque da Silva alle percussioni tradizionali. Poi c’è la ritmica consolidata di Maxx Furian alla batteria e Alex Carreri al basso. Alla parte armonica invece c’è Andrea Pollione, piano e tastiere.

Davide

Tue le composizioni. Scrivi e arrangi tu ogni parte strumentale oppure c’è il contributo di ogni strumentista e in che misura? 

Alessandro

I brani sono tutte mie composizioni, di solito parto con un arrangiamento ben definito con una stesura di base poi durante il lavoro ogni musicista propone le sue idee. Nei progetti creativi ogni musicista deve dare il suo contributo.

Davide

Scorriamo i titoli: Giula / Samaway / Kalmte / Suuf / Reguit Pad / Tuuba / Jambar / Melodies Beweging… Da cosa scaturiscono e cosa raccontano questi brani a cominciare dai titoli, quali storie, atmosfere, stati d’animo ecc. C’è inoltre un racconto o un senso complessivo o se preferisci, un trait d’union, che lega il tutto?

Alessandro

Si, il Trait d’union come ho già detto è, oltre alla sonorità caratteristica, che in tutti i testi che ci sono si parla di unione tra la gente per fare fronte comune e affrontare le difficoltà. Samaway ad esempio parla di unità tra fratelli dove i fratelli sono tutti gli altri, senza barriere di nessun tipo. Jambar invece ha un ritmo incalzante e un testo che vuole spronare i giovani ad impegnarsi insieme per un bene comune. Oppure Surf, che è un brano dedicato alla terra dove il testo augura alla gente di riuscire a fare pace con essa per proseguire insieme il cammino verso un mondo migliore.

Davide

Cosa significa per te esplorare la musica o attraverso la musica?

Alessandro

Significa provare, sperimentare e cercare di creare qualcosa che dia sensazioni che non siano le solite. Certe armonie che possono dare un senso di benessere, ad esempio, cambiando una nota danno tutt’altro tipo di sensazioni. E questo è molto stimolante per chi compone.

Davide

L’Africa come simbolo delle origini. Quali le tue di musicista? Come ti sei appassionato al sassofono e quali sono o sono stati i tuoi riferimenti più importanti?

Alessandro

Il mio approccio alla musica è avvenuto circa a 7 anni quando ho iniziato a suonare il clarinetto (anzi il “quartino” perché per suonare il clarinetto avevo le dita ancora troppo corte). Poi, ascoltando molta melodia (in Italia siamo tutti molto influenzati dalla melodia) volevo capire perché certe note mi piacessero e altre no. Il sax ho iniziato a suonarlo verso i 12 anni perché lo vedevo uno strumento più moderno e mi sembrava potesse essere più espressivo del clarinetto. E sinceramente lo penso ancora… La musica che invece ho ascoltato molto e mi ha sicuramente influenzato è il jazz elettrico che andava negli anni 80, da Herbie Hancock a Michael Brecker, ma oltre a questo mi è sempre piaciuto anche ascoltare e suonare funky, rock e pop. Secondo me non ci sono limiti definiti tra i generi: c’è la musica che ti stimola e quella che non ti stimola. Che può essere di qualsiasi genere musicale.

Davide

“Non suonare il sassofono, lascia che sia lui a suonare te” disse Charlie Parker. Questo potrebbe valere per qualunque strumento o in particolare per il sassofono?

Alessandro 

Credo che questo valga per ogni strumento. Ma c’è una cosa che Charlie Parker non specifica: che per potere lasciarti “suonare” dallo strumento devi sapere che tasti premere per ottenere una determinata nota. Lo studio è di base per potere arrivare a suonare tranquillamente e riuscire ad esprimersi. Questo detto è stato troppe volte frainteso e interpretato come “a che serve studiare, basta andare ad istinto”, dimenticandosi che l’istinto di Charlie Parker è una cosa che quasi nessuno possiede…

Davide

Quali secondo te i compiti della musica qui e oggi per un quale domani?

Alessandro 

Creare empatia. So che sono ripetitivo, ma in questo periodo di odio e di razzismo per vivere bene insieme bisogna trovare un’unione tra la gente per riuscire a creare un futuro positivo per tutti. E la musica può farlo meglio di tante parole. Nella musica non ci sono razze o colori, nella musica ci sono solo sensazioni. E sono quelle, il “Trait d’union”.

Davide

Grazie e à suivre…

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