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Lezione #10: la psicologia

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    Dopo la descrizione fisica, è assolutamente importante definire la psicologia del personaggio. A cominciare (ma è logicamente opinabile. Anzi, a tale proposito, se qualcuno pensa che si debba approfondire un aspetto prima di un altro, è già una prova di visione critica e indice di personale ricerca.) dalla sua intelligenza: è scarsa, media, pronta, viva, grande, pratica, speculativa? O si tratta di persona furba,  scaltra, astuta? E da cosa lo dimostra?

 

    Il suo carattere è chiuso, aperto, triste, allegro, agnostico, cinico, epicureo, creativo, apatico indifferente, pragmatico? E’ una persona logica, un  pensatore, un teorico? O è semplicemente molto religioso? Allora è un  anglicano, un calvinista, un cattolico, ortodosso, buddista, taoista, mormone, puritano, quacchero, testimone di Geova.

 

     Il suo umore è allegro, triste, bilioso, bizzarro? Possiede senso dell’umorismo? L’umorismo è importante in un’opera d’arte. Fa capire che non si prende l’azione eccessivamente sul serio e si evita di cadere nel grottesco, con situazioni esageratatmente forzate. L’umorismo è il sale di un’opera e il lettore sarà sempre grato al narratore se ogni tanto allevierà il racconto con spunti umoristici.

 

    Quali sono i tratti che ne lasciano cogliere la vitalità? Cosa fanno i personaggi per dimostrare di essere vivi e non studiati a tavolino? Quali azioni compiono? Quante volte vanno in bagno, come fanno l’amore, si agitano e gesticolano mentre parlano, riescono a cogliere il senso di un discorso senza che gli altri personaggi abbiano finito di parlare? Possono essere particolari rivelatori, anche se non bisogna trattare il lettore come se fosse un deficiente, a cui spiegare tutti i passaggi della storia. Molto, in un’opera, è data dall’undestatement, dal non detto, che i personaggi intuiscono e il lettore intuisce di conseguenza. 

 

     Anche una vacanze può essere rivelatrice: uno scrittore, se ricco, va a Cortina, un impiegato va a Fiuggi, un giovane va a Ibiza, un regista va in America, un ricco di famiglia va in Africa o nelle isole Seychelles, un operaio va a Rimini, un emigrato al nord torna in Calabria.

 

    Quali sono le sue fobie, le sue paure? Gli scrittori ebrei sono maestri nel descrivere ogni sorta di incubo e di alienazione. E’ la paura atavica, mai cancellata, dell’Olocausto, della diaspora, delle persecuzioni. La paura fa brutti scherzi:   si può immaginare di essere persino divorati dai propri simili. Tutti hanno paura. Una donna teme di essere violentata, un uomo di diventare impotente, o di perdere il proprio lavoro, i ragazzi hanno paura di non piacere alle persone del sesso opposto.

    Ma la paura comune a tutti è quella di non essere bene accetti in un ambiente nuovo, e nessuno ne è esente, per cui uomini o donne veramente sicuri di sé non esistono, se non in rapporto al loro ambiente. Ma, non appena qualcosa di inaspettato irrompe sulla scena, ecco la situazione sgradevole a sconvolgere l’assetto tranquillo e le certezze coltivate fino ad allora. La paura è   una botola che si può  aprire all’improvviso sotto ai nostri piedi e trasferirci in un àmbito sconosciuto e ostile. E’ un ottimo condimento di ogni romanzo, come l’amore.

 

 A proposito dell’amore, delle donne e della loro psicologia,  la letteratura ci ha dato personaggi memorabili, addirittura, sostiene qualcuno, eterni.

    – Albertine (‘Alla ricerca del tempo perduto’ di Marcel Proust), ‘fanciulla in fiore’, simbolo dell’amore inteso come gelosia.

    – Alice (‘Alice ne paese delle meraviglie’ di Lewis Carrol), carattere forte e razionale, idealizzazione dell’amore represso del narratore per le lolite.

    – Anna Karenina (‘Anna Karenina’ di Lev Tolstoj), sfida per amore la società.

    – Connie Chatterley (‘L’amante di Lady Chatterley’ di David H.Lawrence), delusa si dà alla vita animale, col suo guardacaccia, esaltazione dei sensi.

    – Emma Bovary (‘Madame Bovary’ di Gustave Flaubert), la più celebre adultera della letteratura. Anche sciocca. incapace di distinguere fra realtà e fantasia.

    – Emma (‘Emma’ di Jane Austin), intrigante, impicciona, per raggiungere lo scopo di dirigere le vite altrui.

    – Mila di Codra – nome trasudante retorica e immaginismo-  (‘La figlia di Iorio’ di Gabriele D’Annunzio), maga e prostituta, muore generosamente per riscattare le sue colpe. Sex-symbol ante litteram.

    – Molly Bloom (‘Ulisse’ di James Joyce), moderna Penelope, materna e generosa. Pensa ininterrottamente e si esprime con un semplice ‘sì’.

    – Orlando (‘Orlando’ di Virginia Woolf) simbolo dell’ambiguità sessuale.

    – Rossella O’Hara (‘Via col vento’ di Margareth Mitchell), capricciosa e indomabile. Vuole tutto.

 

    E poi ci sono i soldi. Qual è il suo stipendio? Guadagna bene, male, tanto, poco, fior di quattrini? 

    “I soldi sono tanto più vili e spregevoli, in quanto creano persino dei geni. E così durerà fino alla fine del mondo”. (Fedor Dostoevskij: ‘L’idiota’ Garzanti, Milano, ’82 – pag. 154).

 

    Vorrei ricordare ancora, anche se molti non si riterranno d’accordo, che la letteratura è una finzione. Anche nella finzione, però, è bene essere precisi. Consiglio di tenere sempre davanti, appesi alla parete, magari, dei fogli riguardanti le caratteristiche dei personaggi, per non cadere in contraddizione. Inoltre, sarebbe opportuno avere a portata di mano anche fotogafie, cartine geografiche, e persino cataloghi da cui ricavare informazioni realistiche.

    Ecco di seguito alcuni esempi di come io stesso abbia raccolto informazioni a proposito di personaggi di un romanzo, anche se, naturalmente, non bisogna inserire tutti insieme i dati, ma prendere di volta in volta quelli più funzionali alla narrazione.

 

    Vera Del Regno: 25 anni, laureata in lingue e letterature straniere, specializzazione in inglese, prime supplenze, gambe dritte, belle ginocchie con le fossette, modo di camminare veloce,   piedi affusolati e piccoli che lui ama baciare, espressione divertita e aperta, occhi grandi, neri, languidi, a volte compassionevoli, sinceri, espresivi, limpidi, a volte inquieti, ma mai torvi o paurosi o incerti. Capelli neri, ondulati, con fermacapelli o fermaglio, quando a crocchia ancora più belli,   collo lungo, naso retto, severo, bocca grande, labbra piccole, denti bianchi leggermente irregolari ma intonati al volto, faccia ovale, leale, intelligente, un po’ pallida, fiera, sguardo tenero, ma penetrante a volte, come chi capisce al primo sguardo, sopracciglia folte, non curate ad arte, pelle liscia, chiara, carattere aperto, impulsivo ma anche pragmatico, non molto religiosa, dotata di senso dell’umorismo, vitalità che si coglie dai movimenti precisi, ordinati, metodici, vacanze al mare, che a  a lui non piace, paura di essere violentata, scippata, credeva al grande amore ma l’amore è quello che è, con tanti difetti, pensa al matrimonio,  abitudinaria, altruista, generosa,   ricordi dell’infanzia, degli studi,  il papà è scomparso da poco, prova tristezza al pensiero che non la vedrà sistemata, come dice sua madre,  fuma, ma senza accanimento, come fa lui,  ride delle manie di lui, che pretende prestazioni come indossare le giarrettiere, veste con poca ricercatezza, ma con gusto, ha l’hobby dell’inglese, naturalmente, ascolta dischi e registrazioni, raccoglie riviste in inglese, Life, la musica country la rilassa, non ama più di tanto le discoteche, ci va perché lo fanno tutti, è il divertimento più diffuso, balla senza entusiasmo, indossa pigiama e non vestaglie, veste di preferenza con golf, impermeabile, jeans,  done ci sono le tasche, la borsetta, qualche minigonna che non va molto al di sopra del ginocchio, collant, gonne pieghettate, comode, ampie, colori pastello, leggere, i seni piccoli, spesso senza reggiseno, libri letti, attori preferiti, film più belli,   cosa lo aveva colpito in lui, l’astrattezza di alcuni momenti, seguita da improvvisa eccitazione per il suo lavoro, per il futuro, lui crede nel futuro, più di lei, che dopo la morte del padre ha perso entusiasmo, sciarpa, foulard, occhiali da sole, aspetto efficiente, essendo alta indossa con piacere dei mocassini, in casa anche scarpe da ginnastica, a volte il rossetto ma di un colore tenue, non marcato.

 

    Vanni (Giovanni) Santoro: fidanzato di Vera, vent’otto anni, piedi grandi, mani lunghe, dita svelte, digita in continuazione, studi informatici, Economia e Commercio, lavori saltuari, ditta di computer, programmi per geometri e architetti,  alto, leggermente curvo, magro, occhi marroni, sopracciglia folte, elegante quando non trasandato, dice che un uomo si riconosce dalla cravatta, ben dotato sessualmente, instancabile, fumatore di Malboro, beve, si definisce un intenditore di vini, gambe storte ma muscolose a dispetto della vita sedentaria,  sedere non pronunciato, la bellezza di un uomo sta nel sedere ha detto qualcuno,  movimenti nervosi, sempre a pensare ad altro, distratto, occhi cerchiati, piccoli, sospettosi, indagatori, feroci, irascibile, strizza spesso gli occhi, come a voler scacciare la stanchezza ma spesso questi si illuminano, è indice di intelligenza, capelli crespi, corti, spesso pieni di gel, effetto bagnato, con un po’ di grigio sulla fronte e sulle tempie, ma l’aspetto è giovanile, da ragazzo non ancora cresciuto, naso leggermente adunco, voce forte, denti storti, ma bianchi, nonostante il troppo fumare, bocca poco propensa al sorriso, ma che si apre a volte ed esplode in risate coinvolgenti, labbra pallide, imbronciate,  pelle piena di nei, buddista, creativo, epicureo, paura di non essere apprezzato, ha bisogno di essere incoraggiato, se cade in depressione non si tira su facilmente, violenza latente, erotomane, anche se a luogo e a tempo debito, quando sta vicino al computer è inutile distrarlo, invidioso, vendicativo, non sopporta la disciplina, il servizio militare è stato il periodo più bruttto della sua vita, bruciò l’uniforme appena congedato, musica reggae, negato per il ballo, anche se si atteggia e dice che vuole imparare il valzer che a lei piace, parla di multitsking,  etc.

 

    Vincenzo Angelo Prisco: 47 anni, diploma del liceo artistico, passione per il disegno poi abbandonato, lavoro in fabblica di birre e poi nella scuola, contadino per hobby, ama lavorare con le mani, ama mangiare anche se è magro, non molto alto, due figli, gambe snelle, mani piccole, incallite, piedi piccoli, cammina lentamente, è sempre rilassato, fuma con piacere, ci tiene a vestire bene anche se i suoi abiti appaiono datati, colpa della crisi e dello stipendio basso, la moglie lavora in un istituto di bellezza come aiuto estetista, occhi vivaci, sicuri, espressivi, ma mai indagatori o torvi, dolci,   sorridenti, buoni, sinceri, divertiti, allegri, fare l’occhiolino è un suo vezzo, ammicca per avere l’accordo degli altri e quasi sempre ci riesce,   capelli ondulati, pettinati, grigi, imbiancati, tempie e baffi brizzolati, catena d’oro al collo, anello d’oro orologo, penna stilografica nel taschino, accendino e sigarette, spesso due pacchetti, naso regolare, labbra spesse, sorriso spontaneo, voce bassa, carezzevole, a volte imperiosa, capsule ai denti, colorito scuro, pelle spessa, abbronzata, un grande neo sul collo, viso leale, familiare, sguardo fiero ma discreto, una piccola cicatrice sul labbro inferiore colpa di una pietra ricevuta da ragazzo in paese, baffi volti all’ingiù con molti peli bianchi, la barba di due giorni lo trasforma e lo fa invecchiare, meticoloso, svelto, non legge, non conosce film o attori, non segue tanto le vicende dei personaggi pubblici, poco attratto dalla politica, anche se ne parla per forza di cose, segue solo le partite importanti, carattere   estroverso,  poco propenso a lasciarsi coinvolgere nelle attività creative, strimpella la chitarra, va a scuola di ballo liscio, vacanze in paese in Calabria, paura di rimanere senza lavoro o di dover vivere con una pensione da fame, infanzia non molto felice, padre severo a cui dà del ‘voi’, episodi col padre, rispetto dovuto agli anziani, ama fare sesso liberamente, è la cosa più importante dopo la famiglia, il lavoro, i figli, la salute, non beve, saluta tutti, giacche spigate o gessate, pantaloni stretti, odia i jeans, giardinaggio, va in bicicletta.

 

    Floriana: moglie di Angelo, 43 anni, estetista, donna in carne, piacente, occhi furbi, materna, vigile, affettuosa, comprensiva, diploma di ragioniera, gambe dritte, muscolose, seni abbondanti, occhi leggermente a mandorla, capelli tagliati sulla nuca lisci, neri, viso tondo, sguardo dolce, occhi chiari, naso all’insù, da giovane davvero carina, voce suadente, sopracciglia e unghie molto curate, rossetto, smalto le piace ballare e il sabato vi si dedica con piacere, lavora tutta la settimana, si lamenta di qualche chilo di troppo, donna semplice, ambizioni ristrette al presente, carattere pratico, poco incline alla speculazione, possiede il senso dell’umorismo, sessualmente materna, accondiscendente, concede con piacere le sue grazie, sogna una vacanza in montagna, dove possa stare senza badare all’andamento della casa e dei pasti, senza lavare i piatti per 15 giorni almeno all’anno, paura di malattie al seno paura per i figli, si adegua a tutto e vigila che sulla sua famiglia non si abbattano sventure, l’ha fatta innamorare la sua spensieratezza, il piacere che mostrava di ricevere dalla sua vicinanza, il suo buonumore, le sue riflessioni sulla caducità della vita, il suo ottimismo,  è attenta allespese, le piace cucinare ma vorrebbe farlo il meno possibile.

 

    Donato Lamartino: 45 anni, capelli ricci, corti,  occhiali scuri,  diverse lenti sovrapponibili polaroid, ben rasato, curato nel vestire, armonico nel camminare, robusto di costituzione,  leggermente stempiato, miope,  sopracciglia evanescenti, labbra spesse, viso quadrato con mascella pronunciata, poco abbronzato, alto   173, laureato in lettere classiche, insegna italiano, università di Napoli, viaggi all’estero, supplenze in provincia, grande lettore,   problematico, non molto portato per i lavori manuali,  occhi stanchi, castani, ansiosi,  raramente amichevoli, affettuosi, spesso inquieti, delusi,  intelligenza pronta, pessimista,   bocca grande, , espressione ingenua, qualche problema ai denti,   fronte spaziosa, pelle delicata, naso lungo, dritto, pensatore triste, chiuso, creativo, ateo,  depresso, senso dell’umorismo spiccato, ma un umorismo tragico, vitalità nel parlare, un parlare chiaro, preciso, serio, forbito, molte le   inquietudini,  paura di non piacere alle persone,  insicurezza di non riuscire in quello che si è preposto, intellettuale, pieno di pregiudizio,  nevrotico, personalità complessa, amichevole ma vendicativo, confuso eppure logico, ha un elevato senso della giustizia, si macera nel dubbio,  portato a idealizzare, scontroso all’inizio ma poi piacevole e disinteressato, disciplinato, fidato, senso del dovere a scuola, bravo insegnante,  musica rock,  libri e libri,  camicie  e pantaloni, giacca e cravatta,  abiti spezzati, velluto e cotone, non sopporta la lana, scarpe leggere, giubbotti, cappello, guanti,  Renault 21,   mentalità libera, contro i preti e quelli che privano della libertà, sessualità privata.

 

    Matilde (Ilde): moglie di Donato, 41 anni, laureata ma insegnante elementare, istituto magistrale e laurea in lettere alla facoltà di magistero, gambe corte ma ben fatte, piccola di statura occhi celesti,  affaticati, sorridenti, inclini alla commozione e al pianto, non molto espressivi, capelli lisci, lunghi, nonostante lui le dica che potrebbe tagliarli e sembrare più alta, naso leggermente adunco, ma ben inserito nel viso, ovale roseo, con zigomi alti e prominenti, che le danno un aspetto sbarazzino e accrescono il fascino, in genere le danno meno della sua età, bocca piccola, ma con labbra ben disegnate, attenzione estrema per i denti, filo interdentale, spazzolini snodabili, dentifrici al fluoro, non fuma, non beve, non si lascia andare, razionale, testa piccola, sopracciglia sottili, curate, si trucca con piacere, seni piccoli e ancora eretti, può fare a meno del reggiseno un sedere rotondo che attira gli sguardi, a volte fin troppo pratica e quotidiana, passione per le rose e per i libri zeppi di sentimento, come per i film davanti a cui spesso si commuove, non ama film dell’orrore, non ama il telegiornale, non ammette intrusioni nella sua vita privata, discreta,  orgogliosa fino allo snobismo, poco senso dell’umorismo, pigra, dormigliona, non ama la vita notturna né le discoteche, solo qualche buon ristorante o albergo per la scelta dei quali passa più tempo che per mangiare, paura di malattie ai seni, va spesso da ginecologo, paura degli imprevisti, del traffico, dell’aereo, della gente, delle città affollate e caotiche, dell’autostrada, ce ne vuole per farla sciogliere ma poi si lascia andare senza riserve, mai stata con un uomo fino a che lui non l’ha conosciuta, poco propensa alle speculazioni filosofiche, attenta all’abbigliamento, tailleur, giacche, scarpe con i tacchi anche se fa fatica a trovare i suoi numeri perché i piedi sono davvero piccoli, non si annoia poiché svolge le sue cose con lentezza esasperante e quindi non le basta mai il tempo, incline al ritardo sia agli appuntamenti che la mattina al lavoro, pretende che gli altri si adeguino al suo ritmo, ama la musica da camera rilassante,   legge poco e dimentica in fretta ciò che legge, odia le novità e le diavolerie della vita moderna, è addirittura spartana nel cucinare e nell’arredamento, attenta alla biancheria intima, comoda, calda confortevole con civetteria, le piacciono i calzoni, non porta minigonne, collant, gonne con spacchi e strette alle ginocchia, soffre di pressione bassa, teme il freddo, foulard intorno al collo, rossetto colorato.

 

     Altri ‘item’ per una completa descrizione psicologica possono essere i riferimenti al       comportamento. Un individuo può essere abitudinario, adattabile, agitato, aggressivo, altruista, egocentrico,  passivo, rilassato, bisognoso di affetto o amore o protezione,  confuso, condizionato, entusiasta,  isterico, clawnesco.   A volte si tratta di un  erotomane, una ninfomane,  sadico, masochista, schizofrenico, nevrotico, necrofilo,   epilettico, imbecille,  impotente, insonne,  feticista. Può essere dedito al  travestitismo, avere riflessi condizionati, essere  incapace di socializzare,  chiuso  folle,  frigida,  eterosessuale, omosessuale, pederasta, grafomane, disadattato, fanatico, depresso geloso, impulsivo, invidioso, euforico, estroverso, avaro, lussurioso, superbo, goloso, accidioso,  caritatevole, giusto, prudente. Può essere afflitto da demenza, delirio,  angoscia, complesso d’inferiorità o superiorità, pregiudizio, paura, noia,  sdoppiamento della personalità,   turbe psichiche.

 

    “L’amore fra lui e Tereza era stato bello ma anche faticoso: aveva sempre dovuto nascondere qualcosa, mascherare, fingere, riparare, tirarle su il morale, consolarla, dimostrarle ininterrottamente il proprio amore, subire le accuse della sua gelosia, del suo dolore, dei suoi sogni, sentirsi colpevole, giustificarsi, scusarsi”. (Milan Kundera: ‘L’insostenibile leggerezza dell’essere’, Club degli Editori, Milano, ’85 – pag. 37).

 

    Ecco descritta, in maniera intensa, l’emozione e il dolore per la morte del figlio.

    “Com’è possibile, mi dicono le pareti della cella mortuaria che sia lui, disteso sul marmo, se tu che gli hai dato la vita sei qui, vivo? Da dove viene questo tradimento che scompagina l’ordine delle cose? Forse non è lui, o forse non è morto, mi sussurra l’aria di fuori che entra dalla porta spalancata sul giardino dell’ospedale. Del resto i suoi capelli sono soffici, estranei alla morte. Mi avvicino a toccarli: se anche li troverò freddi, non significa che non sia vivo, mi dice la irrealtà che mi ha improvvisamente chiamato a Parigi, un foglietto di telegramma del Consolato d’Italia, consegnatomi da un vigile urbano. Ma se gli avevo telefonato pochi giorni prima, la sua voce crocchiante dentro il telefono. Certo non è morto, quei capelli vivono intorno al suo volto che dorme.

    Non voglio toccarlo, ho paura del gelo della sua pelle che mi trasmette quel telegramma crudo, improvviso, senza fragore di morte. Non voglio avere la prova della veridicità di quel foglietto, il volto gentile del vigile mostrava un dolore compunto che quasi io non capivo: io, il padre: non è possibile che il dolore ti arrivi dentro come la luce attraverso gli occhi. Il dolore viene giù adesso da queste pareti nude, sale dai suoi capelli di bimbo che protestano, intemerati, contro la morte. Bisogna che non senta il freddo della sua pelle, mi dico. Ma subito la mano recita la sua parte. Ci sono persone a guardare, e che direbbero di un padre che non voglia accarezzare la morte di suo figlio? Loro non sanno che sarebbe stato per conservarlo vivo dentro a questo mio sangue impossibile. Che è anche il suo.

    La mano sfiora la sua guancia, non sa staccarsi dalla fronte che preme. Non c’è calore ormai capace di scaldare quel corpo sorpreso dalla morte. Perché?” (Giorgio Saviane: ‘Diario intimo di un cattivo’, Rizzoli, Milano, ’89 – pag. 85).

 

    Il passato, i ricordi del passato, hanno una grande rilievo in tutte le narrazioni: la tecnica del flash back è utile per immettere nel romanzo, o nella storia, alcuni elementi che ci sembrano importanti per il successivo sviluppo dell’azione. Un personaggio, mentre si fa la barba, o viaggia in treno, si lascia andare ai suoi pensieri e ricorda l’infanzia. Tutto parte sempre dall’infanzia. Il flash back, come già detto, è una finestra che si apre sul passato.

 

    Nel passato, dunque,  c’è sempre l’infanzia. La mamma.

    “La mia unica consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma sarebbe venuta a darmi un bacio una volta che io fossi a letto. Ma quella buonanotte durava così poco, lei ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentivo salire, e poi nel corridoio a doppia porta trascorreva il lieve fruscio della sua veste da giardino in mussola azzurra dalla quale pendevano dei cordoncini di paglia intrecciata, era per me un momento doloroso. Esso era il preannuncio di quello che sarebbe seguito e nel quale lei mi avrebbe lasciato, sarebbe ridiscesa… A volte, quando dopo avermi baciato apriva la porta per uscire, io desideravo richiamarla, dirle “dammi un altro bacio”, ma sapevo che subito avrebbe avuto la sua espressione di disappunto, perché la concessione che faceva alla mia tristezza e alla mia agitazione salendo a darmi quel bacio, a portarmi quel bacio di pace, irritava mio padre che giudicava simili riti delle assurdità…” (Marcel Proust: ‘Alla ricerca del tempo perduto’, Mondadori, Milano, ’87 – pag. 17).

 

  “La mamma era seduta in salotto, intenta a versare il tè; con una mano teneva la teiera, con l’altra la chiavetta del ‘samovar’, dal quale scorreva l’acqua, che, traboccando dalla teiera, si spandeva sul vassoio. Ma momostante ella guardasse fisso, non se ne accorgeva, e neppure si era accorta della nostra presenza”. (Lev Tolstoj: ‘Infanzia’, Mancosu Editore, Roma, ’93 – pag. 22).

 

    Così come c’è la scuola, l’istruzione. Il tipo di scuola frequentato, le cose  imparate, le materie studiate, i facili-difficili rapporti con i professori, con i compagni, con le compagne, le interrogazioni, gli esami, i progetti realizzati e non, i brutti voti, le professoresse odiose, sadiche, la licenza, il  diploma, la laurea scientifica, gli studi classici o tecnici, la matematica, le lingue; medicina, architettura, linguistica, archeologia, economia, master a New York, scuola privata, scuola pubblica scuola dell’obbligo, elementare.

    “Robyn aveva frequentato un eccellente liceo classico… dove era stata capoclasse e capitano delle squadre sportive, e da cui era uscita con il diploma di maturità a pieni voti. Benché spinta dalla scuola a fare domanda per un posto a Oxford o a Cambridge, lei aveva scelto di andare all’Università del Sussex, come facevano spesso i giovani promettenti degli anni settanta, perché le nuove università erano considerate luoghi stimolanti e innovativi in cui studiare. Sotto l’egida di un corso di laurea in letteratura inglese, Robyn aveva letto Freud, Marx, Kafka e Kierkegaard, cosa che certamente non avrebbe fatto a Oxford o a Cambridge”. (David Lodge: ‘Ottimo lavoro, professore!’, Bompiani, Milano,’94 -pag. 40).

 

     Allo stesso modo vanno immessi i progetti futuri, le speranze, le attese. Possono venire fuori da un dialogo, ma anche da una semplice lettura di un giornale o guardando una vetrina. Gli oggetti ricordano cose sopite nella memoria. Molto spesso è da un oggetto, da un odore, da una musica, da un sapore, che parte l’opera di ricostruzione della vicenda, come Proust insegna, e come già detto.

 

   Magari fumando una sigaretta (con bocchino o non), la pipa, un sigaro,  un tipo particolare di sigaretta, e aspirare con avidità, emanare fumo dalle narici, fare dei cerchi col fumo. Qualcuno fuma una sigaretta dopo pranzo, durante il lavoro, se è solo; altri solo quando gliela offrono.

    “Il mio visitatore spostò il peso del corpo come chi ha un portafoglio troppo pieno nel taschino dei pantaloni, e mi ricordai che avevo voglia di fumare… I piaceri della pipa. Battere, frugare, rigirare, pulire, riempire, accendere: quei primi tiri che scavano le guance, e la fiamma del fiammifero drammaticamente risucchiata dal tabacco per poi librarsi alta e venire risucchiata ancora. Stranamente, le esepressioni facciali degli altri fumatori di pipa mi sembrano teatrali, petulanti, ostentate e offensive. Ma da quando anni fa, in segno di ammonimento per Esther, ho rinunciato alle sigarette, la pipa è stata il mio conforto, la mia cintura di sicurezza, il mio appiglio sul precipizio della vita”. (John Updike: ‘La versione di Roger’, Rizzoli, Milano, ’88 – pag. 9).

 

    Anche le azioni abituali  (come pure i tic nervosi, quali fregarsi gli occhi,   contrarre involontariamente dei muscoli, o i tic gestuali e verbali) riescono a rendere in modo originale il carattere di un soggetto.

    Spesso, poi ci si attarda con compiacenza a trattare ciò che gli piace  o non gli piace e manie varie. Tutti hanno dei piccoli vizietti, siano essi di carattere alimentare che di atmosfera. C’è chi si lascia dondolare su un’amaca, chi vuole che la sua partner indossi le giarrettiere, chi è razzista, anche se non lo ammette, e guarda con disprezzo gli extracomunitari agli angoli delle strade, chi evita di parlare di alcune cose perché le ritiene tabù. Chi vorrebbe sempre una camicia ben stirata e chi odia fare il bagno.  Manie soprattutto per quanto riguarda il vestire. Se va a caccia o a pesca e se gli piace sciare.

    “Robyn, con la bianca camicia da notte, raccolta in pieghe sui fianchi, siede sul water e fa pipì, ripetendo mentalmente la trama di ‘Mary Burton’ della Gaskell, datato 1848. Alzandosi dal gabinetto, si sfila dalla testa la camicia da notte ed entra nella vasca, senza tirare la catena del water, visto che potrebbe condizionare la temperatura dell’acqua che passa attraverso l’erogatore della doccia, all’estremità del tubo flessibile con cui ora si irrora il corpo. Si palpa i seni, mentre si lava, per controllare che non vi siano noduli. Esce dalla vasca, allungandosi a prendere l’asciugamano con una di quelle pose intime e maldestre così care ai pittori impressionisti”. (David Lodge: ‘Ottimo lavoro, professore!’, Bompiani, Milano,’94 -pag. 42).

   

    E veniamo all’omosessualità.

    “Era un gruppo di giovani e adolescenti raccolti intorno a un tavolino di vimini sotto la sorveglianza di un’istitutrice o dama di compagnia: tre ragazze apparentemente fra i quindici e i diciassette anni, e un ragazzo dai capelli lunghi, sui quattordici. Con stupore, Aschenbach notò che quest’ultimo era di una beltà perfetta. Il volto, pallido e graziosamente chiuso, incorniciato di capelli color miele, il naso diritto, la bocca vezzosa, un’espressione di gentile, divina serietà, ricordava le sculture greche dell’epoca d’oro, e alla pura perfezione della forma univa un fascino così unico e personale, ch’egli credette di non aver mai incontrato, né in arte né in natura, nulla di così compiutamente riuscito”… “Entrò dalla porta a vetri, e nel silenzio attraversò la sala, di sbieco, fino al tavolo delle sorelle. Il suo incedere, nel portamento del busto come nel muoversi delle ginocchia e nel posarsi dei piedi calzati di bianco, era di una grazia straordinaria, leggerissimo, insieme delicato e fiero, abbellito inoltre dalla timidezza infantile con cui, lungo il tragitto, alzò e riabbassò due volte gli occhi guardandosi attorno. Sorridendo, con una parola a mezza voce nella sua lingua morbidamente sfuggevole, sedette al suo posto; e, soprattutto ora che si mostrava nettamente di profilo, Aschenbach provò di nuovo meraviglia, anzi sgomento, per la bellezza sovrumana di quella carne d’uomo”. (Thomas Mann: ‘La morte a Venezia’, BUR, Milano, ’88 – pagg. 57 e 61).

    

    Talvolta, il carattere e la particolarità di una persona è resa da accenni, per così dire, metafisicici.

    “Aveva quindi ci anni e non era bella. Ma dentro la sua magrezza, c’era una vastità quasi maestosa in cui si muoveva come dentro una meditazione. E dentro la nebulosità un che di prezioso. Che non si scomponeva, non si comprometteva, non si contaminava. Che era intenso quanto un gioiello. Lei”. (Clarice Lispector: ‘Legami familiari’, Feltrinelli, Milano, ’86 – pag. 70).

 

    Si dice spesso (si diceva, almeno) che particolari eventi (più o meno salienti) della   vita forgino il carattere. Il servizio militare, con annessi e connessi:  comandi, disciplina, pene,   punizioni, luoghi per le esercitazioni, manovre, Accademia Militare, Corte Marziale, addestramento, caserma, alloggiamenti, comando, soldato, marinaio, tenente, sottotenente, capitano,  colonnello, generale, maresciallo, sottufficiale, sergente, graduato,  flotta, squadra, plotone, divisione,  carristi, mitraglieri, mortaisti, esploratori, fucilieri, guastatori, alpini, bersaglieri, fanti, lagunari, paracadutisti,  tenente di vascello,  brigadiere, uniforme. L’uniforme ha ancora il suo fascino?

 

    I mestieri e le professioni. L’uomo rinascimentale non c’è più. L’uomo capace di intendersi di più cose è un ricordo, ora ci sono le specializzazioni. Si calcola che nella città di Los Angeles ci siano 100.000 occupazioni diverse, quindi la scelta è vastissima. E’ chiaro però che bisogna documentarsi sugli arnesi o le procedure attinenti al lavoro che si vuole trattare o attribuire al personaggio. Svolge il suo lavoro in fabbrica, nei campi, in ufficio, a scuola, nell’industria, in agricoltura, a tavolino, sui libri, da meccanico, da falegname, a stipendio, a ore, a giornata, a cottimo, per otto ore al giorno, a  mano, a macchina? E’ un lavoro sodo, facile, difficile, leggero, faticoso,  autonomo, subordinato, dipendente, straordinario, nero, domestico, a domicilio?  Com’è il datore di lavoro? Quali arnesi adopera? Lavora in tuta?

    Se è un giornalista, allora bisognerà avere dimestichezza con le seguenti parole: articolo, colonna,  commento, comunicato, reportage, flash d’agenzia, editoriale, manchette, rubrica, servizio d’apertura, di spalla, di testata, corsivo, cronaca bianca, nera e rosa, critica teatrale e cinematografica, inchiesta, inserzione, archivista, capocronista, corrispondente, grafico, illustratore, inviato speciale, editore, consiglio di amministrazione, direttore, redattore capo, reporter, campagna, scoop, esclusiva, intervista, indiscrezione, primizia, telescrivente, videoterminale,   tipografia, trafiletto, stroncatura, taglio.

 

    Ha un hobby?  Colleziona   francobolli, cartoline, adesivi, libri, pipe, tabacchiere? Va a pesca; si intende di vela, di modellismo, di lingue straniere, di oggetti   d’antiquariato;  pratica il pattinaggio, uno sport, il  football, il calcio, l’alpinismo, il windsurfing; ama la bicicletta, la motocicletta; dipinge, legge, guarda  la tv, ascolta la musica, cammina,  gioca  a carta, a scacchi; gli piace scommettere, suonare la tromba?

 

    La musica, nei film, è quasi indispensabile. La colonna sonora dà sostanza alla narrazione. Anche nella scrittura può risultare intrigante parlarne, così come degli strumenti musicali. Si ama la musica sacra, concertistica, teatrale, leggera, classica, da camera, folcloristica,    operistica, liturgica,    sinfonica, lirica; la musica antica, medievale, fiamminga, italiana, tedesca,  beat, pop, rap, gospel, disco, funk,  il folk, il country, la videomusic il genere blues, jazz,  rock and roll, heavy metal, soul, new wave, reggae. All’ascolto può risultare chiassosa, melodiosa, elevata, solenne, struggente, uggiosa, soave, seria,   appassionata. 

    E magari qualcuno sa danzare o ballare   lo shake, il rock and roll, la mazurca, lo  slow, il tip-tap, il be-bop, il  bolero, il paso doble, il tango, il valzer, il flamenco, il  mambo, lo swing, il surf, il minuetto, il fandango. O è dedito al gioco d’azzardo (totocalcio, roulette, slot machines, carte, baccarà, poker, chemin de fer, bridge), oppure ai meno dispendiosi tarocchi,  bingo, master mind, risico.

 

    Qualche altro si occupa di informatica; sa di hardware, software, home o personal computer, multitsking, algoritmo, workstation, crash, data base, word processor, upgrade, password, directory, debugging, realtà virtuale, chip, floppy disk, Internet, bit, byte, megabyte, keyboard, mouse, scanner,  plotter, display, prompt.

 

       Ma un lettore, o uno scrittore, ama naturalmente parlare di libri: dei libri preferiti, del genere di lettura, degli autori significativi, delle opere che ricorda, dei personaggi che avrebbe voluto imitare, di cosa gli hanno insegnato,  di quelli che ha odiato a scuola, degli autori più difficili, di quelli più reclamizzati. E poi, cosa c’è di meglio che parlare di libri in un libro? Noi lo stiamo appunto facendo.

    “L’effetto che producono i libri ha del misterioso. Ogni padre o educatore ha fatto la seguente esperienza: ha creduto di dare al momento giusto un ottimo e bellissimo libro in mano a un ragazzo o a un adolescente, e si è poi accorto di essersi sbagliato. Il fatto è che ciascuno, vecchio o giovane, deve trovare la sua propria strada nel mondo dei libri, anche se il consiglio e l’amichevole vigilanza possono avere qualche utilità. C’è chi riesce presto a entrare in confidenza coi poeti, mentre ad altri occorrono lunghi anni prima di constatare quanto dolci e singolari siano tali letture. Si può cominciare con Omero e finire con Dostoevskij o viceversa, si può crescere in compagnia dei poeti e alla fine passare ai filosofi o viceversa; le strade sono cento e cento. C’è però un solo criterio, un’unica strada per formare e sviluppare il proprio spirito attraverso i libri: ed è l’attenzione a ciò che si legge, la paziente volontà di capire, l’atteggiamento umile di chi non rifiuta e rimane in ascolto”. (Hermann Hesse: ‘Una biblioteca della letteratura universale’,  Adelphi, Milano, ’84 – pag. 63).

 

    “Del geniale irlandese Swift, autore dei ‘Viaggi di Gulliver’, prendiamo tutto quel che possiamo trovare: il suo gran cuore, il suo amaro, crudele umorismo, la sua genialità solitaria ci ripagano ampiamente di tutte le sue stravaganze. Delle molte opere di Daniel Defoe è importante, per noi, il ‘Robinson Crusoe’ e anche ‘Le avventure di Moll Flanders’: con queste due opere comincia la superba serie dei romanzi classici inglesi”… “Dalla Spagna andremo a pescare innanzituto il ‘Don Chisciotte’ del Cervantes, uno dei libri più grandiosi e al tempo stesso più incantevoli di tutti i tempi, la storia del cavaliere errante e delle sue lotte con ribaldi immaginari, e del suo scudiero Sancio, due personaggi immortali”. (Hermann Hesse: ‘Una biblioteca della letteratura universale’,  Adelphi, Milano, ’84 – pag. 29).

 

   E se non dei libri, si può parlare dei film, degli attori, delle attrici, dei film mito, cult film, film impressi nella memoria, Amarcord, Otto e mezzo. Anche il cinema, a cui gran parte della crisi del libro è dovuta, è avventura senza limiti. Chi non ricorda i film visti da ragazzo o il senso di oppressione dovuto a un film dell’orrore.

 

   E poi scatta la  scintilla, avviene l’innamoramento.

    “Il figlio era il tipo dell’uomo biondo e abbronzato, di statura superiore alla media, ben fatto, e vestito con eleganza esagerata; anche su di lui aleggiava quell’espressione di circospezione strana, quella luce inconscia di chi non appartiene alla stessa razza della gente che lo circonda. Gudrun lo notò immediatamente. Si sprigionava da lui un’aura nordica indefinibile che la magnetizzava; in quella carnagione splendente di nordico, in quei suoi capelli biondi c’era un bagliore, che pareva quello del sole quando cristalli di ghiaccio ne rifrangono i raggi. Ed aveva un aspetto nuovo, intatto, puro, come una cosa polare. Pareva avere trent’anni, forse più; quella sua bellezza luminosa, quella virilità che lo faceva assomigliare a un lupacchiotto ridente e gioviale non le nascose però la calma significativa e sinistra del portamento, l’insidia che si celava in quel carattere indòmo”. (David Herbert Lawrence: ‘Donne innamorate’, Mondadori, Milano, ’79 – pag. 13).

 

 

    Ma è sempre meglio prendere tutto con umorismo.

    “Quand’ero un ragazzino, gironzolavo tutto il giorno con due mele selvatiche nelle guance. Una per ogni guancia”.

    Yossarian depose la borsetta grigio-verde da cui stava estraendo i suoi articoli da toeletta e cercò di controllarsi, sospettando un tranello. Passò un minuto. “Perché?” non poté trattenersi dal chiedere alfine.

    Orr ridacchiò trionfante. “Perché sono meglio delle bacche d’ippocastano” rispose… “Quando non riuscivo a procurarmi le mele selvatiche,” Orr continuò, “allora usavo le bacche di ippocastano…”

    “Perché gironzolavi con due mele selvatiche nelle guance?” Yossarian chese di nuovo. “Questo ti chiedevo.”

    “Perché hanno una forma migliore delle bacche di ippocastano,” rispose Orr. “Te l’ho appena detto”.

    “Perchè,” imprecò contro di lui Yossarian con soddisfazione, “o diabolico, meccanicamente orientato, diseredato figlio di puttana, perchè gironzolavi ‘con qualche cosa’ nelle guance?”

    “Non è,” disse Orr, “che gironzolassi ‘con una cosa qualsiasi’ nelle guance. Gironzolavo con delle mele selvatiche nelle guance. E quando non riuscivo a procurarmi le mele selvatiche, allora gironzolavo con le bacche di ippocastano. Nelle guance.”

    Orr ridacchiò. Yossarian decise mentalmente che non avrebbe più aperto bocca e cciò fece. Orr aspettò. Yossarian aspettò più lungamente.

    “Una in ogni guancia,” disse Orr.

    “Perché?”

    Orr afferrò l’occasione. “Perché che cosa?”. (Joseph Heller: ‘Comma 22’, Bompiani, Milano, ’64 – pag. 32).

    

    “E le serate! Quelle ore da riempire con la luce a gas e senza l’aiuto del cinema e della televisione! Per chi doveva guadagnarsi da vivere non era certo un grosso dramma: quando hai lavorato dodici ore in un giorno, il problema di quel che devi fare dopo cena lo risolvi facilmente. Ma pensate ai poveri ricchi: erano magari liberi di starsene solo prima delle ore serali, ma dopo la convenzione esigeva che si annoiassero in compagnia”. (John Fowles: ‘La donna del tenente francese’, Mondadori, ’74 – pag. 77).

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