Regia, Fotografia e Montaggio:Stefano Simone. Soggetto: dal racconto Il prete di Gordiano Lupi. Sceneggiatura:Pia Conoscitore, Dargys Ciberio, Antonio Universi. Musiche: Luca Auriemma. Formato:16:9 widescreen (1.77:1). Audio: Stereo PCM. Genere: Thriller. Durata: 75′. Patrocinio del Comune di Manfredonia, dove è stato interamente girato. Produzione: JawsEntertainment. Interpreti: Paolo Carati, Giuseppe La Torre, Tonino Pesante,Fabio Valente, Tonino Potito, Filippo Totaro, Pia Conoscitore, SabrinaCaterino, Mimmo Nenna, Ivano Latronica, Grazia Orlando, Tecla Mione, Dino Mione
Stefano Simone (1986) compieun ulteriore passo avanti nella sua carriera cinematografica. Ricordiamo gliacerbi ma incoraggianti cortometraggi Il delitto di classe(1999), Fear – Paura (2000), Madre delle tenebre (2001), Gliocchi del teschio (2001), Il gatto nero dalle grinfie di sciabola(2005), Istinto omicida (2006), Infatuazione (2006), L’uomovestito di nero (2007), Lo storpio (2007) e Contratto pervendetta (2008). I suoi corti migliori, scritti e sceneggiati con lacollaborazione dell’ottimo Emanuele Mattana (1980), sono i più recenti Kenneth(2008) e Cappuccetto Rosso (2009), quasi due medio metraggi, visto ilrespiro maggiore. Stefano Simone debutta con un lungometraggio incoraggiante comeUna vita nel mistero (2010), un film difficile che parla di fede,speranza, amore coniugale ed eventi miracolosi, ascrivibile al generedrammatico, sostanzialmente religioso, ma ricco di effetti speciali e dirimandi alla cinematografia di genere italiana. Unfacebook (2011) è ilsuo nuovo film che lo riporta al genere thriller – horror, mescolando zombiemovie, tematiche noir de Il giustiziere della notte (1974) di MichaelWinner, suggestioni del cinema nero italiano e francese. Sarei la persona menoindicata a parlare di questa pellicola, perché il soggetto di Unfacebookderiva dal mio racconto inedito Il prete, che il regista e glisceneggiatori hanno abilmente rimaneggiato e modificato secondo le necessitàdel linguaggio visivo. Lo faccio ugualmente perché la trasposizione scenica miha convinto, cosa insolita ma che con Stefano Simone capita spesso, visto cheanche la sua versione del mio Cappuccetto Rosso mi lasciò abbastanzasoddisfatto. Tra l’altro il regista ha aggiunto nel film elementi personali persviluppare un discorso interessante contro l’uso smodato di chat e socialnetwork. Non solo. Ha approfondito la psicologia dei personaggi e ne hainseriti di nuovi del tutto assenti nel breve racconto, incentrato soltanto sullafigura del prete. Il commissario di polizia che indaga sugli orribili delitti esugli assurdi suicidi che si verificano a ripetizione è una figura molto piùcomplessa rispetto al racconto. Un suggestivo flashback iniziale ci riportaall’infanzia del commissario, quando da bambino aveva assistito a un omicidio,ma altri ricordi del passato mostrano lo stesso ragazzino in collegio oggettodi attenzioni da parte di un vecchio parroco.
La storia si racconta in pocherighe. Un prete di provincia è stanco di assolvere i peccatori, ritiene che Dionon debba sempre perdonare ma che in certe situazioni serva una punizioneesemplare. Il prete utilizza le sue conoscenze informatiche e vecchi studi diipnosi per convincere tre peccatori a suicidarsi in maniera orrenda, quindidecide di costituire un esercito personale di vendicativi Cavalieri Templari.La chat Unfacebook è il luogo dove raccoglie i futuri servitori che ipnotizza erende simili a zombi. Alcuni giovani, guidati da una ragazza, diventano la manodella giustizia, uccidono persone riprovevoli che a giudizio del prete meritanosoltanto la morte. Colpiscono sotto ipnosi, come longa manus delsacerdote, veri e propri zombi privi di volontà. Non anticipo il finale perché siamodi fronte a un thriller girato in maniera frammentaria e nervosa, fatto dimomenti spiazzanti, costruito su suspense e tensione. L’epilogo presentauna soluzione narrativa diversa da quella del racconto, ma vicina a un certocinema italiano che ho sempre amato. Le ultime sequenze di Unfacebook ricordanole oniriche e geniali conclusioni scritte da Dardano Sacchetti per Lucio Fulcine L’Aldilà o in Paura nella città dei morti viventi.
Unfacebook è un buonfilm, stilisticamente pregevole, girato con una fotografia che vede coloridominanti il bianco e il blu (non a caso i colori di Facebook), ma pure ilbianco e nero, il grigio e i toni scuri. Il montaggio è rapido e la suspensenon manca, cosa non scontata in un film indipendente italiano; la narrazione èomogenea e non ci sono buchi di sceneggiatura. Merito di Pia Conoscitore,Dargys Ciberio e Antonio Universi, oltre che del regista. Simone riprende lezone più degradate di Manfredonia per costruire un’atmosfera noir, ma spessocita anche Pier Paolo Pasolini (Accattone, Mamma Roma…) quando sisofferma su palazzi cadenti e borgate di periferia. Interessante la tecnicausata in diversi momenti della storia che si svolgono nel centro cittadino, siaper la rapida soggettiva che per il disegno animato stilizzato che prende ilposto delle immagini girate. Simone usa il genere thriller – horror non fine ase stesso, ma per affrontare i problemi della società contemporanea, percriticare l’uso smodato dei social network, del cellulare e delle chat, perraccontare una generazione priva di sogni e per analizzare il cambiamento dellavita in provincia. “Il fine giustifica i mezzi”, dice il prete mentre insegnafilosofia a svogliati e disinteressati studenti, facendo propria una massima diNicolò Machiavelli che introduce molto bene a quello che sarà il suo modo difare giustizia.
Alcune parti sono troppodidascaliche. Citiamo il primo colloquio tra questore e commissario sui malidella provincia, che ricorda i dialoghi di Frank Wolff e Luigi Pistilli in MilanoCalibro 9 di Fernando di Leo. Un’altra parte troppo lunga e verbosa è lagiustificazione psicologica sui danni prodotti dall’uso sbagliato dei socialnetwork e di Internet. Ma sono due episodi che si perdonano nel quadro di unlavoro che soddisfa il palato degli amanti del cinema di genere quando mostrasuicidi e omicidi molto efferati. Simone non si risparmia negli effettispeciali, soprattutto quando mette in scena un episodio di auto evirazione chericorda il cinema più estremo di Joe D’Amato (Papaya dei caraibi, ma ancheAntropophagus). Gli attori se la cavano egregiamente, spesso recitanocon le espressioni del volto più che con le parole, ma sono tutti piuttostobravi, soprattutto Paolo Carati e Giuseppe La Torre, che ricoprono i ruoli fondamentalidi prete e commissario. I ragazzi zombi (zombi sui generis, visto chenon sono morti ma solo privati della volontà) sono perfetti e credibili, i loroomicidi sono efferati al punto giusto e per niente prevedibili.
La colonna sonora di Luca Auriemma,a base di musica sintetica, con sentori psichedelici che ricordano i Goblin e ivecchi film di Dario Argento. La musica accompagna i momenti di maggiortensione della pellicola e contribuisce a creare la suspense.
Unfacebook è un filmda vedere perché è un nuovo tassello per costruire la rinascita del cinema digenere italiano. Per il momento sappiamo che verrà presentato a Manfredonia nelmese di ottobre, alla presenza del regista e del cast al completo. Spiace cheregisti come Simone, Albanese, Lombardi, Zuccon, e altri giovani autoriincontrino difficoltà distributive. Hanno più idee di tanti mostri sacri delpassato ormai capaci soltanto di replicare loro stessi.
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